Gli italiani sono sempre più disposti ad accettare un lavoro flessibile, non fosse altro che per mancanza di alternative. Ma sono anche molto sfiduciati verso le istituzioni: non pensano che il Jobs Act porterà a qualcosa di buono e non conoscono i programmi pubblici di sostegno al lavoro, neanche quelli di cui si è molto parlato come la Garanzia Giovani. È il quadro che esce dalle ricerche di Infojobs.it e dell’Istituto Piepoli presentate al Forum delle risorse umane 2014, che si è svolto nel Palazzo della Regione Lombardia, a Milano, giovedì 27 novembre. C’è però un dato in controtendenza, evidenziato dall’istituto di sondaggi: gli italiani sembrano ancora disposti a dare credito alle riforme del governo e al premier Renzi, che gode ancora di un consenso del 50% degli italiani. Alla vigilia dello scontro interno al Pd sul voto al Senato sul Jobs Act, a sinistra si consolida la figura di Pippo Civati, seguito per popolarità da Maurizio Landini. Ma il loro peso elettorale potenziale è ancora basso, compreso tra il 5 e il 10 per cento.
Flessibilità e precarietà
In un solo anno la percentuale di italiani che considerano l’aumento della flessibilità un cambiamento positivo, secondo il sondaggio dell’Istituto Piepoli, è raddoppiata, dal 27 al 45 per cento. «Le persone sono disposte a una maggiore flessibilità nel lavoro, ma non vogliono la precarietà – commenta a Linkiesta Roberto Baldassari, presidente dell’Istituto Piepoli -. Hanno fame di lavoro, come in tutti i Paesi in crisi, ma non sono disposti a una precarietà eccessiva, in cui lavorano un mese e stanno a casa altri sei o dieci mesi».
Fonte: Istituto Piepoli. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui
A vedere i dati di un sondaggio di Infojobs, che mette a confronto le opinioni di candidati e imprese, emerge anche una sopravvalutazione da parte di chi cerca lavoro sull’importanza della flessibilità stessa. Se per i candidati la flessibilità di ruolo e quella di orari sono ritenute le caratteristiche più richieste dalle società (con il 59% delle risposte), le aziende mettono in cima ai desiderata il possesso da parte dei lavoratori di competenze tecniche aggiornate, relegando la flessibilità al quinto posto nella scala delle priorità.
Fonte: Infojobs. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui
La popolarità di Renzi e della sinistra Pd
La flessibilità è stata tuttavia a più riprese richiesta da Confindustria e rappresenta uno dei capisaldi del Jobs Act del governo Renzi. Il dato sull’aumento di disponibilità alla flessibilità da parte degli italiani è da vedersi come un’apertura di credito al progetto del governo? Per Baldassari sì: «I nostri dati ci dicono che la fiducia in Renzi tiene: non c’è un crollo ma un calo fisiologico, che l’ha portata al 50 per cento circa. Per fare un confronto, Mario Monti era arrivato al 25 per cento. Gli italiani in questo momento da Renzi accettano anche cambiamenti importanti sul fronte del lavoro, a patto che ci sia un impegno da parte delle aziende per aumentare la meritocrazia, diminuire il peso delle raccomandazioni, fare più formazione e soprattutto per creare più posti di lavoro. Oggi per la reputazione di un’azienda conta molto sapere se assumerà personale o meno. La flessibilità a cui sono disposti gli italiani va incontro al Jobs Act e alla politica di Renzi, a cui gli italiani danno ancora carta bianca».
Allo scontro che si terrà al Senato all’inizio di dicembre sul Jobs Act, la sinistra Pd potrebbe non partecipare al voto. Quanta parte degli italiani e della sinistra intercetta questa parte del Partito democratico? «Il voto alle regionali in Emilia-Romagna dimonstra che la sinistra Pd è in grado di dragare voti a sinistra. Tra i nomi di quest’area, dai nostri sondaggi emerge come figura forte quella di Pippo Civati, che è visto come giovane, capace di rinnovamento e coerente con le sue idee. Colpisce che la seconda figura più popolare sia quella di Maurizio Landini, che non è un politico. La forza di quest’area non è però facile da stimare, non essendoci un partito vero che li rappresenti. La possiamo stimare tra il 5% e il 10% dell’elettorato», conclude Baldassari.
