Renzi è in difficoltà, ma gli avversari sono spariti

Renzi è in difficoltà, ma gli avversari sono spariti

La fiducia degli italiani nel presidente del Consiglio è in calo. Il dato è evidente, i principali sondaggisti lo confermano. Matteo Renzi paga una fisiologica perdita di appeal, per certi versi inevitabile dopo una decina di mesi trascorsi a Palazzo Chigi. Una conseguenza diretta della crisi economica, delle beghe interne al Partito democratico. Ma paradossalmente anche dell’efficace strategia mediatica del governo: la comunicazione chiara e semplice della prima fase ha elevato le aspettative dell’elettorato, che resta in attesa di risposte concrete. Eppure in pochi sembrano approfittarne. A Palazzo Chigi possono tirare un sospiro di sollievo, al momento mancano gli avversari. Ad eccezione della rilevante ascesa del leader leghista Matteo Salvini, il centrodestra non sembra in grado di trovare una sintesi (sono lontani i tempi in cui Silvio Berlusconi conquistava il gradimento del 60 per cento degli italiani). I sindacati – in queste settimane allo scontro con Renzi – sono ancora meno riconosciuti dal Paese. In questo caso la fiducia degli elettori non supera il 15 per cento.

Dopo una forte crescita fino al mese di luglio, il gradimento degli italiani nei confronti di Renzi ha iniziato a scendere. Secondo il presidente di Swg Maurizio Pessato il calo si aggira attorno al 10-12 per cento. Le cause sarebbero almeno due. Il difficoltoso avvio delle riforme in Parlamento, dal Jobs Act alla legge di Stabilità. E la crisi economica. «Finita la luna di miele, siamo tornati al normale rapporto tra un governo e il Paese in difficoltà». Tra gli elettori, le speranze di una ripresa coltivate prima dell’estate hanno lasciato il posto alla realtà. «E questo autunno gli italiani si sono ritrovati ancora a fare i conti con la crisi».

Non c’entrano i gufi più volte evocati da Renzi. Secondo diversi esperti manca una risposta tangibile ai problemi del Paese. Gli italiani non hanno avuto l’impressione di un approccio concreto alle questioni che più li preoccupano. Eppure, stando ai dati forniti da Ipr Marketing, il Paese non ha ancora voltato le spalle all’esecutivo. Partito con la fiducia degli italiani al 48 per cento, in estate Renzi è riuscito a raggiungere il 56 per cento. Oggi il premier sembra tornato ai dati iniziali. «Anzi, nelle ultime settimane di scontro con i sindacati – spiega il direttore Antonio Noto – ho osservato persino una piccola risalita, di almeno un paio di punti». Se il trend resta complessivamente negativo, la figura del presidente del Consiglio è comunque forte. «Basta ricordare le esperienze dei suoi predecessori – conferma Pessato – Dopo dieci mesi di governo quasi nessuno poteva contare su un gradimento così elevato». Unica eccezione, Silvio Berlusconi. Come spiega il direttore di Ipr Marketing Noto, il premier Renzi non ha mai superato il muro del 60 per cento. «Un livello di fiducia raggiunto nei suoi anni d’oro solo dal leader di Forza Italia». 

Molto più preoccupante l’andamento del governo. In termini di gradimento, la squadra di Palazzo Chigi è indietro rispetto al premier. Nonostante il calo, Renzi supera l’esecutivo di almeno 17 punti. Pesano la poca visibilità, ma anche la bassa reputazione di molti ministri. Tanti elettori non riconoscono il lavoro che fanno, molti neppure sanno chi sono. «Mediaticamente parlando è Renzi l’asso piglia tutto» spiega Noto. E in Parlamento? Il Partito democratico scende nei sondaggi, ma non troppo. Quasi tutti gli esperti dei flussi di voto confermano il sostanziale arretramento rispetto al successo delle ultime Europee. Secondo i sondaggi delle ultime settimane il Pd sembra essersi assestato tra il 36 e il 37 per cento. Fare previsioni è difficile. La legge elettorale è ancora da definire e la scelta di attribuire un premio di maggioranza alla lista o alla coalizione potrebbe fare la differenza. In ogni caso, almeno stando alle cifre attuali, i democrat possono ragionevolmente sperare di raggiungere il premio fissato al 40 per cento. «Se si arriva alle urne con questi dati – rivela Pessato – può scattare l’effetto traino del voto utile. E in campagna elettorale il Pd può conquistare quelle preferenze che gli mancano». Diverso il discorso se a pochi giorni dalle elezioni i democrat saranno sotto al 35 per cento. A quel punto il ballottaggio rischia di essere inevitabile. 

