«Annullamento senza rinvio della condanna a Stephan Schmidheiny perché tutti i reati sono prescritti». Così ha deciso il presidente della prima sezione penale della corte di Cassazione, Arturo Cortese accogliendo l’istanza del procuratore generale Francesco Iacoviello. Chiedeva la cancellazione della condanna a 18 anni in secondo grado per il magnate svizzero per disastro ambientale doloso permanente e omissione di misure antinfortunisticheIl procuratore generale della Cassazione, e ha ottenuto l’annullamento della sentenza d’appello.
Secondo il magistrato che sostiene la pubblica accusa nel terzo grado di giudizio, la condanna a 18 anni di reclusione emessa dalla Corte d’Appello di Torino contro Stephan Schmidheiny, accusato di disastro doloso ambientale permanente per la diffusione di fibra di amianto che ha causato migliaia di morti, non poteva reggere. Il pg ha chiesto ai giudici di dichiarare la prescrizione dei reati contestati al magnate svizzero a capo dell’azienda belga, annullando senza rinvio la sentenza emessa il 3 giugno 2013.
Secondo il pg sarebbe stato un errore contestare il reato di disastro, perché questo tipo di accusa non è sostenuta dal diritto. Per spiegare le caratteristiche del reato di disastro, Iacoviello ha fatto l’esempio del crollo di una casa. Nel caso del disastro che causa morti a distanza di decenni, per via della lunga latenza del mesotelioma maligno che si manifesta anche dopo 30 anni dalla contaminazione, invece, non si riesce a prevedere la permanenza. «Anche se oggi qui si viene a chiedere giustizia, un giudice», ha avvertito il pm Iacoviello, «tra diritto e giustizia deve scegliere il diritto».
«Con questa premessa, non si potrà mai incriminare nessuno per disastro per le morti di amianto, perché le malattie si manifestano a distanza di molto tempo. Ed è questa latenza che protegge chi ha commesso questo crimine di cui qui noi rappresentiamo il segno più evidente della sofferenza», hanno commentato i familiari delle vittime presenti in aula. «Siamo frastornati, è come se quelle vittime non ci fossero mai state». La prima sezione penale emetterà il verdetto definitivo, probabilmente, la prossima settimana.
La vicenda giudiziaria La procura della Repubblica di Torino aveva aperto l’inchiesta nel 2004, dopo la morte per mesotelioma di un ex operaio dell’Eternit, che aveva lavorato nello stabilimento di Cavagnolo (Torino). Le indagini, condotte dal pool composto dai pm Raffaele Guariniello, Gianfranco Colace e Sara Panelli, si ampliò poi fino a coinvolgere migliaia di casi di malati e morti a causa delle patologie provocate dall’amianto. Non solo ex lavoratori, ma anche molti cittadini che avevano respirato l’amianto diffuso negli ambienti esterni agli stabilimenti.
Nel 2009 il giudice dell’udienza preliminare Cristina Palmesano rinvia a giudizio il barone belga Louis de Cartier e il magnate svizzero Stephan Schmidheiny per disastro doloso ambientale permanente causato dalla diffusione di amianto dentro e fuori dagli stabilimenti Eternit di Casale Monferrato, Cavagnolo (Torino), Rubiera dell’Emilia e Bagnoli di Napoli. A fine 2009 comincia a Torino il processo Eternit, il più imponente processo che si sia mai celebrato per reati ambientali connessi a lavorazione industriale. Si costituiscono oltre seimila parti civili, tra enti, associazioni, sindacati e cittadini. Il primo giudizio arriva nel febbraio 2012, quando il tribunale di Torino, presieduto da Giuseppe Casalbore, condanna Louis de Cartier e Stephan Schmidheiny a 16 anni di reclusione. Nel processo di appello, partito a Torino nel febbraio 2013, la Corte d’Appello presieduta da Alberto Oggè conferma il riconoscimento di responsabilità per il reato di disastro doloso e condanna Stephan Schmidheiny a 18 anni di reclusione. Louis de Cartier, ultranovantenne, era morto poche settimane prima. Il processo in Cassazione nei confronti del solo Schmidheiny è cominciato il 19 ottobre 2014.
“I vertici sapevano” Secondo le ricostruzioni del Guariniello, finora confermate dal Tribunale e dalla Corte d’appello, Stephan Schmidheiny e i massimi vertici del colosso Eternit sapevano già negli anni Settanta che l’amianto provocava malattie letali e che quelle lavorazioni avvelenavano gli ambienti, ma avrebbero scelto consapevolmente di proseguire nelle lavorazioni nocive e, anzi, avrebbero avviato una campagna di controinformazione per arginare la protesta sindacale.
