Ricomincia in salita il percorso della legge elettorale. Dopo la prima approvazione della Camera – e una lunga pausa nei cassetti della commissione Affari costituzionali del Senato – la riforma riprende il cammino a Palazzo Madama. Nelle intenzioni del governo l’iter dovrebbe essere particolarmente spedito. A Palazzo Chigi il premier Renzi ha già indicato la fine di dicembre per l’approvazione dell’Aula e il mese di febbraio per il definitivo ok del Parlamento. Ipotesi ottimistiche, forse troppo. Bastano poche ore di discussione in commissione per veder riaffiorare la palude. Forza Italia adesso frena. I senatori berlusconiani chiedono più tempo per discutere le modifiche alla norma. Come se non bastasse, il presidente del gruppo Paolo Romani immagina una clausola di salvaguardia in caso di elezioni anticipate (in attesa della riforma costituzionale e del conseguente superamento del Senato, mesi fa si era deciso di applicare l’Italicum solo alla Camera dei deputati). Il rischio è un inevitabile allungamento dei tempi. Con buona pace delle aspettative del governo Renzi, del Patto del Nazareno e dei recenti vertici di maggioranza.
L’interesse dell’esecutivo è evidente. Prima arriva la nuova legge elettorale, prima il governo può usare la minaccia del voto anticipato. Da qui la decisione di accelerare i tempi. Il calendario è serrato. Le audizioni di almeno 25 esperti dovranno essere concluse nelle prossime tre sedute della commissione Affari costituzionali. L’avvio della discussione generale è in programma per il 26 novembre. In tempo per arrivare all’approvazione in Aula entro la fine dell’anno. Del resto il nuovo impianto della riforma non è una novità. Le modifiche alla prima versione dell’Italicum sono già state discusse durante un recente vertice di maggioranza e nell’ultimo confronto tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.
Nel pomeriggio è la presidente della commissione Anna Finocchiaro a introdurre, nella sua relazione, i possibili cambiamenti. L’innalzamento della soglia che permette di raggiungere il premio di maggioranza, dal 37 al 40 per cento. Ma anche la riduzione delle percentuali richieste per accedere al riparto dei seggi. Se in un primo tempo la soglia di sbarramento per i partiti non coalizzati era stata fissata all’8 per cento, la nuova stesura la abbassa fino al 3 per cento. L’ultima novità riguarda invece l’assegnazione del premio di maggioranza, limitato alle sole liste e non più alle coalizioni. In serata Matteo Renzi conferma fiducioso nella consueta E-news: la partita si chiuderà «entro l’anno».
Peccato che non tutte le modifiche siano state accettate da Forza Italia. Nell’ultimo incontro a Palazzo Chigi, Renzi e l’ex Cavaliere avevano deciso di prendere tempo soprattuto sull’abbassamento della soglia di sbarramento al 3 per cento (una misura gradita dai partiti più piccoli come il Nuovo Centrodestra). E sulla decisione di attribuire il premio di maggioranza al partito e non alle coalizioni. Così adesso i berlusconiani vogliono aspettare. Sugli aspetti della riforma non previsti dal Patto del Nazareno «mi auguro ci sia spazio per discutere» chiarisce il capogruppo forzista Paolo Romani. «Nella sua relazione Anna Finocchiaro ha ripercorso il provvedimento della Camera e ha prefigurato alcuni punti sui quali il governo Renzi intende intervenire – le obiezioni di Romani – In un certo senso è come se il lavoro fosse già finito».
Non è tutto. I senatori di Forza Italia chiedono una clausola di salvaguardia in caso di elezioni anticipate. Una norma che, qualora la legislatura si interrompesse anzitempo, permetterebbe di attribuire i seggi di Palazzo Madama senza ricorrere al Consultellum (la legge disegnata dalla Corte Costituzionale in sostituzione del Porcellum). «Se approviamo una legge elettorale che è solo per la Camera e si va a votare domani – spiega Romani – prima dell’approvazione della riforma costituzionale, si vota giocoforza anche per il Senato, ma con il Consultellum, cioè una legge proporzionale pura. Il che potrebbe creare un imbarazzo a livello di maggioranza».
Certo, numeri alla mano la maggioranza che sostiene il governo potrebbe approvare la norma. Ma il dibattito parlamentare rischia di allungarsi. La corsa dell’Italicum rallenta. E in linea teorica Forza Italia ne avrebbe tutto il vantaggio. Anzitutto perché al momento non è ancora chiara la forma che prenderà il centrodestra. Il dialogo tra Berlusconi e Angelino Alfano è appena iniziato. L’intesa con la Lega di Matteo Salvini è tutt’altro che confermata. In attesa di chiarezza, meglio prendere tempo. Sullo sfondo resta il nodo Quirinale. È chiaro a tutti, ormai, che nel giro di poco tempo il Parlamento dovrà eleggere il successore di Giorgio Napolitano. Arrivare a quel giorno con la partita della legge elettorale ancora aperta, permetterebbe a Silvio Berlusconi di sedersi al tavolo delle trattative in una posizione di indubbio vantaggio. Perché affrettarsi ad approvare l’Italicum?
Alle convenienze politiche si aggiungono inevitabili lungaggini burocratiche. La prima è stata evidenziata oggi da Angelino Alfano, intervenuto in commissione in qualità di ministro degli Interni. Una volta approvata la legge, infatti, spetterà al Viminale ridisegnare l’ampiezza dei collegi elettorali. La riforma attribuisce al ministero 45 giorni di tempo. Per Alfano sono troppo pochi. Nel 1993, per svolgere lo stesso compito, la delega aveva previsto quattro mesi di tempo. Al Viminale ne impiegarono quasi cinque.