Gli scatoloni si ammassano nei corridoi. La polvere si accumula, mentre i cestini traboccano di cartacce. Silenzio, stanze in buona parte già svuotate. Intanto tra i mugugni dei collaboratori e dei dipendenti, i deputati si apprestano a traslocare. Gli uffici di Palazzo Marini chiudono. Dopo anni di polemiche la Camera dei deputati ha finalmente rescisso i contratti di affitto con il noto immobiliarista romano Sergio Scarpellini. Entro il 12 dicembre gli oltre 400 parlamentari che hanno in dotazione uno studio tra piazza San Silvestro e via Poli dovranno andarsene. Un’operazione meritoria, sia chiaro. Grazie all’emendamento presentato dal Movimento cinque stelle e all’impegno di tutti i gruppi, Montecitorio risparmierà oltre 30 milioni di euro. Peccato che adesso i deputati non sanno più dove andare.
La ricerca di altri uffici è partita. I tre questori di Montecitorio sono al lavoro già da tempo. Bocciata l’ipotesi di un grande open space – qualcuno si è lamentato per la privacy – adesso si cerca ricavare qualche studio riorganizzando le sale dei palazzi già di proprietà della Camera. Carte catastali alla mano, non senza difficoltà sono già state individuate alcune alternative. Almeno 200 uffici saranno ricavati tra Palazzo Theodoli Bianchelli, in via del Parlamento (oggi sede del servizio informatico e del servizio del personale), e Palazzo Valdina, nel complesso di Santa Maria in Campo Marzio.
Ma non è ancora abbastanza. All’appello mancano almeno 200 stanze. Il problema potrebbe essere risolto se i deputati decidessero di dividere lo studio. Una sorta di coworking parlamentare. Ma non tutti sono disposti a stringersi. Del resto – al netto della riservatezza di ogni deputato – negli uffici lavorano anche i collaboratori e le segreterie. Lo spazio a disposizione rischia di non bastare. E così i questori si arrangiano come possono. A Montecitorio è stato ricavato un altro piccolo spazio vicino alla galleria di presidenti, dietro l’emiciclo. Sono gli ex uffici del centro servizi per i deputati cessati dal mandato, proprio di fianco alla filiale del Banco di Napoli. Servirà come appoggio temporaneo durante le prime fasi dopo il trasloco. E siccome l’obiettivo di tutta l’operazione è risparmiare, i questori si sono rivolti all’agenzia del Demanio. I tempi non sono brevi, ma qualche altro spazio potrebbe saltare fuori dall’operazione di razionalizzazione dei propri immobili già messa in atto dall’agenzia.
Ma non ci sono solo gli uffici del parlamentari. Molto più rilevante – e di difficile soluzione – è il problema legato alla mensa. Oggi uno dei tre complessi di Palazzo Marini ospita la mensa per i dipendenti e i collaboratori di deputati e gruppi parlamentari. Trasferire il servizio in un altro immobile del centro storico è evidentemente un’operazione lunga e complessa (sempre ammesso che si trovi uno spazio adatto). Basta pensare ai lavori di restauro necessari per organizzare una mensa di queste dimensioni nelle sale di un palazzo del Seicento, come ce ne sono tanti in questa zona di Roma. Ecco allora che i questori hanno avviato una trattativa con la società Milano 90 di Scarpellini per mantenere, almeno transitoriamente, il contratto di affitto del palazzo in questione. «Ma solo a fronte di un affitto congruo e molto minore rispetto ad oggi», fanno sapere. Al momento l’accordo ancora non c’è, la trattativa è in corso. In caso di rottura, a pagarne le conseguenze potrebbero essere i dipendenti della Milano 90.
Ecco il terzo problema, il più grave. Oggi i palazzi di Scarpellini sono affittati alla Camera dei deputati con una formula “all inclusive”. Comprensivi cioè dei dipendenti che svolgono i diversi servizi (dalla pulizia alla sicurezza). Ne fanno parte 426 operatori che in assenza di novità, entro Natale, perderanno il posto di lavoro. Stavolta la casta non c’entra nulla. Nella stragrande maggioranza dei casi sono persone inquadrate con un contratto di V livello del settore turistico alberghiero. Con uno stipendio netto di circa mille euro al mese. Negli anni, qualcuno si è anche sposato, e una cinquantina di dipendenti hanno messo su famiglia assieme. Ora rischiano di trovarsi per strada. «Pur non avendo la Camera alcun tipo di responsabilità – spiega il questore Gregorio Fontana – è questa la situazione che ci preoccupa di più».
Per qualcuno dei lavoratori l’ufficio di presidenza potrà intervenire direttamente. Magari inserendo nel bando di gara per la gestione dei nuovi uffici di Palazzo Valdina l’assunzione di questi dipendenti. Per gli altri il problema resta ancora da risolvere. Quello che sconcerta, però, è l’assenza delle altre istituzioni. «Considerando il numero di persone che rischiano di perdere il posto di lavoro – continua Fontana – . Questa è la terza vertenza in Italia dopo Meridiana e le acciaierie di Terni. Eppure non è mai stato aperto neppure un tavolo alla Regione Lazio».