Gli economisti della Bce: l’Europa così non va

Gli economisti della Bce: l'Europa così non va

Dopo il chiaro e incisivo articolo “Politica di bilancio ostaggio del Pil potenziale”, firmato da Cottarelli, Giammusso e Porello su LaVoce.info, un lavoro della collana Occasional Paper della Banca Centrale Europea torna sull’argomento del deficit e delle regole di bilancio dell’Unione Europea.

Il paper della Bce, firmato da Kamps, De Stefani, Leiner-Killinger, Ruffer e Sondermann, ha una trattazione più ampia, ma le posizioni espresse sono coerenti con Cottarelli-Giammusso-Porello e questo rende interessante una lettura congiunta. Interessante anche perché in entrambi i casi si ha l’impressione che, per mano di economisti che correttamente usano il disclaimer “le opinioni sono personali e non rappresentano posizioni ufficiali delle Istituzioni di appartenenza etc.”, in realtà siano proprio le Istituzioni – il Tesoro italiano da un lato e la Bce dall’altro – a voler argomentare la loro posizione e a lanciare messaggi.

I punti attorno ai quali si sviluppa l’analisi degli economisti Bce sono due, essenzialmente: che cosa sarebbe successo se il Mip (Macroeconomic Imbalance Procedure), adottato nel Novembre 2011 come risposta alla crisi, fosse stato già attivo prima dello scoppio della crisi, nel 2006 – 2007 o addirittura anche prima; e, di conseguenza, quali sono le criticità nella scelta del saldo strutturale come grandezza di riferimento per gli aggiustamenti di bilancio pubblico.

Con una ricostruzione a ritroso, si mostra come, se nel 2006-2007 il Mip fosse già stato funzionante, i segnali del deterioramento delle economie sarebbero stati colti prima e si sarebbe potuto intervenire in maniera tempestiva ma graduale, evitando l’accumularsi di problemi e tensioni. Il Mip si basa su un paniere di indicatori che coprono aspetti dell’economia pubblica e privata, della finanza e dell’economia reale, incluso il mercato del lavoro.

Molto meno evoluta della logica del Mip è la regola europea che presiede alle manovre correttive di finanza pubblica all’interno del Patto di Stabilità. Qui si prende come riferimento il saldo strutturale di bilancio pubblico, ovvero il deficit/surplus che emergerebbe se l’economia non fosse in recessione e il suo Pil fosse quello potenziale. Il calcolo del saldo strutturale è complesso e opinabile, in quanto implica la quantificazione del gap tra il Pil corrente (affetto dalla recessione) e il Pil teorico in condizioni “ideali”.

Gli autori giungono, dati alla mano, alla stessa conclusione di Cottarelli-Giammusso-Porello: il riferimento è inaffidabile, esposto a errori, e anche disponibile solo con ritardo rispetto alle urgenze delle scelte di policy che dovrebbe concorrere a orientare. Nel frangente attuale, il potenziale delle economie è sottostimato, così come lo è  anche l’impatto del ciclo economico. Non che le strutture dei partner siano esenti da pecche, ma in questo momento si esagera nel vedere problemi di struttura e si nascondo i problemi del ciclo, della congiuntura. Di conseguenza, la regola in vigore non riconosce sufficiente spazio alle politiche di contrasto del ciclo e in primo luogo al deficit spending. Di qui l’eccesso di austerità in cui l’Europa si sta avvitando.

Il paper Bce è tecnico, equilibrato e “politicamente” molto corretto, come non poteva non essere data l’Istituzione di appartenenza degli autori; ma forse noi lettori qualcosa possiamo provare a leggere tra le righe. Ad esempio, si può leggere che il Mip è stato adottato troppo tardi e che il cantiere Europa si è fatto trovare impreparato alla crisi (prima o poi era scontato succedesse, vista la gestazione lunghissima della governance Ue). Allo stesso modo, che si sta cercando di evitare che, tra qualche anno, un simile paper, con analisi a ritroso, possa dimostrare che, se si fosse adottata per tempo una riforma migliorativa del Patto di Stabilità e della regola del deficit, si sarebbero evitate complicazioni anche gravi.

