Il Colonnello Sanders vuole invadere l’Italia. Si è confrontato con le proprie truppe, ha contato le forze in campo e, con la collaborazione di alcune milizie locali, ha preparato un piano di attacco. Dopo anni, decenni di studio e di elaborazione di strategie, è pronto alla conquista. Non si tratta, fortunatamente, di una operazione bellica. L’invasione straniera, in questo caso, è del tutto pacifica, e anche piuttosto gustosa. E il Colonnello Sanders altro non è che il volto, noto a tutte le latitudini, che campeggia sul logo di Kfc, per vendite la seconda più grande catena di ristoranti fast-food al mondo dopo McDonald’s, specializzata nel pollo fritto, oggi parte di “Yum! Brands” (assieme a Taco Bell e Pizza Hut) e fondata negli anni Trenta del secolo scorso da Harland Sanders. La quale, presente in quasi centoventi paesi nel pianeta, è pronta, finalmente, a tentare le sorti anche sul territorio italiano.
Questa volta, è tutto vero. Perché anche se si parla di pollo, è opportuno evidenziare che le bufale, su questo argomento, sono state innumerevoli. Non è la prima volta che, negli ultimi cinque-dieci anni, su organi di stampa locali o nazionali, online o cartacei, appaiono notizie del tutto inventate relative alla ormai imminente discesa in campo di alcune delle più note catene del settore. Nello specifico, in cima alla lista degli annunci poi rivelatisi infondati, vi sono il gigante delle caffetterie Starbucks e appunto il re delle ali di pollo, Kfc (un tempo abbreviazione di Kentucky Fried Chicken, nome iniziale della compagnia, cambiato in “Kfc” nel 1991, scelta di marketing per differenziare la propria offerta e per evitare di utilizzare il poco salutare termine “fried”, fritto). Nel primo caso, voci evidentemente false, dal momento che Howard Schultz, Ceo di Starbucks, ha detto a chiare lettere di non aver ancora alcuna intenzione di tentare la fortuna in Italia (senza dimenticare il comprensibile timore della cultura dell’espresso che sussiste nel nostro paese). Nel secondo caso, notizie rivelatesi poco fondate, perché legate a imitazioni della catena Kfc, con nomi, ambientazioni e loghi molto simili all’originale. Questa volta, però, l’azienda del Colonnello Sanders arriva davvero.
Con un sito web ufficiale, Kfc.it, su cui appariva null’altro che la scritta “Stiamo arrivando!” e una pagina Facebook che in poco tempo ha attirato decine di migliaia di utenti bramosi di conoscere qualche dettaglio aggiuntivo sullo sbarco italiano del marchio americano, era stata preannunciata l’inaugurazione dei primi locali targati Kfc nel nostro Paese, a Roma e a Torino, con future aperture, non prima del 2015, in altre città. Per onore di verità e di precisione, quelli in apertura a fine novembre non sono esattamente i primi esperimenti di esemplari Kfc sul suolo italiano. Oltre a quelli situati nelle basi militari Usa di Sigonella in Sicilia e Gricignano in Campania, il cui accesso è limitato solo agli operatori e ai visitatori autorizzati, in pochi sanno che, già in passato, il marchio aveva tentato di aprire i battenti in Italia. Le fonti, al riguardo, sono poche e frammentate, ma all’inizio degli anni ’80 vi fu un primo, pionieristico, tentativo a Napoli, che però ebbe breve durata, e risultati non soddisfacenti.
