Viva la FifaDopo un anno, l’Inter di Thohir è più “morattiana”

Dopo un anno, l'Inter di Thohir è più "morattiana"

L’hotel Melià di Milano, per la sua posizione strategica vicino lo stadio di San Siro, era stato scelto dal tecnico dell’Inter José Mourinho come campo base prima di ogni partita casalinga. E ben presto, era diventato luogo di culto dei tifosi nerazzurri, soprattutto nell’anno del triplete. Il 15 novembre 2013, la struttura vicino piazzale Lotto è entrata ancora una volta nella storia del club di Milano. Qui, esattamente un anno fa, si riuniva il cda che sanciva in maniera ufficiale il passaggio di proprietà da Massimo Moratti all’imprenditore indonesiano Erick Thohir, che diventava il primo proprietario asiatico dell’Inter (e in assoluto di una squadra di Serie A), oltre ad assumere la carica di presidente.

Alla conferenza stampa organizzata dopo il cda, Thohir si era lasciato andare a una battuta tattica per ingraziarsi i tifosi («Chi non salta rossonero è») e aveva ringraziato più volte Dio per l’opportunità, mentre Moratti – nel frattempo insignito della carica di presidente onorario,  non aveva risposto all’unica domanda relativa alle cifre economiche dell’operazione che gli aveva lasciato in mano il 30% delle quote del club. Lo stesso Marco Fassone, direttore generale dell’Inter, aveva chiarito a margine della conferenza stampa di non conoscere ancora i programmi futuri della nuova proprietà. Dopo un anno di presidenza, molte cifre e molti programmi sono stati svelati. Con una domanda di fondo: che futuro attende l’Inter? E soprattutto, l’Inter in questo primo anno asiatico è davvero cambiata?

Primo comandamento: esonerare

Già, il futuro. I tifosi della “Beneamata”, dopo i fasti di Mancini e Mourinho culminati nella notte di Madrid del 2010, hanno vissuto momenti duri. Prima, l’ultimo tentativo di Moratti di tenere a galla il club in Europa prima e in Italia poi, concedendosi ultimi grandi colpi: l’ultimo oneroso (e per certi versi davvero azzeccato) fu quello di Giampaolo Pazzini a inizio 2011, arrivato a Milano per 12 milioni di euro più il cartellino di Jonathan Biabiany, per un totale di circa 20 milioni. Ma Moratti e il suo staff, disabituati a gestire grandi cicli vincenti, si sono ritrovati presto a tenere in piedi la baracca con il vecchio metodo dell’esonero del tecnico. Benitez, Leonardo, Gasperini, Ranieri, Stramaccioni: 5 allenatori in 3 anni, prima dell’ultimo scelto dall’ex proprietario, Mazzarri. Con l’arrivo di Thohir, le cose in questo senso sembravano cambiate. Al magnate indonesiano sono stati attribuiti numerosi ultimatum al tecnico livornese, tutti negati con educazione e pazienza. Poi, la svolta prima del derby: via Mazzarri, dentro Mancini. Uno abituato a lavorare con rose di campioni e budget faraonici.

Tra Moratti e Thohir sembrava esserci una distanza prima di tutto di metodo. Moratti appartiene ad una “scuola” di presidenti/proprietari passionali, certo competenti, ma che prima di essere imprenditori sono tifosi. Per l’Inter, Moratti si è economicamente dissanguato. Negli anni, pur di vincere la rivalità cittadina contro il Milan e quella “ideologica” contro la Juventus, dalla sede del club sono partiti bonifici destinati al calciomercato per un valore complessivo che sfiora il miliardo di euro. Poi i risultati sono arrivati e Moratti può vantare un carniere complessivo di 16 trofei in 18 anni. Un bilancio che lo ha reso il presidente più vincente della storia del club. Ma usiamo il termine bilancio non a caso. Perché per vincere devi spendere e Moratti si è ritrovato, a fine mandato, con dei consuntivi da profondo rosso. Il peccato di Moratti (e di buona parte del calcio italiano) è stato quello di non inserire la sua squadra nel nuovo calcio fatto di monetizzazione delle vittorie, di attenzione al marketing e al merchandising. L’Inter del Triplete è come se fosse passata inosservata al resto d’Europa, mentre il Barcellona alimentava il proprio mito e persino squadre come il Manchester United, che in (Europa non vince dal 2008) mantenevano intatta la propria fama vendendo magliette a iosa.