La procura di Torino ha sequestrato documenti che lo provano e ha anche smascherato alcune «spie» che sarebbero state pagate per controllare i due sindacalisti della Cgil di Casale, che sono stati il motore iniziale e decisivo della battaglia contro l’Eternit. Nel 1976 sarebbe stato organizzato un «seminario» da Schmidheiny a Neuss, in Svizzera, non lontano dal quartier generale Eternit di Niederurnen, in cui si discusse apertamente delle strategia per difendere l’industria dell’amianto dalle contestazioni. Da allora, si legge nella sentenza di secondo grado, trascorsero quasi dieci anni «fino a quando non fu più possibile nascondere la pericolosità delle fibre di amianto e gli stabilimenti furono costretti a chiudere. Il fenomeno epidemico si è così dilatato nel tempo con modalità che inducono a concludere come l’evento disastro non sia ancora consumato per intero».
La strage continua A Casale Monferrato lo stabilimento della multinazionale del cemento amianto ha chiuso alla fine del 1986, dopo che l’allora sindaco democristiano, Riccardo Coppo, vietò l’uso di amianto nel territorio comunale con un’ordinanza. Fu, in pratica, la prima «legge» anti-amianto d’Europa. Per una legge del Parlamento italiano bisognerà aspettare il 1992. Ma i danni provocati dall’amianto non si fermano a questa data. Come scrivono dall’Inail, «studi scientifici ed epidemiologici sostengono che nei prossimi 15 anni assisteremo a un forte incremento delle malattie correlate alla fibra killer, quali l’asbestosi, il tumore della pleura (mesotelioma pleurico) e il carcinoma polmonare». Si tratta infatti di malattie che hanno un lungo periodo di incubazione, per cui coloro che risiedevano intorno alle fabbriche, come quella di Monferrato, sede per circa 80 anni della più grande fabbrica di cemento-amianto della Eternit, corrono ancora oggi rischi per la salute. Ancora oggi, a Casale, su una popolazione di circa 35mila abitanti, si registrano ogni anno una cinquantina di nuovi casi di mesotelioma pleurico.
Nel fascicolo in esame alla Cassazione ci sono oltre 2mila parti civili, ma il numero dei morti per «malattie asbesto-correlate» è quasi incalcolabile: quasi 3mila quelle ricostruite dalle indagini torinesi. Ma la strage continua. Nel 2011 ci sono state ancora 2.312 denunce di nuovi casi di patologie legate all’amianto rispetto alle 2.326 dell’anno precedente (-0,6%) e alle 2.244 del 2009 e il rapporto tra i casi riconosciuti dall’Inail rispetto a quelli denunciati – nel 2009 e nel 2010 – è stato del 70 per cento circa (nel 2011 è stato del 65%, ma il dato è da ritenersi ancora provvisorio per difetto). I decessi dovuti all’amianto nel 2011 (rilevazione al 30 settembre) sono stati 692, a fronte degli 837 del 2010 e degli 853 nel 2009 (anno in cui si è registrato il picco del quinquennio 2007-2011). In media, l’87% dei casi mortali è stato causato da neoplasie da asbesto. Sono, invece, 15.845 i mesoteliomi maligni – cioè i tumori dovuti all’esposizione all’amianto – rilevati in Italia tra il 1993 e il 2008. A oggi i morti in Italia a causa dell’amianto sono circa 1500 all’anno.
L’amianto in Italia In Italia le zone con mortalità da amianto più elevata sono quasi tutte costiere con cantieri navali e porti, come Monfalcone (in provincia di Gorizia) e Trieste nel nord est; Genova e La Spezia nel nord ovest e Taranto al sud. Fra le altre province interessate da altre lavorazioni figurano Casale Monferrato (in provincia di Alessandria) sede per circa 80 anni della più grande fabbrica di cemento-amianto della Eternit; Bari e Pavia (Fibronit), Bagnoli (Eternit e Italsider), Siracusa (Eternit) e Pistoia, sede di Breda Costruzioni Ferroviarie.
Ma sono 34mila i siti contaminati da amianto in Italia, una cifra destinata a crescere perché frutto di una mappatura ancora in corso da parte di Inail, ministero dell’Ambiente e Regioni. Agli attuali ritmi di bonifica – secondo l’Ispra ogni anno vengono smaltite 380mila tonnellate di rifiuti – serviranno ancora 85 anni per completare la dismissione degli oltre 32milioni di tonnellate di amianto presenti nel nostro territorio (dati Cnr).
LA MAPPA DEI SITI CONTAMINATI