Vanilla LattePizza Hut, dietro lo spot la lotta per la sopravvivenza

Pizza Hut, dietro lo spot la lotta per la sopravvivenza

Lo spot ha fatto il giro del mondo, diventando virale sul web e persino guadagnando l’onore delle cronache italiane. A dispetto della sua assenza dal nostro territorio, ha suscitato notevole scalpore anche sugli organi di stampa del Bel Paese la più recente campagna pubblicitaria della catena di ristorazione Pizza Hut, nella quale un gruppo di anziani del Meridione, più precisamente di Sorrento, giudica in malo modo, con nasi arricciati e pollici versi, le fantasiose e inedite “pizze” (sempre che tali si possano definire) del gigante a stelle e strisce. Un’idea simpatica e alquanto azzeccata, che a quanto pare avrebbe persino scatenato le ire di alcuni pizzaioli napoletani, che nelle ultime settimane ha procurato notevole visibilità al marchio. Ma il divertente spot televisivo, per quanto riuscito e di sicuro impatto, non è che una piccola parte di una strategia dalla portata assai più ampia, in una partita di importanza fondamentale: quella per la sopravvivenza di Pizza Hut.

Lo spot di Pizza Hut girato a Sorrento

Pizza Hut conta oggi su 11 mila e 200 avamposti, sparsi per 90 Paesi in tutto il globo 

Pizza Hut, di proprietà di Yum! Brands (titolare anche dei marchi Taco Bell e Kfc, quest’ultimo recentemente sbarcato in Italia), è la più famosa catena nordamericana di fast food dedicata alle pizze – o meglio, a quello che gli statunitensi definiscono “pizza”, spesso poco coincidente con la nostra concezione del prodotto. Dalla sua nascita nel 1958 a Wichita, Kansas, ai giorni nostri, l’azienda ha avuto grande successo, espandendo la propria presenza territoriale in tutti gli Usa e anche al di fuori dei confini americani, fino a contare, oggi, circa 11 mila e 200 avamposti, sparsi per 90 Paesi in tutto il globo (Italia esclusa, come già detto), dalla “A” di Australia alla “V” di Vietnam, per un totale di 160mila dipendenti e un fatturato annuo complessivo attorno ai 6 miliardi di dollari. Nel corso dei decenni, durante la sua espansione, la società ha persino affiancato, ai ristoranti che offrono la consueta gamma di pizze, anche una serie di location, chiamate “Italian Bistro”, dove è possibile trovare menù di cucina pseudo-italiana, con piatti quali “Tuscani Chicken Alfredo” (pasta con pollo, salsa e formaggio) o “Tuscany Meaty Marinara” (una sorta di fusilli con formaggio e carne).

Le entrate del terzo trimestre di Pizza Hut sono state decisamente inferiori rispetto alle previsioni, con una perdita del 2% degli incassi

Da qualche tempo a questa parte, tuttavia, sebbene rimanga in vetta per numero di ristoranti e per fatturato, Pizza Hut non sembra più essere il fast food dedicato alla pizza più amato dal popolo statunitense, e sta subendo l’offensiva di catene avversarie quali Domino’s (10 mila locali in 70 nazioni, 1,8 miliardi di dollari ricavati nel 2013) e Papa John’s (4 mila locali in circa 30 paesi, 1.4 miliardi di dollari di incassi lo scorso anno), entrambe in forte ascesa. Nello specifico, le entrate del terzo trimestre fiscale di Pizza Hut sono state decisamente inferiori rispetto alle previsioni iniziali, con una perdita del 2% degli incassi rispetto all’anno precedente. E le cattive notizie, per loro, non finiscono qui. Perché quello appena trascorso dal gigante della pizza è l’ottavo periodo fiscale consecutivo di numeri in declino. Il quale, se paragonato alle cifre in ascesa dei diretti concorrenti, deve aver fatto suonare più di un campanello d’allarme nel quartier generale della compagnia a Plano, in Texas, e convinto i vertici di Yum! Brands a studiare alcune drastiche contromisure.

1997: Mikhail Gorbachev e sua nipote Anastasia girano uno spot per Pizza Hut (AFP/Getty Images)

Pizza Hut ha deciso di rottamare il suo amministratore delegato Scott Bergen, dopo oltre un ventennio di servizio