Quando Thohir ha preso possesso della scrivania da presidente, si è ritrovato a fare i conti con passivi pesanti. L’ultimo bilancio nerazzurro, quello del 2013/14, ha un rosso di 103 milioni di euro, per un risultato netto di -87 milioni. Una cifra che farebbe schizzare le orecchie al soffitto a chiunque. Ma non a Thohir, che durante la lunga trattativa per l’acquisto dell’Inter ha avuto modo di studiare gli ultimi scricchiolanti bilanci dell’Inter. Nella stagione che portò al triplete, l’Inter perse in tutto 69 milioni di euro. Ai quali vanno aggiunti gli 86 del 2011, i 77 del 2012 e i 79 del 2013. In tutto, dal 2010 a oggi, l’Inter ha accumulato perdite per circa 400 milioni di euro. E a nulla è bastata la politica intrapresa da Moratti di tagliare i costi degli ingaggi dei giocatori.

Quando Moratti ha ceduto il 70% dell’Inter a Thohir, si è ritrovato sì con una carica onoraria e con una quota di consiglieri nel cda. Ma nel tempo ha dovuto subìre i rimbrotti pubblici dell’indonesiano («I club non sono più giocattoli nelle mani dei proprietari») e del nuovo ceo Michael Bolingbroke («Vogliamo raddrizzare ciò che è andato storto in passato»), che a loro modo hanno espresso pareri negativi sulla precedente gestione economica. Una situazione che, unita alla ridotta capacità decisionale su aspetti importanti come la scelta del tecnico (fosse stato per Moratti, Mazzarri sarebbe già saltato da quasi un mese), hanno portato l’ex proprietario alle dimissioni da presidente onorario. Sancendo di fatto la frattura definitiva tra la vecchia e la nuova Inter.

Tra le due, cosa cambia? L’unica differenza è la marginalizzazione della figura di Moratti, non del suo metodo: esonerato un tecnico, ne arriva un altro che lo stesso Moratti aveva cacciato nonostante uno scudetto vinto e con il quale – ovviamente – non si era lasciato benissimo. Non è un caso che lo staff dell’indonesiano abbia informato Moratti a cose fatte. A Thohir interessa vincere, ad ogni costo. Diciamo circa 30 milioni: Mazzarri aveva appena rinnovato fino al giugno 2016 per 20 milioni lordi, ai quali si aggiungono i 2 anni e mezzo di contratto per Mancini a 3,5 milioni a stagione più bonus. Al nuovo tecnico si dovrà dare una rosa competitiva. O esonerare anche lui. Ma con quali soldi?

I conti non tornano tutti

Avendo speso circa 300 milioni di euro per acquistare il 70% del club nerazzurro, Thohir si è fortemente esposto in prima persona. Tanto che fra un anno, quando cadrà il blocco sul 30% di Moratti che permetterà all’ex proprietario di vendere le proprie quote, l’indonesiano non avrà la forza economica di acquisirle in toto. E motivo per cui, da qui al 15 novembre 2015, quel 30% non potrà essere ceduto a nessun altro investitore, con il rischio concreto di rallentare il progetto nuovo stadio (di cui parliamo più avanti).