Intanto le prime simulazioni evidenziano un dato interessante: secondo le stime di Antonio Noto, la nascita di un partito di sinistra – con Sel e i fuoriusciti del Partito democratico – potrebbe valere circa il 9 per cento. Conseguentemente un Pd in versione “partito della nazione”, più aperto verso il centro, rischia di fermarsi al 35-36 per cento delle preferenze. Più o meno come l’attuale Pd. Altro dato rilevante: se Renzi scende, gli avversari non crescono. I numeri di Ipr Marketing sono chiari. Forza Italia naviga attorno al 14 per cento, Fratelli d’Italia e il Nuovo Centrodestra tra il 3 e il 4 per cento. L’unico exploit riconosciuto da tutti gli esperti è la crescita della Lega di Matteo Salvini, attualmente tra il 10 e l’11 per cento. In un certo senso il leader del Carroccio è stato premiato dalla stessa strategia che nei mesi scorsi ha favorito Renzi. Se i cittadini si sono ormai allontanati dai partiti, a strappare consensi è la figura del leader solitario. Quasi distante dall’apparato alle sue spalle. A questo vanno aggiunti i tre grandi temi politici individuati dal Carroccio: la lotta all’immigrazione, la battaglia contro l’euro e la decisione di aprirsi al Centro e al Sud. Archiviando quella caratterizzazione territoriale che finora ne ha contraddistinto il messaggio politico.

Se sulla carta il fronte di centrodestra può ambire a raggiungere il Partito democratico, nella realtà delle urne è più probabile un testa testa con il Movimento Cinque Stelle per conquistare il secondo posto. La somma dei risultati dei singoli partiti, infatti, rischia di abbassarsi notevolmente in caso di alleanza. È una questione di incompatibilità. Sono evidenti le distanze tra la Lega e il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. «Ma persino la parte più moderata dell’elettorato di Forza Italia potrebbe decidere di non votare in caso di accordo con il Carroccio» spiega Noto. E il discorso è valido anche al contrario: molti elettori leghisti sarebbero disincentivati a scegliere Salvini nell’eventualità di un’intesa con le altre forze di centrodestra. Resta l’incognita del Movimento Cinque Stelle. Attualmente i sondaggi indicano i pentastellati tra il 17 e il 20 per cento. Ma la reale forza dei grillini potrà essere testata solo al momento delle elezioni. Il blogger genovese è abile a conquistare il voto “emotivo” degli italiani. Ecco perché a fare la differenza – come in passato – sarà la sua reale capacità di incidere durante la campagna elettorale. 

Se scende il gradimento degli italiani nei confronti di Matteo Renzi, non cresce quello nei sindacati. I sondaggi sono impietosi anche per i grandi avversari del premier, da settimane in prima linea nel confronto con Palazzo Chigi. Nonostante la visibilità mediatica, quasi tutti gli esperti confermano un indice di fiducia piuttosto basso. «Per i sindacati oscilla tra il 12 e il 15 per cento» rivela Noto. Un dato in calo ormai da qualche anno, conferma anche Pessato. Diversamente dai partiti politici, però, gli italiani riconoscono a Cgil, Cils e Uil un ruolo importante. «Insomma, mantengono un loro peso nella società» dice il presidente Swg. La figura principale è ormai diventata quella di Maurizio Landini. Il leader della Fiom guadagna consensi per la sua capacità di contrapporsi al governo, anche grazie alla sua esposizione mediatica. Qualche istituto di ricerca gli attribuisce un 20 per cento di gradimento. Altri preferiscono non testarlo. «Se si andasse al voto in tempi brevi, non credo che si presenterà alle elezioni – conferma Pessato – ne andrebbe della sua credibilità». Diverso il discorso se gli italiani torneranno alle urne al termine della legislatura, nel 2018. In quel caso Landini avrebbe tutto il tempo di preparare la discesa in politica.

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