A volte ritornano. Al Governo, si sa, la Web Tax non è mai piaciuta. Già poco meno di un anno fa il consiglio dei ministri aveva sbattuto la porta in faccia alla proposta fatta da Francesco Boccia del Partito democratico — cancellando la norma all’interno del provvedimento Salva Roma — che prevedeva l’introduzione di una tassa da imporre ai colossi della tecnologia che vendono prodotti, in Rete, all’interno dei confini italiani.
Da qualche giorno il dibattito sulla Web Tax si è improvvisamente riacceso, merito di un emendamento avanzato da Sel all’interno della Legge di Stabilità. Il nodo cruciale reintrodurrebbe l’obbligo di possedere una Partita Iva italiana per coloro i quali vendono servizi pubblicitari ad aziende insediate nel nostro Paese. Linkiesta ha intervistato Giorgio Airaudo firmatario dell’emendamento che ci ha spiegato il perché di questa iniziativa e come gli eventuali soldi della Web Tax potrebbero servire a sanare una situazione in bilico da tempo
Perché avete pensato ad un emendamento che reintroduca la Web Tax?
La copertura della Web Tax è pensata per rimediare al guaio dei ferrovieri (il riferimento va alla riforma delle pensioni fatta dall’allora ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Elsa Fornero, che nello specifico ha fatto slittare la data di pensionamento di molti ferrovieri, ndr). Come si sa la riforma Fornero ha lasciato scoperti i ferrovieri, in particolare i macchinisti e il personale viaggiante.
Quindi?
Visto che il nostro emendamento sul pensionamento dei ferrovieri non era stato ammesso, quando lo abbiamo proposto la prima volta, perché si diceva non ci fossero le coperture finanziarie, noi abbiamo pensato di introdurre Web Tax — che ci sembra una tassa giusta, oltre che un modo utili per recuperare dei soldi. Vogliamo dimostrare che con quei soldi lì si possono mandare in pensione i ferrovieri e far viaggiare i treni sicuri. Ripristinare quello statuto speciale per il ruolo dei ferrovieri (poter cioè andare in pensione in anticipo, a causa dello svolgimento di un lavoro usurante, ndr) che per ragioni di sicurezza oltre una certa età è bene che non guidino un treno ad alta velocità. Quindi noi abbiamo voluto dimostrare che con la Web Tax — tra l’altro già proposta dal presidente della Commissione al Bilancio Francesco Boccia — facciamo una proposta per risolvere un problema che fino ad ora è stato annunciato, condiviso ma non risolto. Nei fatti stiamo dicendo di introdurre una norma che non pesca sui soliti noti e risolvere un problema di persone che lavorano, mettendo in sicurezza i treni.
Al di là della mossa “strategica”, siete a favore della Web Tax e dei suoi contenuti?
Siamo d’accordo sul contenuto della Web Tax. Pensiamo che sia meglio tassare loro (le grandi aziende tecnologiche, ndr) piuttosto che far pagare più tasse ai cittadini, e pesare sui servizi dei comuni, delle regioni o sulla sanità. D’altronde ci troviamo in una situazione abbastanza curiosa, nel senso che si detassa a livello nazionale, o almeno così si lascia intendere, poco, male e in modo non equo aggiungerei. Ma in realtà, con un meccanismo che invece aumenta le diseguaglianze, si tassa a livello locale comuni e regioni. La cosiddetta Web Tax è secondo noi una tassa che non andrebbe a colpire i soliti noti e che in questo caso viene messa a copertura di un’ingiustizia dovuta ad un errore materiale riconosciuto dalla stessa Fornero quando era ministro. Quello che ci interessa è soprattutto la finalizzazione dell’iniziativa.
Va detto che Renzi ha già respinto tale proposta, avanzata tra l’altro da un membro del suo partito.
Questo non vuol dire nulla, non è che ora Renzi è diventato il signor no o il signor sì. Siamo in una Repubblica parlamentare ancora — per quanto non mi convinca la sua concezione di bicameralismo perfetto — quindi noi abbiamo il diritto di provarci. Non è che se il Governo non ascolta, il Parlamento deve piegarsi, anzi ha maggior ragione si insiste, anche sulle contraddizioni. Io la penso così.