È arrivato ancora una volta dall’attualità un nuovo spunto sul fenomeno troll e l’emergenza dello #StopWebViolence come parte integrante del Social Care, delle relazioni coi clienti online e, soprattutto, del proprio generale essere social. Twitter, infatti, ha scelto di fare un passo (piccolo) contro le molestie online, assoldando un team di donne come moderatrici. Se è vero, come ricorda un recente studio del Pew Research, che in USA ben il 25% delle ragazze è stato molestato online e il 26% ha subito stalking, Twitter ha ingaggiato l’organizzazione non profit Wam, «Women, action and the media», in un progetto pilota per intercettare molestie sessuali, commenti razzisti o lesivi della dignità degli utenti. I cinguettii segnalati, tramite un modulo online, saranno valutati da due moderatrici donne e, in caso, inviati a Twitter per la rimozione.
«È frustrante che con tutto il denaro che hanno a disposizione», ha dichiarato Jaclyn Friedman, direttrice esecutiva di Wam, a The Atlantic, «non siano in grado di spendere un po’di più per rendere più sicura la piattaforma», confessando di trovare «scandaloso che una piccola organizzazione con solo due persone debba lavorare gratis per loro». Il progetto ha inoltre, per ora, durata prevista di solo un mese: poco per stanare i veri violenti e tracciarne un profilo. C’è dunque «the Good and the Bad» in questa innovazione: teniamo in ogni caso per ora il buono, auspicando che sia l’inizio di una lunga serie di attività in tal senso.
Un gesto questo, intanto, che mostra la sensibilità del mondo britannico rispetto al problema della violenza online rintracciabile a ogni livello delle conversazioni: sia chiaro, dunque, anche di quelle in apparenza più innocue e scherzose. “Ma non ho detto niente di male”, è sempre pronto a giustificarsi ogni troll che si rispetti, esibendo prove della sua presunta innocenza. È proprio però dalle piccole cose che nasce spesso il male più grande, il flame più acceso che prima o poi ferisce. Proprio nel Regno Unito si sono registrati episodi come gli attacchi violenti alla Regina Elisabetta appena sbarcata su Twitter, il caso di Chloe Madeley, figlia dei presentatori tv Richard Madeley e Judy Finnigan, vittima di un deprecabile episodio di “trollismo”, ai limiti del cyber-bullismo, o ancora la proposta di legge Cameron per quadruplicare le pene contro i violenti online, portando a «due» gli «anni di carcere per chi offende», e le amare conclusioni di Tim Berners-Lee, padre del web, che ha detto di provare «disgusto» per i troll, responsabili della distruzione delle «speranze del web», delle ottimistiche previsioni verso «magnifiche sorti».
Anche nel resto del mondo anglosassone il tema è molto sentito. In America, secondo lo studio Pew Research sopra citato, 3 adulti su 4 dichiarano di aver assistito a episodi di violenza online e il 40% di loro di esserne stati personalmente vittima: per un 18% in modo molto pesante. Percentuali che salgono drammaticamente nella fetta di popolazione tra i 18 e i 29 anni. Così Zelda Williams, figlia dell’attore Robin, ha dovuto cancellare il proprio account Twitter dopo essere stata investita da una pioggia di messaggi offensivi in seguito alla morte del padre. La ricetta è sempre la stessa: «Non nutrite questi troll, ignorateli»,esorta Roger Dooley, uno dei massimi esperti di neuromarketing. «I troll possono distruggere le comunità», ha dichiarato, «anche perché spesso non sono perseguibili, non sempre rompono in modo chiaro le regole. Si dice spesso che questi troll, di persona e dal vivo, siano persone carine e posate. Ma le nuove ricerche mostrano l’esatto contrario. Questi troll, nella vita vera, sono spesso narcisisti, psicopatici e sadici».