L’esito del primo tentativo, di oltre trent’anni fa, deve aver portato Kfc, e i suoi partner europei, a pensare a una differente strategia. Niente massiccia campagna di marketing su televisioni, radio e media nazionali, nessuna star come testimonial, nessuna sponsorizzazione sulle casacche delle squadre di serie A, almeno per il momento. L’avventura del 2014, seppur di portata epocale, dato il notevole rilievo e la mole di affari della catena – che in media apre un nuovo ristorante ogni cinque ore nel mondo – sembra essere dunque all’insegna della prudenza. «Abbiamo ragionato, e deciso di puntare su un ritmo lento”, afferma a Linkiesta Corrado Cagnola, amministratore delegato di Kfc Italia, ex ad di McDonald’s Italia. «Anche attraverso i mezzi online, abbiamo utilizzato una pagina web e una pagina Facebook, ovvero canali pull, e non push, che i clienti devono andare a cercare. Il successo è stato strepitoso, perché c’è molta aspettativa, nonostante si tratti di un marchio finora sconosciuto agli italiani». Una promozione finora affidata alle doti del pollo e incentrata esclusivamente sulla bontà del prodotto, dunque. Campagne di marketing su scala nazionale sono comunque previste per il futuro, aggiunge Cagnola. «Cominceremo a parlare a livello nazionale di Kfc con una comunicazione di tipo istituzionale. Il nostro è un brand iconico amato in tutto il mondo, e siamo certi che gli italiani apprezzeranno il gusto eccezionale, la qualità e la genuinità delle nostre ricette a base di pollo, nonché l’unicità dell’esperienza che offriamo ai nostri clienti. Dobbiamo raccontare la nostra storia, presentare l’azienda al di là del ristorante».
Il taglio di nastro del locale di Kfc nel Centro commerciale RomaEst di Roma
“Finalmente” e “Come mai ci avete messo così tanto?” sono stati i due commenti più ricorrenti della serata di esordio. All’interno dell’enorme Centro Commerciale Roma Est, che dista circa venti minuti di auto dalla Capitale, di fronte a un pubblico selezionato di circa duecento invitati e alla presenza di Roger Eaton, Global President di Kfc e Coo del Gruppo Yum! Brands Inc., si è svolta l’inaugurazione del primo esemplare italiano. Per il primo Kfc d’Italia, a pochi passi da un cinema multisala e (ironia della sorte) da un McDonald’s, una superficie di 850 metri quadri, circa 300 posti a sedere (180 all’interno e 120 sulla terrazza esterna di 200 metri quadri) e un’area giochi per bambini. A disposizione dei clienti, menù a partire da circa 6 euro, il celeberrimo cestino “Kfc Bucket” e prodotti tipici della catena quali Crispy Tenders (fettine di filetto di pollo), Hot Wings (ali piccanti di pollo) o pezzi interi, più sandwich, insalate miste e dolci vari. Degna di nota, la presenza, per la prima volta in Italia, di una macchina free refill, usanza tipicamente americana che permette di avere bevande alla spina gratuite e illimitate. «Ci abbiamo messo tanto tempo ad arrivare perché abbiamo sempre avuto un profondo rispetto nei riguardi della tradizione e della cucina italiana, e dunque, di conseguenza, anche un po’ di timore reverenziale», afferma a Linkiesta il Global President Eaton. «Tuttavia, siamo certi di aver effettuato un giusto investimento, puntando sull’Italia. Kfc è un brand globale che vanta una lunga storia nel servire cibi deliziosi preparati a mano. Siamo pronti a portare il nostro gusto inconfondibile ai consumatori italiani».
Centinaia di appassionati e curiosi hanno preso d’assalto il locale appena inaugurato. «Tutta questa gente è perché sta per arrivare qualche star?», ha chiesto un cliente del centro commerciale. «Il nostro pollo è la star», ha risposto una dirigente della compagnia. A rendere possibile la venuta del brand a Roma, l’imprenditore Francesco Fuga, franchisee partner di Kfc, che ha dichiarato di essere un fan della catena sin dai primi anni ’80. Il “suo” fast food aperto a Roma Est darà lavoro a circa 70 ragazzi (erano 700 le domande iniziali: «Terremo tutti in considerazione», hanno affermato i vertici Kfc Italia nella cerimonia di inaugurazione). Ma perché, per lo storico sbarco, si è preferito un centro commerciale, e non, per esempio, un locale del centro città, a pochi passi dal Colosseo? Oltre ai costi poco invitanti se non proibitivi di tale operazione, anche in questo caso, spiega Cagnola, si è trattato di una scelta di prudenza: «Abbiamo aspettato un po’, prima di trovare la location giusta, per rimanere e costruire una storia di successo. Vogliamo fornire un’immagine completa dell’azienda e integrarci perfettamente».
