«Il capo di Ryanair, Michael O’Leary, sta pianificando dei voli verso gli Usa a sei sterline». Era il 2007 quando ci fu il primo annuncio di questo tipo. I media ci cascarono tutti, così come hanno sempre fatto negli anni successivi. Gli ultimi annunci sono arrivati quest’anno: a febbraio, marzo e maggio si sono lette notizie dello stesso tenore. Poco importa che nel frattempo Ryanair avesse fatto ordini per centinaia di aerei, tutti rigorosamente narrow-body (due file di seggiolini con un solo corridoio) da corto e medio raggio, che escludevano avventure transatlantiche.
Wow Air, l’intercontinentale con l’Islanda al centro
Recentemente, tuttavia, delle notizie vere hanno cominciato a riguardare dei lanci di voli intercontinentali operati da low cost. Ultimo in ordine di tempo quello della Wow Air, piccola low cost islandese che ha annunciato l’avvio di un servizio tra Londra e Boston, con scalo a Reykjavik, dal 2015. Il prezzo di lancio è di 99 sterline, ma i prezzi medi della tratta Boston-Londra, sono di 317 sterline, non troppo distanti da quelli della British Airways. Ci saranno cinque voli alla settimana, con due aerei Airbus A321. Dal giugno 2015 ci saranno voli anche da Londra a Baltimora. Anche se per il Ceo e proprietario al 100% di Wow Air, Skuli Mogensen, la compagnia sarà «la prima a introdurre un vero modello low-cost attraverso l’Atlantico», non si tratterà di classici voli intercontinentali. Lo scalo su Reykjavik permette infatti di utilizzare aerei piccoli (gli A321, appunto). Per dirla con Mogensen, la «chiave dell’operazione è l’Islanda. A causa dello scalo in Islanda possiamo fare questo con una flotta narrow-body: serve moltissimo carburante in meno, bastano 200 persone e non 300 per riempire l’aereo». Inoltre, ha detto alla Cnbc, «questo ci permette un grande utilizzo della flotta, perché i nostri aerei possono fare Reykjavik-Londra-Reykjavik-Boston-Reykjavik tutto in 24 ore, quindi l’utilizzo della flotta è su una base di 20 ore su 24. È un grande, grande modello, con l’Islanda al centro».
Perché il modello funzioni, ha detto alla Reuters Rene Steinhaus, consulente di AT Kearney, il fattore decisivo è che gli aerei siano pienissimi, con una percentuale di riempimento di circa il 95 per cento.
Dal 2013 un’altra compagnia low cost, la Norwegian Air Shuttle, ha cominciato a volare su rotte transatlantiche, verso gli Stati Uniti e Bangkok, anche se i piani di espansione si sono scontrati con delle resistenze negli Usa. inoltre, fa notare il Capa-Center for aviation, i profitti di Norwegian da quando sono iniziati i voli intercontinentali sono in sofferenza. Il modello di lungo raggio di Norwegian include anche l’assunzione di personale a basso costo disponible globalmente, piuttosto di quello più caro scandinavo o europeo.
La Norwegian vola con degli aerei wide-body (tre file di sedili con due corridoi) Boeing 787, un particolare da non ignorare. «Il problema dei voli low cost transatlantici è sempre stato quello che mancava una tecnologia in grado di rendere economico il trasporto intercontinentale. L’unico modello che si reggeva è sempre stato quello degli hub and spoke – commenta Andrea Giuricin, docente di mobility management all’Università Bicocca di Milano -. Ora finalmente, con gli aerei 787 Dreamliner della Boeing e con l’Airbus A350, che trasportano molte persone con un consumo limitato di carburante rispetto agli aerei di lungo raggio tradizionali, c’è la possibilità di abbassare i prezzi ed effettuare un servizio point-to-point intercontinentale».
I Boeing 787-8 con cui vola Norwegian hanno 291 posti, inclusi 32 in premium economy. Il risparmio per posto a sedere rispetto alla tecnologia precedente, a parità di condizioni, è del 15-20 per cento. Tra gli altri aeroplani recenti che spiccano per efficienza ci sono gli A330-300neo, scelti non a caso dalla AirAsia X, a oggi l’unica low cost di successo sul lungo raggio.
