Mancano cinque mesi all’apertura di Expo 2015. Il tema è l’alimentazione: «Nutrire il pianeta, energia per la vita». Eppure in Italia sei milioni di persone non hanno da mangiare. I dati si rincorrono come schegge impazzite, tutti a certificare la stessa tendenza: il numero di chi non riesce a mettere insieme il pranzo e la cena è in aumento costante. L’ultimo rapporto Istat parla appunto di 6 milioni e 20mila individui senza cibo e beni primari, tra cui un milione e mezzo di minori. Persone incapaci di sostenere la spesa minima per alimentazione, casa e vestiti. Parliamo del 9,9% della popolazione, trainata dal Mezzogiorno dove gli indigenti hanno sfondato quota 3 milioni. Parliamo di povertà assoluta. Quella delle famiglie che non riescono a raggiungere una soglia necessaria di spesa per acquistare beni e servizi considerati essenziali «a uno standard di vita minimamente accettabile».
La commissione infanzia di Montecitorio stima che 3,8 milioni di minori siano oggi senza pasti sostanziosi. Secondo l’Unicef l’Italia è tra gli ultimi paesi Ue e Ocse sulla povertà minorile, il cui tasso è aumentato di sei punti in quattro anni attestandosi oltre il 30%. Scrive l’agenzia delle Nazioni Unite: «Mentre in più della metà dei paesi ricchi del mondo un bambino su cinque vive in povertà, in Italia un bambino su tre vive in povertà. Per quanto concerne la riduzione del reddito dei nuclei familiari dal 2008 al 2012, l’Italia ha perso otto anni di potenziali progressi economici». Il quadro si tinge di nero, tanto più perché la corsa verso il baratro è rapidissima. La fondazione Banco Alimentare fa il conto dei danni: siamo passati da 2,4 milioni di poveri nel 2007 ai 6 milioni del 2013. In sette anni la povertà assoluta è quasi triplicata e oggi un italiano su dieci soffre di povertà alimentare. Un altro bollettino di guerra arriva con la presentazione del bilancio sociale 2013 del Banco Alimentare della Lombardia: i pacchi alimentari distribuiti agli indigenti sono aumentati del 102% e i poveri assistiti dagli enti caritativi sono cresciuti del 79%.
Ai dati della povertà alimentare si aggiungono i numeri dello spreco, sollevati pure da Papa Francesco nel suo discorso all’Europarlamento. «Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole». Le parole del Pontefice rappresentano l’ennesimo grido di allarme in un contesto dalle cifre altisonanti. Secondo la ricerca realizzata da Fondazione della Sussidiarietà e Politecnico di Milano in collaborazione con Nielsen, solo in Italia si sprecano ogni anno 5,5 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari, il cui valore commerciale è stimato in 13 miliardi di euro e pari al 16% dei consumi alimentari. La maggior parte dello spreco avviene all’inizio e alla fine della filiera alimentare, dunque nelle mani del consumatore. Il lavoro da fare è imponente, vista la complessità del recupero che deve tenere conto della fungibilità dei prodotti e dello sforzo logistico/economico per salvarli. Oggi solo il 6,4% (384mila tonnellate) viene recuperato per il consumo alimentare umano. Praticamente una goccia nell’oceano.
L’emergenza alimentare c’è ma non si vede. Mediaticamente è ridotta al lumicino ma nel paese reale miete le sue vittime. A partire dal vicino di casa. «Sei milioni di persone sono lasciate sole e alla deriva, sono diventate talmente tante che non è facile gestirle», ammette Marco Lucchini, direttore generale della fondazione Banco Alimentare. La platea è sempre più trasversale: italiani “insospettabili” in fila alle mense, drammi familiari e nuova disoccupazione. In trincea operano le cosiddette “sette sorelle”, enti come Banco Alimentare, Caritas e Comunità di Sant’Egidio che sfamano gli indigenti attraverso recupero delle eccedenze, distribuzione di derrate, servizi mensa e consegna dei pacchi cibo. Solo il Banco Alimentare sostiene due milioni di persone. «Ma il nostro aiuto non risolve il problema, al massimo butta un po’ d’acqua», spiega Lucchini. «Siamo una tachipirina, abbassiamo la febbre, altrimenti le conseguenze sarebbero ben più gravi di quelle accennate nei conflitti sociali di queste settimane». Basterebbe dire che l’aiuto alimentare ha permesso a tante persone di non finire in carcere perché costrette, per necessità, a rubare al supermercato.
