Putin fa il bullo, ma è la Cina che gode

Putin fa il bullo, ma è la Cina che gode

Tra i tre litiganti il quarto gode. Russia, Unione Europea e Stati Uniti litigano sulla questione ucraina. La Cina intanto prende tutti i frutti dello scontro in corso. Perché la guerra che Stati Uniti ed Europa stanno facendo a Putin dopo l’annessione della Crimea e il sostegno militare russo ai separatisti del Donbass non farà altro che spingere il Presidente russo verso legami economici sempre più stretti con Pechino, il vero nemico strategico dell’Occidente. Lo dimostra già l’accordo trentennale per la fornitura di gas a prezzi bassissimi (il nostro speciale sulla questione) che la Cina ha firmato con Mosca nel maggio 2014, in piena crisi ucraina. Ma è una conclusione cui si arriva osservando lo schema che si rafforza ad ogni vertice internazionale, dal recentissimo G20 di Brisbane, dell’Asem di un mese fa a Milano fino al G8 di Sochi, cancellato e riorganizzato a Bruxelles lo scorso giugno senza estendere l’invito al Presidente russo Vladimir Putin.

Putin fa il bullo

Al G20 di Brisbane, durante il week-end appena passato, Putin ha sfoggiato un vero atteggiamento “da bullo”. Il Presidente arriva, partecipa, si ferma a lungo nei vari incontri bilateri a margine del vertice con i leader europei, con la Merkel salutata alle 2 di mattina. Poi però decide di andarsene prima di tutti, a vertice ancora in corso, dicendo di aver bisogno di dormire qualche ora prima di rientrare a Mosca e occuparsi di affari interni. Nel frattempo rilascia un’intervista a una tv tedesca in cui accusa l’Europa e l’Occidente di cecità: «Hanno pensato a quello che stanno facendo o no? O la politica li ha accecati? Gli occhi sono una parte periferica del cervello. Forse gli si è spento qualcosa nel cervello?», dice Putin. E giù frecce contro Kiev, accusato di imporre un erroneo blocco economico alle città separatiste dell’Est ucraina.

Dove vuole arrivare il Presidente russo? Qual è lo scopo di tante provocazioni? «Putin gode di molte carte forti», interviene Aldo Ferrari, analista di Ispi ed esperto di Russia. «Alto consenso interno, la consapevolezza che l’Europa avrà bisogno ancora per molto tempo del gas e petrolio russi. E soprattutto mani libere in politica estera, a differenza di Paesi come Stati Uniti o le nazioni europee che devono fare i conti con l’opinione pubblica interna e i partiti. Ma siamo sicuri che il gioco valga la candela?». Per capirlo, suggerisce Ferrari, dobbiamo indossare occhi russi. Le provocazioni di Putin per noi sono un non sense: «isolano Mosca e mettono in pericolo un’economia non certo fiorente». Ma all’interno, in Russia, l’atteggiamento di Putin dà un «prestigio» importante al Presidente, in un contesto «dove i parametri del potere sono diversi da quelli occidentali», spiega Ferrari.

La strategia miope di Stati Uniti e Unione Europea

Alle manifestazioni di forza di Putin, Obama ha reagito minacciando l’isolamento internazionale, e il premier inglese David Cameron l’introduzione di nuove sanzioni economiche. «Stati Uniti ed Europa restano fedeli alla scelta fatta fin dallo scoppio delle proteste di Piazza Indipendenza a Kiev», nel novembre 2013, spiega Ferrari. «Appoggio incondizionato all’opposizione europeista di Kiev» che protestava contro l’allora Presidente Yanukovich, ostile alla firma dell’accordo economico con l’Ue. «Agli Stati Uniti interessava bloccare il progetto russo di creazione di una Unione economica eurasiatica cui Putin stava lavorando per riunire tutte le ex repubbliche sovietiche», continua Aldo Ferrari. La scelta del Presidente Yanukovich di non aderire al trattato economico con L’Unione Europea lasciava credere che l’Ucraina sarebbe andata verso l’ingresso nell’Unione Euroasiatica.

Bruxelles, invece, è stata in qualche modo vittima della sua stessa retorica. «Ha risposto alla richiesta di un Paese (o di una parte di esso) che aspirava a divenire parte dell’Ue. E che L’Europa ha scelto di appoggiare perché considera se stessa un modello cui è naturale che gli altri vogliano adeguarsi». Ma non ha calcolato le conseguenze di quel gesto, a partire dalla violenza che sarebbe scoppiata in territorio ucraino (diviso tra europeisti e non), la reazione militare russa, e il peso economico del sostegno a Kiev. «L’appoggio pieno ai manifestanti di Piazza Indipendenza ha tolto a Stati Uniti ed Europa ogni potere mediatico, e messo Putin con le spalle al muro». 

Ci guadagna solo la Cina

In questo schema, spiega Ferrari, finisce che ci perdono tutti. L’Europa mette a repentaglio gli importanti rapporti economici con la Russia, «che dovrebbe essere invece suo partner strategico». E si accolla il costo della crisi ucraina. Gli Stati Uniti sono riusciti a bloccare lo scivolamento di Kiev verso l’Unione Euroasiatica, ma hanno spinto la Russia nelle braccia di Pechino, il loro nemico strategico. Putin si isola internazionalmente e subisce il costo delle sanzioni economiche occidentali, in cambio di un innalzamento del consenso interno. L’Ucraina perde la Crimea, il pieno controllo del Donbass e aggrava la sua condizione economica, mentre resta dipendente per economia ed energia da Mosca.

A guadagnarci sono altri. Pechino, assetato di gas. E le altre nazioni cui la Russia si rivolgerà per trovare un’alternativa commerciale agli Stati Uniti e alla vecchia Europa soprattutto. Non è un caso che alcuni quotidiani internazionali, staccando per un momento gli occhi da Usa e Ue, hanno accennato alle discussioni che a Brisbane il Presidente russo ha intrattenuto con gli altri Brics: Brasile, Cina, India e Sud Africa. 

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