C’è un vaso dell’antica Grecia che gli esperti hanno datato al 500 Prima di Cristo che raffigura un guerriero soccorso che viene bendato dal “buon Samaritano”. La smorfia di dolore di Patroclo nella coppa di Sosias (oggi custodita a Berlino) è forse il primo segno che testimonia le abilità e le conoscenze di primo soccorso nella storia.
Di bendaggio in bendaggio però l’organizzazione dei servizi di primo soccorso ha una storia molto più “recente”, che però affonda le radici ancor prima dell’irruzione nella storia di Henry Dunant, fondatore dell’organizzazione della Croce Rossa Internazionale.
La smorfia di dolore di Patroclo nella coppa di Sosias (oggi custodita a Berlino) è forse il primo segno che testimonia le abilità e le conoscenze di primo soccorso nella storia
Già nel tredicesimo secolo l’Arciconfraternità della Misericordia di Firenze istituì la prima istituzione di soccorso organizzato: personale religioso si occupava dei malati all’interno di ospedali e lazzaretti, mentre alcuni laici prestavano servizio volontario e anonimo, intervenendo incappucciati e trasportando gli infortunati con la zana e il cataletto, antenati della moderna barella.
Il primo soccorso come lo intendiamo oggi si è sviluppato in ambito militare: già nel 1400 Isabella di Spagna istituì le prime “ambulancias”, cioè formazioni sanitarie mobili che seguivano l’esercito. Il primo vero ospedale mobile però lo istituisce Ambroise Parè, chirurgo militare francese, che per primo organizza i soccorsi durante la battaglia nel 1537. In Italia, a Torino, Ambroise effettua i primi veri e propri interventi di primo soccorso direttamente sul campo di battaglia, mentre negli anni successivi perfeziona le cure per i feriti, in particolare la legatura dei vasi. Con questa tecnica Parè mise gettò le basi per evitare l’amputazione degli arti in seguito alle ferite da arma da fuoco.
Dall’altra parte dell’Oceano nella seconda metà del 1700 il generale George Washington chiede al congresso di fondare un corpo medico per i soldati impegnati nella guerra civile. Nasce il 27 luglio del 1775 il “The Hospital” che assegna ad una legione di 20mila militari 4 chirurghi, un farmacista, 20 assistenti al chirurgo, un impiegato, un bottegaio e un’infermiera ogni 10 pazienti: è il primo centro medico nazionale per soldati che si forma in America.
Tuttavia il primo soccorso ai feriti sul campo di battaglia è ancora all’alba della sua storia, e il trasporto non è ancora efficiente. Così, nel 1792, il capo chirurgo dell’esercito del Reno, Dominique-Jean Larrey introduce le “ambulanze volanti”. Le ambulanze di Larrey consistono in un sistema di vetture con a bordo i primi kit di medicazione, che possono essere usati sul ferito durante il trasporto al più vicino ospedale. Il chirurgo francese è considerato il padre del moderno sistema delle ambulanze.
La medicina militare è decisiva per spingere il concetto del primo soccorso e della moderna ambulanza, cioè un mezzo per intervenire sul ferito durante il trasporto e in grado di portarlo in ospedale nel più breve tempo possibile. I carri ambulanza però risultavano troppo pesanti per adattarsi a terreni spesso accidentati, così prendono piede le lettighe a ruote e, per agire con tempestività una volta arrivati all’ospedale, il dottor Jonathan Letterman introduce durante la guerra di secessione nel 1862 il sistema del “Triage”. Il Triage è ancora oggi il metodo che classifica la gravità dell’incidente per l’accesso al pronto soccorso. Un sistema determinante per intervenire tempestivamente sugli infortunati più gravi.
La medicina militare è decisiva per spingere il concetto del primo soccorso e della moderna ambulanza
Tre anni prima nel 1859 Henry Dunant introduce un concetto preziosissimo, che getta le basi per portare il primo soccorso al di fuori dell’applicazione militare e organizzare le pubbliche assistenze: durante la battaglia di Solferino Dunant organizza la popolazione locale per aiutare i soldati reduci dalla battaglia organizzando anche l’acquisto del materiale necessario e la costruzione di strutture improvvisate in cui curare i feriti. Quattro anni dopo lo stesso fonderà la Croce Rossa in quel di Ginevra.
