Altro che dieta mediterranea e vita sana. Anche l’Italia è affetta da quella che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha definito una «silente epidemia globale». Vale a dire: l’obesità. Che da noi non è tanto diffusa tra i grandi, quanto tra i bambini, i quali in due casi su tre si trasformeranno a loro volta in adulti obesi. Snack grassi, patatine fritte e bibite gassate hanno preso il sopravvento anche nelle merende italiane. Con tutti i rischi che i chili in eccesso da bambini possono comportare: maggiore rischio di malattie cardiovascolari, diabete, problemi ortopedici, disordini mentali, basso apprendimento a scuola e bassa autostima.
La quota di adulti italiani sovrappeso tocca quota 35,6% per cento (2012). Gli obesi invece sono oltre 4 milioni 700mila, il 10,4%, più di uno su dieci. Un fenomeno più concentrato nelle regioni del Mezzogiorno e che spesso si associa con bassi livelli di istruzione. Tra chi ha un titolo di studio medio-alto, la quota di individui con chili in eccesso si ferma al 5 per cento. La percentuale triplica, arrivando a sfiorare il 16%, tra chi ha al massimo la licenza elementare.
La quota di adulti italiani sovrappeso tocca quota 35,6% per cento (2012). Gli obesi invece sono oltre 4 milioni 700mila, il 10,4%
Il fenomeno da noi è cresciuto soprattutto negli ultimi cinque anni, registrando un incremento del 9%, in particolare tra gli uomini e tra gli anziani. Quello che l’Istat ha rilevato, comunque, è che il peso tende ad aumentare con l’età: tra i 18 e 24 anni gli obesi sono il 2,8%, tra i 65 e i 74 sono il 15,9 per cento.
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Considerando la sola obesità adulta, in Europa l’Italia si colloca comunque nella parte bassa della graduatoria, mantenendosi molto distante dagli Stati Uniti, dove ben il 30% della popolazione è in condizioni di obesità. Le condizioni più preoccupanti nel vecchio continente, in base ai dati Ocse, si trovano nel Regno Unito, dove gli obesi sono il 23%, e in Grecia, al 22 per cento. Il peso in eccesso è molto diffuso anche in molti Paesi dell’Est Europa, in particolare in Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca. Sono molto più grassi di noi anche in Germania e Spagna, con una percentuale del 13 per cento. In Francia, con il 9,5%, la percentuale è molto simile alla nostra. Le nazioni più virtuose sono invece Svizzera e Norvegia, dove l’obesità colpisce l’8% della popolazione.
Quello che più preoccupa l’Italia, però, è la diffusione del peso eccessivo tra i bambini, che assegna al nostro Paese uno dei primi posti in Europa nell’indice dell’obesità infantile. Considerando i ragazzi di tredici anni, ad esempio, l’Italia è al quarto posto per numero di bambini in sovrappeso dopo Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna. I bambini italiani, rispetto ai coetanei europei, sono anche quelli che praticano meno sport in assoluto in tutte le fasce d’età. Il risultato è che tra i 6 e 17 anni il 26,9% è in eccesso di peso, e tra gli 8-9 anni il 10,2% è in condizioni di obesità.
Quello che più preoccupa l’Italia, però, è la diffusione del peso eccessivo tra i bambini, che assegna al nostro Paese uno dei primi posti in Europa nell’indice dell’obesità infantile
In media, in base agli ultimi dati del ministero della Salute, il 22,2% dei bambini italiani è risultato in sovrappeso e il 10,6% obeso. Anche qui, le percentuali maggiori riguardano le regioni del Centro Sud: in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Basilicata i chili di troppo colpiscono più del 40% dei bambini, mentre Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige sono sotto il 25 per cento.
Una variabile fondamentale è il contesto familiare. Il peso e l’istruzione dei genitori mostrano un’associazione con lo stato fisico dei figli. Nelle famiglie in cui c’è almeno un genitore obeso, c’è una maggiore percentuale di bambini con chili di troppo. Stessa cosa vale per il livello di istruzione: laddove l’istruzione dei genitori è elevata, si assiste a una percentuale minore di figli in sovrappeso.
