«Le suore non vogliono iscrivere mia figlia a scuola»

«Le suore non vogliono iscrivere mia figlia a scuola»

Come la pensano gli italiani lo si può comprendere anche dalle lettere ai giornali. C’è un sito, in Italia, che, quotidianamente, pubblica le lettere più interessanti, www.carodirettore.eu, nato per iniziativa dell’Azienda di soggiorno e turismo di Bolzano. Linkiesta ne propone qualcuna, rimandando al sito i lettori che vorranno avere un panorama ancora più vasto di ciò che gli italiani scrivono ai giornali, quotidiani e periodici.

E le suore rifiutarono l’iscrizione a nostra figlia

Nostra figlia Chiara, che ora ha 15 anni, ha avuto un tumore al cervelletto quando aveva 18 mesi. Ha dovuto affrontare interventi chirurgici e cicli di chemioterapia. Con sacrifici siamo riusciti grazie alla fisioterapia e alla logopedia a consentirle di deambulare e parlare seppure con qualche difficoltà. Per fortuna il Male non si è più riproposto e oggi Chiara è una bambina determinata e serena che combatte con coraggio la sua personale guerra contro alcuni impedimenti di natura fisica ma soprattutto contro l’ignoranza e la cattiva fede. Quest’anno, per la vicinanza a casa voleva frequentare il Liceo delle Scienze Umane delle suore di Maria Ausiliatrice di Napoli. Le religiose, che avevano inizialmente accolto la domanda d’iscrizione, due giorni prima dell’inizio della scuola ci hanno convocato per dirci che la loro struttura non era adatta a Chiara e che gli alunni più vivaci avrebbero potuto anche prenderla in giro. Vietato l’ingresso a scuola. Non ci era mai capitato un simile atteggiamento. Un Istituto che dovrebbe ispirarsi ai principi di Don Bosco. Ci si renderà conto che l’affannosa ricerca per iscrivere la piccola ad un altro Istituto è stata vana per giorni, sia per l’avvenuta formazione delle classi, sia per la lontananza di altre scuole e anche la squisita disponibilità del Dirigente Scolastico del «Tommaso Campanella» veniva vanificata dall’ubicazione dell’Istituto (5° piano senza ascensore). Dopo dieci giorni di disperazione, abbiamo incontrato la sensibilità del Dirigente dell’Istituto «Giuseppe Mazzini» che, superando notevoli difficoltà organizzative, ha permesso l’iscrizione della bambina. Oggi Chiara va a scuola sorridendo per le amicizie trovate e perché percepisce di non essere diversa dalle altre.  

Anna Flagiello, Elio Avolio, Napoli, La Stampa, 6 novembre

Trattativa Stato-mafia: come ti rinfresco la memoria del pm

Leggo con stupore che i pm palermitani sono rimasti colpiti dalle affermazioni del presidente Napolitano sul ricatto mafioso del 1993. Hanno addirittura considerato un fatto nuovo il riferimento al black out telefonico del luglio 1993 (stesse ore delle bombe di Milano e Roma). Quella notte era già stata ricordata dall’allora presidente del Consiglio Ciampi nel libro «Un metodo per governare» (Il Mulino, 1996). Ciampi descriveva il clima (vari episodi inquietanti, a parte le bombe), e la sua decisione di partecipare, il 2 agosto, alla commemorazione della strage di Bologna dove disse: «Siamo di fronte a un attacco complessivo a tutti i poteri dello Stato (…) Nessun compromesso è possibile… Ce lo impedirebbero i nostri caduti: quelli di oggi, quelli di Bologna del 2 agosto 1980». Strano davvero che la procura di Palermo non lo ricordasse. Si è poi fatto riferimento ai famosi «indicibili accordi» citati dal consigliere giuridico del Quirinale, lamentando che Napolitano non ne sapesse di più. Il 22 giugno 2012, lo stesso D’Ambrosio aveva detto di più proprio ai pm palermitani: «Il punto cruciale, che mi turbò allora e mi turba tuttora» era lo stranissimo suicidio in carcere di Nino Gioè, uno degli esecutori materiali della strage di Capaci. Aggiunse: «Non so che indagini avete fatto voi…», chiaramente invitandoli ad indagare. C’è da augurarsi che l’abbiano fatto. Nino Gioè venne trovato morto nel braccio di massima sicurezza; impiccato con i lacci delle scarpe da tennis. Curiosa la fine, e curiosa la data: 28 luglio 1993, appena dopo le bombe.