Segue la St. John Ambulance Association che grazie al lavoro del chirurgo militare Peter Sheperd introduce l’insegnamento sistematico e organizzato del primo soccorso alla popolazione civile. Negli Usa l’infermiera Clara Burton, seguendo l’esempio di Dunant fonda l’American Red Cross, di cui la stessa Burton è primo presidente.
In Italia è del 1904 la nascita dell’ Anpas (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze), che in questi giorni va a congresso per il suo centodecimo anniversario di fondazione, e di cui Linkiesta può pubblicare alcune foto d’archivio che testimoniano l’evoluzione del primo soccorso in Italia nel corso degli ultimi 110 anni. Oggi l’Anpas è una organizzazione che conta 90mila volontari attivi 500mila soci e 7mila mezzi, che si dividono tra ambulanze, protezione civile e servizi sociali.
I conflitti mondiali mettono a dura prova il sistema delle pubbliche assistenze, assorbite quasi esclusivamente per interventi militari, ma dal secondo dopoguerra in avanti diventeranno un tassello insostituibile per il primo soccorso e nelle situazioni di emergenza dettate da calamità naturali come alluvioni e terremoti.
Ecco perché mi chiamo Garibaldo – Dal volontariato alla resistenza: le storie della storia di Garibaldo Benifei expresidente della pubblica assistenza SVS di Livorno e partigiano
Nel 1904 nasce in Italia l’Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze (Anpas), che in questi giorni compie 110 anni
Dal carro lettiga si è passati negli ultimi cento anni a innovazioni radicali, sia nelle tecniche di primo soccorso (basti guardare all’evoluzione del massaggio cardiaco, le cui prime notizie di riuscita risalgono all’850 avanti cristo), sia nell’utilizzo della tecnologia e della comunicazione. Oggi ci sono elicotteri (il primo elisoccorso fu introdotto dall’esercito Usa durante la guerra del Vietnam, oggi nel solo Lazio si effettuano circa 2.300 interventi di eliambulanza in un solo anno), ambulanze che si muovono grazie al fovoltaico, app e droni. A proposito di droni proprio in questi giorni Lo studente universitario olandese Alec Momont ha presentato l’ambulanza drone: sfruttando le possibilità del mezzo radiocomandato di evitare il traffico cittadino e l’accoppiata con un defibrillatore in meno di un minuto sarà possibile procedere alla rianimazione del paziente. Un mezzo che potrebbe salvare un gran numero di vite: nella sola Unione Europea circa 800mila persone tutti gli anni soffrono di arresto cardiaco. Si stima, nei casi più critici, che solamente l’8% riesca a sopravvivere, questo è principalmente dovuto alla lentezza dei soccorsi immediati (circa 10 minuti). La morte cerebrale sopravviene dopo 4-6 minuti di inattività cardiaca. Il drone di Momont, seguito da una centrale operativa tramite un software può arrivare sul luogo ed essere utilizzato in meno di due minuti.
A proposito di comunicazione, anche in questo ambito la comunicazione di emergenza deve incontrarsi con l’innovazione e i nuovi media. «Ce ne siamo resi conto – racconta a Linkiesta Andrea Cardoni, addetto alla comunicazione di Anpas – durante il terremoto de L’Aquila e successivamente in Emilia Romagna. Si ponevano due problemi – spiega Cardoni: il racconto che facevano i media basandosi spesso su voci di corridoio non attendibili su danni e cause del sisma e il fattore della prevenzione per il cittadino». Per la secondo è partita la campagna “Io non rischio” da un’idea Anpas, Protezione Civile e Ingv per la formazione dei cittadini nelle zone sismiche. In seconda battuta stiamo portando avanti il programma #SocialProciv, proprio perché oggi la comunicazione del rischio e dell’emergenza «passa attraverso i social media – dice Cardoni – e spesso si alimentano a dismisura allarmi e leggende metropolitane che rendono ancora più difficile l’arrivo dei soccorsi e il rapporto dei soccorritori con gli abitanti del posto».