Lavoro, Renzi punta sui contratti a tempo indeterminato

Lavoro, Renzi punta sui contratti a tempo indeterminato

La Legge di Stabilità 2015 è in buona parte disegnata per l’attuazione della riforma del mercato del lavoro, il cosiddetto Jobs act. La liberalizzazione dei contratti a termine attraverso il decreto Poletti dello scorso aprile aveva suscitato parecchie polemiche all’interno del Pd ed era stata digerita solo in virtù della promessa di introdurre l’ormai celebre “contratto a tutele crescenti” che avrebbe incentivato l’uso dei contratti a tempo indeterminato. Tuttavia le molte incertezze sui dettagli del contratto a tutele crescenti (in particolare se esso dovesse implicare o meno il reintegro per un licenziamento illegittimo), avevano comportato un lungo ritardo nell’approvazione della delega in Parlamento.

La questione si è recentemente risolta: dapprima, con un ordine del giorno della direzione del partito di maggioranza relativa che ha chiarito che il contratto a tutele crescenti non prevede il reintegro per un licenziamento illegittimo per motivi economici, e poi con il voto di fiducia al Senato (e forse anche alla Camera). Ora, quindi, è possibile attuare il progetto politico del governo di passare gradualmente da un mercato del lavoro fatto principalmente di contratti a termine per i giovani a un mercato del lavoro costituito da contratti a tempo indeterminato.

Certo, il decreto Poletti ha anche rilanciato le assunzioni con la liberalizzazione del contratto a termine e la semplificazione dell’apprendistato, ma certamente il contratto a termine non può essere considerato il centro della proposta politica del governo. La sfida sta infatti nella trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato e possibilmente nell’aumento complessivo dell’occupazione. Coerentemente con questo disegno nella legge finanziaria sono presenti due misure necessarie a promuovere il contratto a tempo indeterminato: il taglio dei contributi sociali per tre anni e il taglio dell’Irap sul costo del lavoro non a caso entrambe le misure sono limitate ai soli contratti a tempo indeterminato.

La deducibilità totale del costo del lavoro dalla base imponibile dell’Irap riguarda esclusivamente la forza lavoro a tempo indeterminato. Ed è controbilanciata dalla cancellazione del taglio del 10% dell’aliquota Irap decisa ad aprile. L’Irap torna quindi al 3,9% (dal 3,5%) sulla componente lavoro a tempo determinato (e sui profitti e interessi passivi). Significa che il governo fa sul serio nel tentativo di promuovere il contratto  a tempo indeterminato. Si è sempre detto che il miglior modo per incentivarlo è farlo costare di meno rispetto ai contratti a termine. Ecco un modo concreto per farlo anche a costo di rimangiarsi un taglio di tasse di pochi mesi fa. Se si utilizza il criterio di coerenza con il job act, alcune scelte della legge finanziaria che a prima vista possono sembrare penalizzanti diventano più chiare.

Le scelte relative alla decontribuzione per tre anni dei nuovi contratti a tempo indeterminato sono anche più rivelatrici del disegno (e della fretta) del governo. Sono stati stanziati per il 2015 1,9 miliardi di euro per la decontribuzione totale fino ad un massimo di 8000 euro dei soli contratti a tempo indeterminato firmati nel 2015. Da più parti è stata sollevata la preoccupazione che lo stanziamento di 1,9 miliardi non basterà per il 2015 (dato che la decontribuzione è per 3 anni, negli anni successivi è previsto lo stanziamento di 3 e 5 miliardi). Con questa somma, si dice, le aziende potrebbero assumere poco più di 300 mila persone a tempo indeterminato nel 2015 mentre ogni anno vengono attivati circa un milione e mezzo di contratti di questo tipo. Il governo sostiene che i soldi basteranno per 800mila persone perché alcuni contratti a tempo indeterminato sono part-time e perché non tutti i contratti verranno firmati nel gennaio del 2015. Ovviamente i contratti firmati nei mesi successivi costeranno proporzionalmente meno alle casse dello Stato.

Si vedrà presto nel 2015 chi avrà avuto ragione ma la ratio del governo è chiara: senza imporre vincoli all’uso degli incentivi (tipicamente si limita la platea alle aziende che creano occupazione addizionale rispetto all’anno precedente), si vuole ottenere il massimo dell’impatto in breve tempo. Concentrando le risorse la manovra prova a infondere quella fiducia negli investimenti che finora è mancata e che altri paesi come gli Usa hanno ottenuto con forti iniezioni di spesa pubblica e moneta a basso costo, armi non disponibili per il governo italiano. La strategia è molto diversa dai governi precedenti: anche i governi Monti e Letta avevano stabilito degli incentivi ai nuovi contratti a tempo indeterminato, ma le difficoltà burocratiche per accedere agli incentivi stessi e il loro limitarsi agli occupati con livelli di istruzione bassi e ai disoccupati di lungo periodo, li hanno resi inefficaci.

Nonostante l’esperienza internazionale suggerisca che i sussidi debbano essere strutturali e non temporanei, il governo ha scelto degli incentivi generosi e brevi (tre anni) invece che incentivi più modesti ma strutturali. Il rischio è di distorcere le scelte di assunzione e creare una “bolla” di contratti a tempo indeterminato destinata a scoppiare al termine degli incentivi. A mio parere è il segno ancora una volta che si punta tutto sul contratto a tempo indeterminato sapendo che dovrà superare la concorrenza del contratto a termine e che su questo il governo verrà giudicato a breve.Solo in un futuro più certo si potrà agire per via legislativa e limitare la facilità dei contratti a termine. Solo quando si è sicuri che è cambiata la percezione del contratto a tempo indeterminato nella testa degli imprenditori e quindi non si rischia, limitando il contratto a termine, di ostacolare la creazione di posti di lavoro. 

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