La guerra dei poveri in atto nelle periferie è uno dei segnali di un popolo affamato, dove spesso emergono le recriminazioni nei confronti degli immigrati. «Ma il 70% dei poveri che assistiamo sono italiani», racconta Lucchini. «E nel nostro settore il rapporto con i migranti è tutt’altro che conflittuale. Sono molti i casi di persone straniere che, dopo essere state aiutate dal Banco, adesso ci danno una mano e vanno a consegnare il pacco cibo agli italiani». La cura definitiva però deve arrivare dal Governo. A cui spettano scelte cruciali in tema di lavoro e ripresa. Da una parte gli 80 euro e il bonus bebè, dall’altra la lista di cibi che migliaia di famiglie non possono più permettersi. Olio, carne, pasta, omogeneizzati. Ma dal Banco Alimentare riflettono: «In questo momento qualsiasi contributo va bene. Non c’è una soluzione unica, ma tanti piccoli interventi che si sommano. Gli 80 euro come la distribuzione dei pacchi alimentari. Ognuno dia quello che può, poi però bisogna verificarne l’efficacia, altrimenti parliamo di semplici spot elettorali».
Il tempo è poco e vorace. Un anno fa i poveri in Italia erano 4,8 milioni, ora sono diventati 6 milioni. E vanno sfamati con le stesse risorse economiche messe in campo dodici mesi fa. L’aiuto delle istituzioni corre su un doppio binario, europeo e italiano. Bruxelles ha recentemente cambiato la formula del sostegno agli indigenti passando dal programma Pead (distribuzione di cibo tramite eccedenze, prodotti agricoli e acquisti di alimenti) al Fead, programma che oltre al cibo comprende politiche sociali, supporto scolastico e aiuti ai senza fissa dimora. l’avvicendamento ha scontato un periodo di rodaggio in cui le scorte di cibo si assottigliavano lasciando in apnea il mondo del no-profit. Ora il piano è partito con una programmazione di sette anni e lo stanziamento di 400 milioni di euro fino al 2020. Capitolo Italia. Nella Legge di Stabilità non era stato rinnovato il fondo nazionale per gli indigenti. Grazie al pressing degli addetti ai lavori, il governo si è mosso e Maurizio Martina ha annunciato l’arrivo di 70 milioni con cui contribuire allo stanziamento di Bruxelles e altri 5 milioni per il 2015 erogati direttamente dal ministero dell’Agricoltura. «Fondi ottenuti attraverso una riallocazione delle risorse interne».
Dopo mesi di incertezze, siamo all’anno zero dell’emergenza. Al ministero dell’Agricoltura è nato un tavolo di lavoro che deve ottimizzare l’impianto normativo italiano per agevolare il recupero di alimenti. A questa commissione partecipano le associazioni che si occupano di aiuto alimentare, le istituzioni e gli attori della filiera agroalimentare. Non solo gestione dell’emergenza, ma una vera pianificazione del lavoro. Il direttore del Banco Alimentare elenca le priorità: «Serve una semplificazione delle normative fiscali e igienico-sanitarie, una comunicazione che promuova il volontariato e le donazioni. E infine una rinnovata formazione tra la filiera agroalimentare e le istituzioni». Nelle intenzioni dei partecipanti, deve cambiare anche il metodo. Niente più grida nel vuoto. «Prima le associazioni andavano a chiedere interventi, oggi ci siamo trasferiti a Palazzo, lavoriamo insieme alle istituzioni. Costruiamo il testo e l’emendamento, pensiamo a come scrivere l’articolo perché sia utilizzabile. Prima si facevano norme per accontentare una categoria o una lobby, oggi si affronta un percorso condiviso». Un esempio? Nella legge di Stabilità verranno corretti due articoli per incentivare le donazioni di cibo e arginare gli sprechi.
La battaglia è lunga. Così sabato 29 novembre il Banco Alimentare organizza la giornata nazionale della Colletta Alimentare. In 11mila supermercati i volontari con la pettorina gialla invitano i clienti a donare parte della spesa. Olio, tonno e carne in scatola, alimenti per l’infanzia. Davanti all’emergenza vince la concretezza, quella che sfama. «Il primo dato positivo – racconta Lucchini – è la quantità di persone che ogni anno si fa coinvolgere da questo gesto». Lo scorso novembre, tra loro, c’era anche il presidente della BCE Mario Draghi, intercettato proprio da Linkiesta in un ipermercato di Roma mentre riempiva il carrello di omogeneizzati, pannolini e latte in polvere per i volontari della Colletta. Gesto simbolico, certo. Ma aiutare i poveri è anzitutto un investimento. Lucchini ne è convinto: «Una volta che si saranno rialzate, queste persone potranno dare il loro contributo alla ripresa del Paese. Ma se non vengono aiutate rimarranno un costo cronico, una massa di individui che non ha la forza di far nulla».