Un’immagine dell’inaugurazione del locale Kfc nel Centro commerciale RomaEst di Roma
Prima Roma Est, quindi Torino. Poi, nel 2015, almeno altri tre locali, in città ancora non rese note, anche se tutti gli indizi sembrano portare a Milano e alla Lombardia. L’obiettivo, per l’amministratore delegato, è giungere all’apertura di cento locali in tutta Italia (ovvero, una cifra simile a quella attuale di Burger King), che corrisponderebbero a circa cinquemila posti di lavoro. Gli ostacoli non sono pochi: dagli inevitabili stereotipi sui fast food americani alla concorrenza di altre catene già presenti, passando per le tante imitazioni sparse sul territorio, c’è chi si chiede se gli italiani possano rispondere con interesse a un prodotto così particolare come il “pollo fritto del Kentucky”. «Il mercato c’è, riceviamo migliaia di richieste da tutta Italia di persone che ne vorrebbero uno sotto casa», dichiara Cagnola. «Tramite una rete di investitori locali, in modello franchising, vogliamo essere sul territorio, andare vicino alla gente». Va da sé che un’eventuale reazione positiva da parte dei consumatori italiani, oltre a far crescere Kfc a livello nazionale, potrebbe anche aprire le porte a futuri investimenti legati agli altri due marchi del gigante Yum! Brands, ovvero Taco Bell e Pizza Hut (sebbene, su quest’ultimo, ci sia qualche ragionevole perplessità su entrambe le sponde dell’Atlantico, dato il rapporto tra Italia e prodotto-pizza).
Non sarà una passeggiata, per un marchio fino a ieri poco conosciuto dagli italiani, e i promotori dell’iniziativa ne sembrano essere ben consapevoli. Ma la società con sede a Louisville, nel Kentucky, non è nuova alle sfide impossibili. Perché la sua storia, come recita lo spot promozionale sulla pagina web di Colonel Sanders, è “il sogno americano, la storia dell’America”. Ovvero, la vicenda dell’imprenditore Harland Sanders, classe 1890, che vicino all’età della pensione, non soddisfatto dei 35 minuti necessari all’epoca per friggere il pollo, decise di dare vita a una nuova ricetta, tuttora segreta. Una nuova preparazione che, testata nel primo storico locale aperto nel 1930 a North Corbin, Kentucky, in piena Grande Depressione, ha poi portato all’apertura nel 1952 di un secondo a Salt Lake City, Utah, e così via, per quindi conquistare l’America e il mondo con prodotti quali pollo fritto, hamburger di pollo, sandwich e il popolarissimo e caratteristico “bucket”, ovvero il cesto pieno di ali e cosce di pollo.
Un’espansione impressionante, che ha portato la creatura fondata da Sanders a contare attualmente quasi 19mila ristoranti sparsi per i cinque continenti, con un fatturato annuale che nel 2013 si è aggirato attorno ai 21 miliardi di dollari. Un impero, secondo nel globo solo al gigante incontrastato di McDonald’s. Un brand, che dopo una lunga assenza, appare pronto a puntare dritto verso l’Italia, tra i pochi Paesi che erano ancora sprovvisti del franchise. “Nobody does chicken like Kfc”, ovvero “Nessuno prepara il pollo come Kfc”, recita lo slogan della compagnia. A breve, sapremo se anche i consumatori italiani sono d’accordo con questa affermazione.