Il paper offre anche alcune idee a proposito di quale potrebbe essere una riforma migliorativa delle regole di bilancio dell’Unione Europea. Gli autori aprono alla soluzione di agganciare la regola del deficit spending alle variabili su cui oggi è basato il MIP. Secondo loro, infatti, non ha senso che gli squilibri macroeconomici vengano diagnosticati sulla base di un serie multidimensionale di variabili, e che questo stesso set non possa poi esser preso a riferimento per spiegare e giustificare i saldi di bilancio pubblico e la politica economica. Il sottotesto più importante, tuttavia, è un altro: che l’economia pubblica e il bilancio pubblico sono parte del medesimo sistema economico, mentre oggisi rischia di trattarli quasi come “corpi estranei”, indipendenti l’uno dall’altro.

Tra le righe, inoltre, si può leggere forse anche qualcos’altro di un po’ più “politico”: la Bce, spesso ritenuta corresponsabile dell’aggravarsi della crisi e della stasi delle politiche economiche, tenta di fare chiarezza sottolineando i limiti della governance europea sul fronte reale, delle politiche di bilancio e lo fa indirizzandosi, per mano dei suoi economisti, alla Commissione e all’Ecofin. C’è anche spazio per un chiaro appoggio alle politiche di Draghi: la leva monetaria, dicono nel paper, potrebbe essere molto utile, persino risolutiva, in funzione anticiclica, ma ha bisogno di una collaborazione chiara e responsabile da parte delle politiche di bilancio. In quest’ottica, lo stimolo monetario – anche con acquisto straordinario di titoli pubblici all’emissione -dovrebbe poter contare su un meccanismo di trasmissione che, tramite il deficit spending e le scelte di politica economica, si canalizzi nella maniera più efficiente ed efficace nei sistemi economici, traducendosi il prima possibile in investimenti utili, sostegno della domanda delle famiglie e dell’occupazione, riforme. Insomma, si invoca una riforma del Patto e della regola sul deficit spending per poter riconoscere “ufficialmente” la gravità del ciclo economico e commisurare in tal senso l’azione di politica economica.

C’è una differenza, tuttavia, tra le due prese di posizione: se Il Tesoro italiano chiede modifiche al Patto di Stabilità per avere più spazio nella sua manovra di bilancio (quest’anno, ma anche nei prossimi), la Bce lo suggerisce per evitare vengano attribuite alla politica monetaria colpe che in realtà riguardano l’architettura complessiva della governance europea di cui l’Euro è componente importante, ma non esaustiva e tutt’altro che “onnipotente”. Con un miglior funzionamento delle politiche di bilancio, anche la politica monetaria potrebbe dare un contributo migliore al superamento della crisi. Addirittura sin dallo scoccare di una allerta Mip.

Certo, poi c’è sempre il rischio di dovere alla fine prendere atto che i partner non si fidano l’uno della spesa pubblica dell’altro, e che l’approssimazione e la miopia della regola attuale sono dovute proprio al fatto che, anche se fossero possibili e in linea teorica risolutive della crisi, politiche di aumento della spesa pubblica non trovano consenso politico europeo, non sono volute. Una diffidenza che amareggia e intristisce, ma che, se si pensa ai comportamenti di molti partner da quando è sorto l’Euro a oggi, forse può trovare qualche giustificazione. In altre parole, la fiducia reciproca tra gli stati membri è molto bassa. Anche fosse così, tuttavia, è comunque utile mettere in luce con chiarezza i limiti attuali del Patto e proporre, come avanzato nel lavoro della Bce, un suo concreto miglioramento, aiuta a sgomberare il campo da dubbi su aspetti tecnici, e “a guardarsi tutti direttamente negli occhi”.

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