Il problema
Qualsiasi neo lavoratore ha il diritto di “essere messo alla prova” con il sostegno di persone che lo assistano e lo aiutino durante la prima fase di inserimento nel mondo del lavoro. Per un insegnante questa fase è ancora più importante, considerata la peculiarità dei soggetti con cui interagisce. Ne consegue che l’anno di prova dovrebbe essere oggetto di cura istituzionale permanente e su di esso dovrebbero essere concentrate attenzioni e risorse: troppo alta e delicata è la posta in gioco.
Ora la questione si fa ancora più complessa dal momento che la “Buona scuola” prevede l’inserimento nell’anno scolastico 2015-2016, in una unica soluzione, di ben 140.600 nuovi docenti: tutti iscritti alle graduatorie ad esaurimento [GAE]. La scelta appare molto civile ed in linea con l’attenzione della stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea nei confronti dei contratti reiterati oltre i 36 mesi nella nostra scuola pubblica.
Qui si incontrano (o scontrano) due diritti da tutelare: da un lato quello del lavoratore, dall’altro quello degli studenti ai quali sono dovuti insegnamenti efficaci, senza alcuna disparità di trattamento (almeno come indicazione di principio generale). E sorgono due domande non retoriche:
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si possono considerare ancora efficaci gli interventi formativi fino ad oggi realizzati per i neo assunti all’interno del nostro sistema d’istruzione?
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quale modello potrebbe funzionare meglio per un numero elevatissimo di docenti (quasi 150.000), considerando che l’età media è di 42 anni circa?
Le risposte del modello ancora vigente
Le disposizioni ministeriali attualmente vigenti risalgono al 2001, ma vengono annualmente reiterate con note del Miur (la più recente è la n. 3801 del 17 aprile 2014) e prevedono corsi articolati in 25 ore in presenza e 25 ore on line, su piattaforma gestita dall’Indire, da realizzarsi all’interno di gruppi di circa 30 corsisti, distribuiti a livello territoriale, affidati ad un direttore di corso e coordinati da un e-tutor. Al termine di questo percorso formativo, il neo docente deve presentare una relazione (in forma di “tesina”) al comitato di valutazione (interno alla scuola) che ha il compito di esprime un parere.
Nel corso degli anni il modello è diventato una routine, a volte inconsistente, altre volte solo pesante. Dal momento che le operazioni di avvio vengono generalmente impartite dal Miur non prima del mese di aprile, “l’anno di formazione” si è trasformato, di fatto, in “mese di formazione”.
Molte sono le evidenze problematiche:
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la concentrazione temporale alla fine dell’anno scolastico annulla l’idea di sostegno e tutoraggio nel corso dell’anno di prova;
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c’è uno scollamento tra i saperi, su cui i neo assunti sono chiamati a riflettere, e la realtà con cui ogni giorno il docente deve fare i conti;
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c’è una grande distanza tra l’accompagnamento dell’e-tutor (nato come esperto informatico e facilitatore web) e il tutor di scuola (figura poco valorizzata);
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spesso la cd “tesina”, oggetto di discussione al comitato di valutazione, costituisce solo un appesantimento burocratico, altra cosa da quella riflessione sul “fare scuola” che potrebbe essere facilitata da uno strumento come il “portfolio”.
Cosa si può fare per il futuro
Le azioni formative dei docenti che si avviano alla professione non possono avere la stessa “fattura” della formazione rivolta ai docenti già professionalizzati. Ecco alcuni possibili passaggi.
Accoglienza nella comunità professionale
È importante che ci siano azioni mirate per “l’induzione alla professione”. I neo docenti hanno bisogno di cura, vicinanza ed accompagnamento. Fin dall’inizio dell’anno scolastico essi devono sentirsi accolti nella comunità professionale. Per questo, ogni istituzione scolastica dovrebbe inserire nel POF azioni, tempi e strategie dedicate. Ma anche a livello regionale [provinciale, territoriale] ci possono essere, per esempio, alcuni incontri, a carattere seminariale, per condividere l’idea di professionalità e di sviluppo professionale, per costituire un clima positivo e, soprattutto, per far percepire la vicinanza dell’istituzione alla quotidianità del fare scuola.
Peer review per incentivare la collaborazione tra pari
Ma è soprattutto dentro la comunità scolastica che il docente neo assunto deve sentirsi accolto e guidato. Per questo è importante che il dirigente individui immediatamente un docente esperto (un “mentor”, alla luce della “Buona scuola”) con il compito di far crescere la motivazione, di costruire un forte collegamento professionale, di incoraggiare il confronto, di aiutare a mettersi in discussione.
Tra il mentor e il neo assunto si viene a creare un rapporto di reciprocità (peer review) anche attraverso l’autoosservazione e la riflessione cognitiva (debriefing). Per facilitare il rapporto è necessario un raccordo a priori a livello di Istituto, utilizzando checklist con indicatori significativi sulla qualità dell’azione didattica (analisi di contesto, strategie efficaci, gestione della classe, sostegno personalizzato, uso delle tecnologie didattiche, ecc.).
Portfolio per elaborare un bilancio di competenze
L’azione riflessiva è la condizione di base del buon insegnante. E lo strumento principe è il portfolio. Un modello, semplice di portfolio potrebbe essere articolato in quattro parti:
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Autopresentazione [identità professionale]: ricostruzione/documentazione degli studi fatti, della formazione professionalizzante, delle esperienze lavorative;
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Documentazione: individuazione dei momenti significativi che hanno contribuito allo sviluppo professionale, ricostruzione di incontri importanti, eventi formativi, ricerche e innovazioni, partecipazione a gruppi, ecc… (per fare emergere il docente “riflessivo”);
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Professionalità in contesto: rappresentazione di come si organizza, progetta e gestisce il lavoro in classe (auto-osservazioni e protocolli di osservazione “esterne”, presentazione di evidenze, ecc).
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Autovalutazione: messa a punto di un percorso di sviluppo professionale, a seguito di un bilancio critico delle proprie competenze, anche per dar conto della coerenza tra le proprie idee sul fare scuola e le pratiche didattiche concretizzate in classe.
Partecipazione a comunità di pratiche e ad azioni formative esterne
I neodocenti devono essere messi nelle condizioni di fruire facilmente delle opportunità formative (seminari di studi, laboratori, conferenze, convegni, ecc) che le istituzioni (Miur, Usr, reti di scuola, scuole, ecc.) realizzano sul territorio. Gli esiti culturali e professionali possono essere oggetto di meditazione e valutazione nelle comunità di pratiche. Per favorirle ci si può avvalere anche delle risorse esistenti: per esempio, la stessa piattaforma INDIRE, se liberalizzata ed aggiornata nei contenuti; o lo stesso modello formativo, tuttora vigente, dei “gruppi di 30 neodocenti”, ma anch’essi, solo se “liberalizzati” e convertiti in gruppi di riflessione e scambio professionale. Per la conduzione di tali gruppi (virtuali e/o in presenza) si possono utilizzare le competenze degli stessi e-tutor che assumono, però, la funzione di mentor.
La partecipazione a comunità di pratiche costituisce un’altra occasione per creare correlazioni tra la cultura e i propri saperi professionali, tra le attività formative e le esperienze in classe.
Solo se sarà ripensato l’anno di formazione e “di prova” saranno reali le condizioni affinché l’immissione di 150 mila neodocenti sia un’iniezione positiva per la nostra scuola e non solo una soluzione del problema del precariato.
*Dirigente Ufficio Scolastico Regionale per l’Abruzzo