L’ultima puntata della battaglia di Matteo Renzi contro sindacati e organi di rappresentanza delle categorie è il taglio al Fondo di sostegno per i patronati. Nella legge di stabilità 2015, gli stanziamenti per questi uffici sparsi in tutta Italia e anche all’estero, emanazione diretta delle sigle sindacali e delle associazioni di imprenditori, agricoltori e artigiani, vengono ridotti di 150 milioni di euro su un totale di 430. Un taglio del 34,5% che colpisce sportelli in cui è possibile sbrigare gratuitamente pratiche di lavoro, pensioni e rinnovi dei permessi di soggiorno, e che per i sindacati sono anche avamposti per convogliare nuove tessere e nuovi iscritti.
Il taglio, comunque, non mette d’accordo nemmeno gli stessi renziani, visto che 140 deputati del Partito democratico di ogni corrente e colore hanno firmato un emendamento per abrogare il comma 10 dell’articolo 26 del disegno di legge di stabilità e reintegrare quindi i fondi. Dalla poltrona di Porta a Porta il presidente del Consiglio ha rassicurato gli animi, lasciando intendere che farà il possibile per trovare i soldi. Dove non si sa. Intanto, per il 15 di novembre è prevista una mobilitazione nazionale dei dipendenti dei patronati di Cgil, Cisl, Uil e Acli (non hanno aderito i lavoratori autonomi), e la petizione online contro i tagli (sul sito www.tituteliamo.it) ha superato ormai le 332mila firme. Se il governo non dovesse cambiare idea, sono pronti anche alla serrata. «Con estremo dispiacere», dicono, «perché faremmo mancare un servizio al cittadino».
(Il comma 10 dell’articolo 26 del disegno di legge di stabilità 2015)
«La sottrazione delle risorse al fondo patronati, se viene approvata così com’è, si tradurrà in un’altra tassa occulta ai danni delle persone più deboli, che saranno così costrette a rivolgersi al mercato», dice Angela Presciani, responsabile Inas Lombardia, il patronato che nella regione fa riferimento alla Cisl. Anche perché «il Fondo per i patronati non contiene risorse pubbliche, ma i contributi versati dai lavoratori privati e pubblici dipendenti e autonomi e dalle imprese, che così non torneranno nelle tasche dei lavoratori né finiranno a migliorare le politiche del lavoro, ma andranno nelle casse dello Stato per ripianare buchi di bilancio, sottraendoli a un servizio fondamentale per i cittadini. Il governo finirà per appropriarsi di soldi che sono dei lavoratori». E non sarebbe il primo taglio al fondo: dal 2011 al 2013, ai patronati sono già stati decurtati altri 90 milioni di euro.
Le pratiche sbrigate ogni anno dai patronati sono 11 milioni e 400mila. Un risparmio di 500 milioni di euro per la collettività
Dai sussidi di disoccupazione alle questioni pensionistiche, dai congedi di maternità all’assistenza disabili, dai permessi di soggiorno agli assegni sociali, i patronati sbrigano una serie di servizi che in altri Paesi vengono offerti a pagamento dai privati. Sono presenti su tutto il territorio nazionale con oltre 21mila uffici e quasi 12mila dipendenti (oltre a 15mila collaboratori volontari). Le pratiche sbrigate ogni anno dai patronati sono 11 milioni e 400mila. Per svolgere questi servizi, ricevono un finanziamento pubblico con un fondo specifico accantonato negli istituti di previdenza, composto dallo 0,226% dei contributi previdenziali versati dai lavoratori ogni anno. La quota viene versata su un conto del ministero del Lavoro che provvede con un decreto a ripartire i finanziamenti ai patronati proporzionalmente all’attività svolta, verificata di anno in anno dagli ispettori del lavoro. «Noi non chiediamo nessun pagamento rispetto alle attività che svolgiamo», sottolinea Presciani, «e la nostra attività è continuamente monitorata».
Nel 2013, le persone che hanno versato per i patronati un contributo dalla propria busta paga sono state 21,7 milioni, a fronte di oltre 50 milioni che possono accedere al servizio. Una forma di redistribuzione per assicurare le tutele fondamentali anche a chi non può permettersi un avvocato o un consulente del lavoro. Tanto che anche la Corte Costituzionale nel 2000 ha riconosciuto che «le tutele assicurate in modo universale dai patronati corrispondono a un interesse pubblico direttamente riconducibile all’articolo 3, secondo comma, della Costituzione».