L’educazione alimentare resta cruciale. Secondo l’ultimo rapporto Istat-Unicef, è ancora molto alta la quota di bambini che non fa una colazione adeguata, ad esempio. Tra i 3 e i 17 anni il 9,9% non mangia a sufficienza al mattino; quota che sale al 16,7% tra gli 11 e i 17, mentre tra i più piccoli dai 3 ai 10 anni la percentuale scende al 3,9%. A metà mattina, poi, il 65% fa una merenda troppo abbondante. Ed è a questo punto della giornata che si abusa di snack grassi e poco salutari: tra i bambini di 3-10 anni la quota di chi mangia uno snack una volta al giorno è pari all’11,4%, mentre tra gli adolescenti aumenta al 17,4 per cento.
Frutta e verdura nella dieta giornaliera dei bambini italiani sono rare se non del tutto assenti. Il 22% dei genitori, secondo i dati raccolti dal ministero della Salute, dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente una mela o un’insalata. Nella fascia 3-10 anni solo 10,9% mangia quattro porzioni o più di frutta e verdura. La quota sale al 13,3% tra gli 11 e i 17 anni. Ma se il consumo si abbassa a tre porzioni giornaliere, la quota sale al 66% per i più piccoli e al 60% per i più grandi.
Al contrario, ben il 44% dei bambini consuma abitualmente bevande zuccherate e gassate. Anche qui il consumo è correlato con il livello culturale dei genitori: i dati dell’Istat-Unicef dicono che la quota di consumatori quotidiani di più di mezzo litro di bevande gassate tra i ragazzi di 11-17 anni è pari al 4,7% se le madri sono laureate, si sale al 10,4% se hanno il diploma di scuola superiore e all’8,6% se hanno completato solo la scuola dell’obbligo.
D’altronde che l’Italia sia la patria del buon mangiare è solo un ricordo ormai da un po’ di tempo. Nel Good Enough to Eat Index, la classifica dei Paesi in cui mangia meglio stilata da Oxfam incrociando reperibilità e qualità del cibo, i prezzi e la salute dei consumatori, l’Italia occupa l’ottavo posto a pari merito con Australia, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo. Prima di noi ci sono Olanda (prima in classifica), Francia, Svizzera, Austria, Belgio, Danimarca e Svezia. Se per la reperibilità degli alimenti abbiamo il punteggio massimo, scendiamo di qualche posizione per la qualità, ma soprattutto per il costo e (guarda un po’) le condizioni di salute di chi mangia.
La nota dolente è anche la pratica dell’attività fisica. I bambini italiani sono troppo sedentari, dicono dal ministero della Salute: il 18% pratica sport solo per un’ora a settimana o meno, il 36% guarda la tv e gioca con i videogiochi per più di due ore al giorno, il 44% ha la tv in camera, e solo un bambino su 4 va a scuola a piedi o in sella alla bicicletta.
La cosa più grave è che tra i papà e le mamme dei bambini in sovrappeso o obesi, il 37% non ritiene che il proprio figlio abbia problemi di peso e solo il 29% pensa che la quantità di cibo da lui assunta sia eccessiva. In più, solo il 40% delle madri dei bambini fisicamente poco attivi ritiene che il proprio figlio svolga un’attività motoria insufficiente.
Dietro ai numeri e alle abitudini sbagliate si nascondono i rischi per la salute. Nel 2010, dicono i dati dell’Oms, l’obesità nel mondo ha causato 3,4 milioni di morti e il 4% di anni di vita in meno, dovuti all’insorgenza di malattie cardiovascolari e respiratorie. Cosa che ha anche un costo, tra assistenza medica personale, ospedali e farmaci. La spesa sanitaria sostenuta da un obeso è in media il 25% più alta di quella di un soggetto normopeso. Solo in Italia, il costo dell’obesità rappresenta il 6,7% del totale della spesa sanitaria, a cui vanno aggiunti i costi indiretti legati alla perdita di produttività. In base ai calcoli fatti dal Barilla Center for Food & Nutrition, entro il 2050 se non modificheremo e nostre abitudini alimentari e gli stili di vita, la spesa sanitaria italiana crescerà di circa 24,3 miliardi di euro. Il 10,6% del Pil, che andrà a finire tutto per smaltire grassi e chili di troppo.