Come negli altri modelli di voli low cost, a essere privilegiati sono gli aeroporti non di primissima fascia, purché abbiano piste sufficientemente lunghe da ospitare aerei wide-body. Per questo Boston è stato preferito a New York da Wow Air. E per questo Lufthansa, per il suo progetto di compagnia low cost a lungo raggio sta pensando, come comunicato a settembre, di partire da uno scalo tra Monaco, Duesseldorf o Colonia, invece del più costoso hub di Francoforte.
Se l’impatto di Wow Air sul mercato sarà estremamente limitato, visto che dal 2016 potrà impiegare non più di quattro aerei dall’Europa all’America, e se le operazioni intercontinentali di Norwegian sono ancora poche, tutt’altro effetto avrebbe l’ingresso sulle rotte transatlantiche di una low cost del gruppo Lufthansa.
Dal luglio del 2014 la compagnia tedesca ha annunciato di voler costituire una nuova aerolinea “lower cost”, con un nuovo marchio e destinata al mercato point-to-point di lungo raggio per voli leisure (principalmente per turismo). Qualche dettaglio in più è arrivato durante il consiglio di sorveglianza di settembre, quando sono stati indicati in sette gli aerei di lungo raggio destinati alla nuova compagnia. Come ha messo in luce il Capa-Center for Aviation, i problemi ereditati da una delle due compagnie a basso costo, Germanwings, farebbe pensare che la scelta ricada sull’altra, Eurowings. Il motivo è semplice: ha un contratto separato per i piloti, cosa che permette costi minori e molta più flessibilità. Per molto tempo è stato un vettore regionale. Tra i vantaggi in vista c’è la possibilità che in futuro le operazioni low cost di lungo raggio si allarghino ad Austria e Svizzera.
Tra le alternative c’è quella di utilizzare la piattaforma di SunExpress, low cost posseduta al 50% da Lufthansa e Turkish Airlines.
Le attività dovrebbero iniziare nell’autunno 2015, con aerei A330-300. Come detto dalla società a luglio, se il tentativo funziona si dovrebbe passare ai Boeing 787 o agli Airbus A350. Le destinazioni non sono state annunciate ma dovrebbero essere città relativamente secondarie, non coperte dai voli di Lufthansa. Tra i nomi possibili c’è, come per Norwegian, quello di Bangkok.
Più facile a dirsi che a farsi
Vi dicono qualcosa i nomi Laker Airways o People Express? La prima cominciò i suoi voli a basso costo “Skytrain” tra Londra e New York alla fine degli anni Settanta, e li interruppe nel 1982. La seconda, statunitense, fu costretta a cercare un compratore a metà degli anni Ottanta, dopo che la rapida espansione portò a debiti altissimi.
Altri fallimenti si sono registrati in Asia che, tuttavia, è l’unico continente in cui il lungo raggio a basso costo ha retto. Il database di Capa contiene solo tre compagnie low cost con una lunghezza media dei viaggi superiore ai 4.000 chilometri: Thai AirAsia X (4.200 km), AirAsia X (4.700 km) e ArkeFly (7.600 km); quest’ultima è però prevalentemente un charter, di proprietà della Tui.
Altre aerolinee a basso costo hanno una lunghezza media inferiore: la Scoot di proprietà di Singapore Airlines, l’australiana Jetstar, Norwegian, la filippina Cebu Pacific, la saudita flynas e la brasiliana Azul.
Il gruppo AirAsia è quindi l’unica compagnia al mondo con un modello di business genuinamente low cost, che si basa tra le altre cose su un costo del lavoro basso. Se gli altri non ce la fanno è perché sui voli intercontinentali le possibilità di ottenere risparmi sulle operazioni sono minori rispetto al corto raggio.
Per tutti questi motivi Ryanair si è finora tenuta alla larga dai voli intercontinentali. Per molti anni il suo Ceo Michael O’Leary ha fatto balenare la possibilità di far partire il servizio. Nel 2007 parlò di possibili ordini di 40-50 aerei di lungo raggio per gli Usa (dove da metà degli anni Duemila si può volare senza accordi bilaterali grazie all’accordo Open Sky), con tariffe a partire da una decina di dollari. In tutti i casi di annunci, si potrebbe notare maliziosamente, il titolo in Borsa ha avuto dei balzi. Finora però tutti gli ordini, pur per quantitativi record, non hanno riguardato i widebody. Se il vulcanico amministratore del vettore irlandese decidesse davvero di mettere le mani sugli Usa, magari facendo ricorso ai Boeing 787 o agli A350, il modo di raggiungere gli Stati Uniti potrebbe cambiare radicalmente.