I finanziamenti ai patronati vengono sezionati tra un acconto pari all’80% di solito erogato a gennaio da parte del ministero del Lavoro, più un saldo erogato a giugno dopo che lo stesso ministero ha verificato che l’attività dichiarata da ciascun ufficio sia stata effettivamente svolta. Il resto arriva direttamente dalle risorse di sindacati e organi di categoria. Puntualmente, acconti e saldi arrivano quasi sempre in ritardo. L’acconto del 2011, ad esempio, «va ancora saldato», sottolinea Presciani.
Ora l’ammontare dell’acconto di gennaio potrebbe scendere dall’80 al 45 per cento, e l’aliquota versata al fondo si ridurrebbe dallo 0,226% allo 0,148% dei contributi dei lavoratori. Cosa che «fa venir meno la liquidità a disposizione dei patronati, e che significa esporci molto di più con le banche per riuscire a pagare gli stipendi dei dipendenti». Con conseguenze anche sulla tenuta dei posti di lavoro. «La riduzione del personale sarà drastica», continua Presciani, «migliaia di persone verranno lasciate a casa».
I patronati di tutte le sigle, dai commercianti agli artigiani (29 quelli riconosciuti dall’Inps), hanno l’obbligo di assistere gratuitamente chi si rivolge a loro. Agli uffici di Acli, Enac (Cgil), Inas ( Cisl), Ital (Uil), Epaca (agricoltori) o Inapa (artigiani) si possono rivolgere tutti i cittadini, indipendentemente dalla iscrizione a una sigla sindacale o a un organo di rappresentanza di una categoria. Certo, «quando qualcuno si rivolge a noi per fare una pratica per la pensione, chiediamo se vuole iscriversi al sindacato», dice Presciani. «Ma sia che dica sì sia che dica no, il nostro compito deve essere assolto. Né gli iscritti hanno corsie preferenziali rispetto a tutti gli altri». I nuovi iscritti, sul totale delle pratiche svolte nei patronati, sono circa il 20 per cento. «Quello che noi possiamo dire è che se la persona ha gradito particolarmente il servizio, può fare l’iscrizione, ma nessuno è obbligato a farlo».
Se non ci fossero i patronati l’Inps dovrebbe spendere 657 milioni di euro a fronte dei 430 milioni attuali
In base ai calcoli fatti dall’Inas, grazie all’attività dei patronati i cittadini risparmiano 500 milioni di euro ogni anno. Per poter svolgere lo stesso lavoro, Inps, Inail e ministero degli Interni dovrebbero aumentare gli organici di 6.083 unità a tempo pieno con 6.142 nuovi uffici permanenti. Ad oggi, per esempio, i patronati curano il 90% delle domande telematiche presentate all’Inps. A questi calcoli va aggiunta anche l’attività svolta dai patronati per i cittadini italiani residenti all’estero. Per erogare direttamente questi servizi, forniti oggi attraverso una rete di oltre 400 uffici sparsi nel mondo, l’Inps dovrebbe sostenere i costi richiesti dall’invio di personale italiano in missione all’estero.
Non solo: dal 2007 i patronati si occupano anche del rinnovo dei permessi di soggiorno degli immigrati, facendo risparmiare tempo, risorse e lunghe code alle questure di tutta Italia. Dal 2006 al 2012 il sistema dei patronati ha rinnovato 2 milioni e 600mila permessi di soggiorno, a cui si aggiungono varie centinaia di migliaia di procedure per i ricongiungimenti familiari (pratiche che hanno impegnato il personale dei patronati per almeno 1 milione e 300mila ore di lavoro). Un risparmio, per il ministero dell’Interno, di circa 60 milioni di euro. «E gli agenti prima occupati nelle pratiche d’ufficio sono stati reimpiegati in servizi più attinenti alle funzioni di sicurezza sul territorio», dice Presciani.
I conti li ha fatti anche la stessa Inps in occasione della presentazione del bilancio sociale. Se non ci fossero i patronati, la pubblica amministrazione dovrebbe spendere oltre 657 milioni di euro, a fronte dei 430 milioni spesi attualmente. «Si finirebbe quindi per spendere di più», spiega la deputata Pd Laura Garavini, che insieme a 150 deputati del suo partito ha inviato una lettera indirizzata a Renzi e al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. «I patronati sono un fiore all’occhiello del sistema sociale italiano», scrivono. «L’Europa ce li invidia. Si tratta di un’istituzione moderna, da salvare».
Tanto più, aggiunge Presciani, che «in questi anni abbiamo investito nei giovani con contratti di apprendistato che nella maggior parte dei casi si trasformano in contratti a tempo indeterminato. In Lombardia, su 170 persone, noi abbiamo solo 3 persone vicine alla pensione». Che sia un altro modo per colpire i sindacati? «Non lo voglio credere», risponde, «vorrei sperare che non fosse così. Sarebbe come andare a colpire l’intero elettorato».