E non si può sempre contare sulle operazioni infragruppo, per segnare a bilancio 33 milioni di euro di utili, come accaduto nell’ultimo. Un escamotage portato a termine grazie alla creazione di Inter Media, che ha inglobato gli accordi di sponsorizzazione e di gestione del brand nerazzurro. Così si è creata quella garanzia economica che ha permesso al club di ottenere prestiti bancari fino a 230 milioni di euro, con il debito di dell’Inter e di Inter Brand assorbiti successivamente dalla nuova controllata. Un trucco vecchio come il mondo e tipico del modello di business all’italiana, che vi avevamo raccontato in un nostro precedente pezzo su Linkiesta. Si tratta del modello dello sfruttamento del marchio come occasione per ottenere dalle banche prestiti mascherati. Il gioco funziona così. Per raddrizzare i bilanci, molte squadre cedono il brand a una newco collegata al club calcistico. In questo modo, ricevono subito denaro fresco, che va ad aggiustare il bilancio. Per poter usare il marchio a fini commerciali, poi, riaffitta l’uso del marchio dalla newco, che a sua volta riceve la somma dalle banche, sotto forma di prestito. Sarà quindi la newco in questione ad estinguere il mutuo. In sostanza, il club di calcio copre i buchi di bilancio con il raffitto del brand e il giro di soldi rivela un prestito mascherato. Un modello già seguito dall’Inter quando i nerazzurri cedettero il marchio alla Inter Brand srl per 158 milioni di euro, 120 dei quali finanziati dalla Banca Antonveneta.

L’attuale linea di credito è stata attivata con un accordo tra Thohir e due grandi banche come Goldman Sachs e Unicredit. Che i soldi li rivogliono. E con gli interessi. Attualmente, l’accordo per l’estinzione del mutuo prevede che l’Inter cominci a pagare la prima rata entro giugno del 2015 ed entro 4 anni dovrà versare 45 milioni di euro, quindi 11,25 all’anno per le prossime 4 stagioni. E poi c’è la stangata della rata finale da 184 milioni di euro, da saldare entro il 30 giugno 2019. Il tutto condito dagli interessi (a un tasso pari all’euribor a 3 mes,i più uno spread del 5,5%). A questi si aggiungono altre spese. Come i 22 milioni di prestito fruttifero fatto da Thohir all’Inter, dalle cui casse si riprenderà i soldi con tassi fissati all’8%. O come i 9 milioni complessivi spesi per Dodò nell’ultimo calciomercato. O come i 75 milioni di acconto versati per l’acquisto e i 180 milioni di debiti che l’indonesiano si è accollato. Più tutti i costi dell’operazione Mazzarri/Mancini.

Quali piani per rientrare dal Fair Play Finanziario?

Secondo una recente stima della Gazzetta dello Sport, il prossimo bilancio nerazzurro dovrebbe ridurre il rosso a circa 50 milioni di euro, grazie alle prime strategie attuale dal nuovo management. Il cui obiettivo primario è quello di evitare le sanzioni della Uefa in materia di Fair Play Finanziario. Già, perché con l’ingresso in Europa League, i conti dell’Inter sono finiti sotto indagine del Governo del calcio europeo. E la situazione per i nerazzurri rischia di non essere positiva. Come emerso dai numeri, i bilanci dell’ultimo triennio nerazzurro sforano – e di molto – il limite dei 45 milioni di euro imposto da Platini. Lo scorso 7 novembre, a Nyon, l’Inter ha presentato un piano di risanamento per rientrare dai debiti ed evitare sanzioni pesanti. La Uefa prevede infatti sconti per chi elabora progetti di rientro strutturati e credibili. Insomma, all’Inter si guarda al futuro, perché per salvare il triennio dalle sanzioni Uefa, l’Inter dovrebbe produrre un utile di 34 milioni di euro. Uno scenario che, allo stato attuale delle cose (organizzativo e tecnico) pare impossibile. A meno che l’Inter non si qualifichi in Champions League. Alla quale Mancini è chiamato a qualificarsi.