Per prima cosa, Pizza Hut ha deciso di rottamare il suo amministratore delegato Scott Bergen, dopo oltre un ventennio di servizio, sostituendolo, a partire dal gennaio 2015, con il 51enne David Gibbs, da tempo funzionario della compagnia: «Io e Greg Creed, che diventerà Ceo di Yum! Brands a gennaio, siamo entrambi fiduciosi che David porterà Pizza Hut al livello successivo e aumenterà il divario della compagnia quale leader della categoria in tutto il mondo», ha affermato un ottimista David C. Novak, a capo di Yum! Foods. Il quale, nel ricercare le motivazioni dei risultati deludenti di Pizza Hut, avrebbe individuato una delle cause principali nella arretratezza dal punto di vista tecnologico. Il brand, infatti, non è riuscito a restare al passo con i tempi di alcuni concorrenti – come per esempio Domino’s – che permettono di ordinare le pizze tramite app online, per mezzo di dispositivi portatili quali smart phone, tablet e computer. E a complicare le cose, ultimamente, anche virus e malware che si sono diffusi, nei mesi scorsi, attraverso mail che promettevano piatti gratis da Pizza Hut: una truffa telematica nella quale il brand non ha colpe, ma che sicuramente ha avuto effetti negativi sulla sua reputazione e, soprattutto, sugli affari.

Decine di nuovi gusti disponibili. Undici nuove ricette di pizza. Nuove uniformi. Un nuovo logo. Insomma, una rivoluzione

Così, dopo due anni di vendite non entusiasmanti, Pizza Hut ha preso la decisione epocale di rinnovarsi completamente, con la più imponente rivisitazione del brand nei suoi cinquantasei anni di esistenza. Decine di nuovi gusti disponibili. Undici nuove ricette di pizza. Dieci nuovi sapori di crosta. Sei nuove salse. Cinque nuove guarnizioni. Quattro nuovi sapori per condimenti. Nuove uniformi. Un nuovo logo. Insomma, una rivoluzione. Che corrisponde al raddoppio degli ingredenti a disposizione nei circa 6 mila e 300 ristoranti disseminati per tutto il suolo americano. “Pizza will never be the same”, ovvero “La Pizza non sarà mai più la stessa”, recitava l’annuncio promozionale. Al fianco delle innovazioni, anche un restyling a tutto campo del sito web, che permette ora di ordinare tramite Internet, con interfaccia in lingua inglese e spagnola. Un cambio radicale per la catena di fast food, che si rinnova e prova a invertire il trend negativo. «È il più grande cambiamento da noi mai effettuato. Stiamo ridefinendo i canoni della categoria», ha commentato a Usa Today Carrie Wash, a capo del settore marketing di Pizza Hut. Una svolta senza precedenti (avvenuta in breve tempo, dal momento che la “nuova era” ha avuto inizio il 19 novembre scorso) che ricalca quanto sperimentato dai rivali di Domino’s nel 2009. Anche loro cambiarono completamente volto all’azienda, e il risultato fu un successo clamoroso, con un aumento dei profitti di 23,6 milioni di dollari in soli quattro mesi. È comprensibile, dunque, che i vertici di Pizza Hut ambiscano a ottenere un esito analogo dalla loro operazione.

«Sappiamo che i gusti e le preferenze degli Americani sono in evoluzione, e i nuovi menù sono concepiti per entusiasmarli completamente», ha dichiarato al Washington Post Wiley Bates III, global executive chief di Pizza Hut. Da qui, la nascita di nuovi sapori quali “Honey Sriracha”, “Salted Pretzel”, “Ginger Boom Boom” e “Get Curried Away”, così poco invitanti per gli anziani campani visti nello spot, ma probabilmente accattivanti per il pubblico di consumatori Usa. I media e gli addetti ai lavori d’oltreoceano si interrogano sulla possibile efficacia della nuova strategia del brand, e c’è chi si chiede se non si tratti di una mossa “too-little-too-late”, ovvero al tempo stesso troppo poco audace e troppo tardiva.

La pizza rappresenta probabilmente il business più importante per la ristorazione negli Usa

La posta in gioco è altissima, perché quello della pizza – cosa che potrebbe sconvolgere il pubblico italiano – rappresenta probabilmente il business più importante, per quel che riguarda la ristorazione negli Stati Uniti d’America. Non è un esagerazione affermare che, se gli americani si trovassero di fronte alla scelta di quale unico cibo mangiare per il resto della loro esistenza, opterebbero per la pizza: stando ai dati di Franchise Disclosure Documents, il popolo americano mangia circa 100 acri di pizza al giorno, o 350 tranci al secondo; il 93% di loro si nutre di almeno una pizza al mese, cosa che la rende il piatto più desiderato della nazione per la cena, nonché, dal punto di vista del giro di affari, un’industria del valore complessivo di oltre 40 miliardi di dollari l’anno. Si comprende facilmente, dunque, il perché del radicale processo di rinnovamento dello storico marchio, e i suoi immani sforzi per mantenere la vetta nel proprio settore, fermando l’emorragia di consumatori. Pizza Hut sta giocando la partita della vita. E poco importa se, per vincere, bisogna anche deludere un gruppo di anziani di Sorrento.

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