La diffidenza verso il Jobs Act
Dal sondaggio di Infojobs emerge una sfiducia molto forte da parte di chi cerca lavoro nei confronti del Jobs Act, visto invece con più favore dalle imprese. Entrambi i lati della barricata (o della scrivania dei colloqui di lavoro) pensano che la riforma non sarà neanche realizzata. Tra chi cerca lavoro è netta la sensazione che aumenterà la precarietà e abolirà alcuni diritti fondamentali, mentre le aziende non condividono che in minima parte queste affermazioni. Entrambe le parti pensano che sia una riforma che avvantaggerà più le aziende dei lavoratori ed entrambe ritengono che fosse in qualche modo necessaria. Sulla sua capacità di aumentare la competitività la fiducia è relativamente maggiore da parte delle imprese e bassissima da parte di chi cerca lavoro.
Fonte: Infojobs. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui
Tutto questo scetticismo è dettato, spiega Giuseppe Bruno, general manager di Infojobs, dalle esperienze negative delle riforme passato e soprattutto dalle aspettative andate deluse in termini di creazione di posti di lavoro.
Una riforma niente affatto simbolica
Secondo l’avvocato Raffaele De Luca Tamajo, senior partner dello studio legale Toffoletto De Luca Tamajo e Soci, la riforma del lavoro contenuta nella legge delega in votazione non sarà affatto simbolica. «Incide significativamente sui rapporti tra capitale e lavoro – ha sottolineato -. Sposta i rapporti nel senso della produttività e flessibilità. Resta però da capire se varrà anche per creare occupazione». «Chi avrebbe pensato solo qualche anno fa – ha detto l’avvocato giuslavorista – che un governo di sinistra avrebbe dato una spallata così forte, perché è forte, all’articolo 18?». Secondo l’avvocato il Jobs Act relativamente all’articolo 18 ha raggiunto un compromesso che non funziona. La scelta di lasciare la reintegra scatterà solo per reati che non si sono verificati avrà l’effetto che «nessun datore di lavoro licenzierà qualcuno per un reato, ma preferirà licenziare per un semplice inadempimento. Inoltre la legge, per come è scritta, riaprirà un varco alla discrezionalità dell’interpretazione da parte del giudice». Sarebbe quindi auspicabile che «la reintegrazione ci fosse solo per la totale inesistenza del fatto materiale oggetto del licenziamento».
Garanzia Giovani questa sconosciuta
Se sul Jobs Act c’è una certa sfiducia da parte dei lavoratori, questa diventa nettissima quando si parla dei programmi pubblici di accompagnamento al lavoro. Il 56% di chi cerca lavoro, ha messo in luce il sondaggio di Infojobs, non conosce alcun programma pubblico. E la Garanzia Giovani è conosciuta solo dal 23% degli intervistati.
Fonte: Infojobs. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui
La ragione di tanta lontananza è spiegata da Giuseppe Bruno di Infojobs con la scarsa efficacia di questi programmi. «Abbiamo avuto contatti con le istituzioni. Ci siamo resi conto che i programmi ci sono ma che le istituzioni non hanno gli strumenti idonei per capire come usare i soldi. Faccio un esempio concreto: portali governativi come ClicLavoro sono non dico un fallimento, ma di certo non hanno intercettato un’audience ampia. Si sono appoggiati ad agenzie per il lavoro, ma il quadro è nebuloso: non è chiaro per le istituzioni quali siano le figure più richieste dalle aziende e quali i ruoli più cercati dai lavoratori». Nel caso della Garanzia Giovani le inadempienze sono considerate più gravi, perché «la porzione dei finanziamenti europei dedicata all’Italia era tra le più ampie. È una grossa opportunità che non stiamo sfruttando» e che probabilmente non tornerà in futuro.