E allora, per rientrare dai debiti si punta sul merchandising del brand Inter e – forse – su un nuovo stadio. L’Inter, assieme al Milan, investirà ancora su San Siro in vista della finale di Champions League del 2016 («Da qui a due anni lo stadio subirà diverse migliorie per aumentare comfort e sicurezza in tutti i livelli» ha spiegato Fassone). Ma non è detto che ci giocherà ancora nei prossimi anni. Già Moratti aveva provato ad imbastire il discorso stadio di proprietà. Entro gennaio, secondo quanto rivelato da Marco Fassone a margine dell’ultimo cda del club, l’Inter rivelerà i progetti futuri. Attualmente, l’unica squadra milanese ad aver manifestato l’interesse per un nuovo impianto nell’area Expo è il Milan. Ma l’Inter ci sta pensando. Per i canoni del nuovo calcio, San Siro è un impianto d’effetto, ma troppo grande da riempire, in un’epoca in cui a dominare sono le tv. Inoltre, l’affitto per giocare al Meazza costa alle due società 8,4 milioni di euro l’anno. Tutti soldi che l’Inter vorrebbe evitare di scucire, spendendone di più per un investimento a lungo termine come lo stadio che, secondo i parametri Uefa, non vengono calcolati come passività perché in grado di generare introiti. Una beffa per il Comune di Milano, che in questi mesi sta dotando lo storico impianto milanese di una stazione del nuova linea della metropolitana. Ma per Thohir business is business e se trova capitali da nuovi investitori, il gioco è fatto.

E poi c’è il merchandising, grazie al quale molte big del calcio europeo possono spendere cifre esorbitanti per grandi calciatori, ammortizzandone i costi solo con la vendita delle magliette griffate. Il tutto grazie al potere dei brand di squadre come Real Madrid e Manchester United, fortissimi in Asia. Questo è il modello di riferimento che Thohir vuole imitare. Sfruttando prima di tutto il canale del sud-est asiatico, come ha confermato in una recente intervista a “Repubblica”: «Stiamo studiando in quali paesi il nostro marchio può penetrare meglio, dove ci sono più tifosi potenziali. Vogliamo creare eventi, prima di andare. Porteremo la nostra Academy in Arabia Saudita, India e Giappone». In Cina non è andata benissimo (come ad esempio con la seconda maglia rossa della stagione 2012-2013), e le maglie invendute sono finite dai negozi ufficiali alla vendita on-line. Segno che si deve cambiare strategia e Thohir si impegnerà in prima persona, cercando di vincere il derby del merchandising contro il Milan, che ha un brand molto ben assestato proprio in Indonesia. Alla voce introiti del settore commerciale, i rossoneri sono in vantaggio: 85 milioni incassati contro i 42 dei “cugini”. E l’Indonesia, patria di Thohir, è destinata ad essere il nuovo campo dove si giocherà la partita del merchandising tra le due squadre di Milano, vestite Adidas (Milan) e Nike. Non è un caso che i nerazzurri abbiano rinnovato con la Nike, dalla quale incasseranno 18 milioni a stagione. Una cifra che sarebbe lievitata anche grazie all’ingresso nell’Inter di Thohir. Il quale si è dato 5 anni di tempo per assestare i bilanci ed evitare sanzioni pesanti dalla Uefa da una parte e avere il potere economico di poter affidare Mancini una rosa più competitiva.

O le magliette o la Borsa

Insomma, senza la qualificazione in Champions, per l’Inter si profilano tempi duri. A meno che Thohir non torni a valutare l’ipotesi-Borsa. Ci aveva già pensato un anno fa, dopo aver sborsato 20 milioni di euro per Hernanes. L’Inter verrebbe quotata in Asia, a Hong Kong o Singapore. Due indizi condurrebbero a questa pista. Il primo riguarda le motivazioni che spingono una società a quotarsi: o per trovare nuovi capitali, o per cambiare gli equilibri della propria governance: se Moratti dovesse mollare o diminuire la propria quota. Il secondo indizio è legato al Fair play finanziario, che impedisce ai proprietari di iniettare soldi nelle casse del club direttamente dalle proprie tasche per coprire i buchi di bilancio. Ci sarebbe, in realtà, un terzo indizio. La banca d’affari che ha fatto da advisor a Thohir durante la trattativa è la Lazard, la stessa che ha curato lo sbarco nella borsa di Hong Kong del marchio Prada.

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