Enrico Deaglio,Torino, Repubblica, 6 novembre

Il film di Olmi proiettato all’estero: brava la Farnesina

Mi trovo a Pechino per lavoro. Il 4 novembre sono stato invitato dall’Istituto italiano di cultura dell’ambasciata italiana alla proiezione del film “Torneranno i prati”, del regista Ermanno Olmi. Un film molto triste, ma bellissimo, struggente, significativo. La stessa proiezione è stata effettuata, stando alla lettera di invito, «in quasi 100 Paesi, grazie al lavoro delle ambasciate, dei consolati e degli Istituti di cultura italiani all’estero». Non so chi abbia preso questa decisione al ministero degli Esteri, ma sono contento che il governo italiano abbia deciso di celebrare il 4 novembre con un film sulla sofferenza e l’inutilità della guerra fuori dalla retorica.

Sergio Ulgiati, Napoli

Noi medici meritiamo rispetto. Un grande rispetto

Questa è l’Italia. Non è solo il paese della crisi, della disoccupazione, del bunga bunga, dei furbetti o dei raccomandati. L’Italia è quel paese dove noi medici, noi professionisti subiamo da anni un processo lento, graduale, ma inarrestabile, di denigrazione e squalifica. E allora a tutti quelli che ci stanno facendo questo, e il cui punto più basso è stato raggiunto in questi giorni con la farsa del concorso, vorrei dire che noi medici meritiamo grande rispetto. Perché noi abbiamo scelto di dedicare la nostra vita a voi. Perché abbiamo scelto di assumerci la responsabilità civile, penale, morale, umana delle vostre vite e sofferenze. Noi abbiamo scelto di essere queste persone… e dico essere perché essere un medico non è un lavoro, è molto di più. Noi non abbiamo pratiche da lasciare nel cassetto all’orario di chiusura. Non lavoriamo con pratiche anonime o con il denaro. Noi siamo quelli che hanno scelto di sacrificare la propria vita per la vostra. Perché diventare un medico è un percorso lungo e difficile, che comincia quando si hanno solo 19 anni e che dura per il resto dei propri giorni. Noi abbiamo a che fare con i vostri occhi disperati, con la voce che muore in gola, con il dolore dell’anima. Noi siamo quelli che hanno a che fare con la vostra paura e abbiamo il compito di proteggervi da essa, anche quando noi stessi abbiamo la medesima paura. Forse a qualcuno le mie parole possono suonare eccessive e drammatiche ma è perché vi siete dimenticati quanto sia profondo e difficile fare quello che facciamo che queste parole vi suonano così distanti. Ho deciso che sarei stata una psichiatra credo 15 anni fa. Perché ho sentito dentro di me il desiderio di non vedere più la sofferenza di quelle persone. Voi state distruggendo l’anima di questa professione, spogliandola di quei connotati di umanità ed empatia che ne rappresentano il nucleo, la state riducendo a un lavoro che assomiglia più a una domanda/offerta commerciale. Un paese che non tutela chi si occupa della salute di tutti è un paese malato, e mi dispiace dirlo, la prognosi è infausta. 

Dalila Talevi, giovane medico, Stampa, 6 novembre

Ergastolo: qui papa Francesco sbaglia

Non credo che l’ergastolo sia una vendetta. Serve per impedire al condannato di ripetere delitti. Papa Francesco non è d’accordo, ma in Italia l’ergastolo, di fatto, non c’è più e, quanto al carcere preventivo, troppi assassini sono liberi. Solidarietà a loro, ma alle vittime? Passi Pannella, ma il papa….

Mauro La Badia, Bologna, Qn, 6 novembre

Se qualche Stato prende esempio da Britanny

Il gesto di Britanny Maynard, la giovane donna americana affetta da tumore che ha richiesto di essere assistita nel suicidio che poi ha effettivamente commesso, ha scatenato di nuovo il dibattito negli Usa e nella nostra parte di mondo sul tema dell’eutanasia. In molti Stati è stato usato il dramma di Britanny per campagna eutanasiche, dimenticando che una buona parte dell’opinione pubblica è contraria. Perché ha capito – su Avvenire, anche da parte sua, direttore, è stato sottolineato più volte- che la legalizzazione di tali pratiche per i cosiddetti “casi pietosi” viene poi gradualmente estesa anche a persone affette da patologie curabili (ma quasi sempre con medicinali costosi), come è avvenuto recentemente in alcuni Paesi. In una società materialista come la nostra forse, anche per gli Stati è più conveniente favorire la morte che curare la malattia…

Goran Innocenti, Avvenire, 6 novembre

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