Sgomento, rabbia, incomprensione. Da parte dei famigliari delle vittime dell’amianto che chiedono giustizia da decenni. Ma anche della politica con il premier Matteo Renzi che chiede di cambiare le regole della prescrizione. La sentenza della Corte di Cassazione che ha annullato la condanna a 18 anni per l’ex amministratore delegato di Eternit Stephan Schmidheiny, il magnate svizzero considerato responsabile della morte di quasi 3 mila persone per le polveri di amianto, continua a suscitare polemiche. La Cassazione è dovuta persino intervenire con una nota stampa, fatto più unico che raro, per spiegare le ragioni della sentenza. E ha ricordato che «l’oggetto del processo Eternit svoltosi mercoledì era esclusivamente l’esistenza o meno del disastro ambientale, la cui sussistenza è stata affermata dalla Corte che ha dovuto, però, prendere atto dell’avvenuta prescrizione del reato», avvenuta nel 1986 con la chiusura degli stabilimenti. Astolfo Di Amato è insieme a Franco Coppi l’avvocato difensore di Schmidheiny. È tra i massimi esperti della responsabilità penale sull’amianto, autore di un manuale studiato nelle università italiane.
Avvocato, lei non potrà che essere soddisfatto, ma ci sono migliaia di persone che sono rimaste senza parole rispetto a una sentenza che non individua i colpevoli della morte di tanti lavoratori e cittadini comuni per le polveri di amianto. La giustizia non sembra proprio funzionare in Italia
Innanzitutto la Corte di Cassazione ha stabilito un principio importante: la prescrizione c’era già quando c’è stato il giudizio di primo grado, quindi significa che è stato un processo inutile. E del resto che il processo fosse inutile sin dal principio noi della difesa lo abbiamo detto dal primo giorno. Noi vedevamo le parti civili convinte di arrivare a buon fine, ma sapevamo che sarebbe stato inutile. Io lo dissi immediatamente: fate un processo inutile perché è già prescritto.
Ma quindi perché portarlo avanti? Il disastro ambientale è stato confermato. Secondo lei è stato un modo per accontentare l’onda emotiva che si è creato in una vicenda tremenda come quella di Casale Monferrato? Il procuratore Raffaele Guariniello non demorde. Dice: «Il reato c’è».
L’onda emotiva sarebbe dovuta servire per spiegare le regole e cambiarle. Perché in base alle regole e alle interpretazioni delle regole che ci sono state fino a ieri il processo era prescritto. L’onda emotiva sarebbe dovuta servire a questo, ma non è stato fatto nulla
E come dovevano cambiare le regole? Lei è uno dei massimi esperti in tema di responsabilità penale da amianto
Le regole si possono cambiare in mille modi. Si può anche scrivere che i reati di amianto non si prescrivono mai. Lei tenga presente che l’Italia è l’unico paese in cui ci sono processi penali per amianto. In tutti gli altri paesi dagli Stati Uniti all’Australia nessuno ritiene che il reato di amianto sia da perseguire in sede penale (in Francia nel 1996 in un caso analogo i magistrati hanno optato per il non luogo a procedere ndr).
I famigliari delle vittime però chiedono giustizia. Lo ripeto: c’è di mezzo la morte di quasi 3 mila persone, tra operai e abitanti delle zone vicine a quattro stabilimenti italiani
Giustizia cosa vuol dire? Significa l’applicazione delle regole o significa quello che io desidero?
Però è ancora in piedi l’inchiesta bis della procura di Torino sulla morte di oltre 200 persone, che hanno respirato l’amianto nelle zone vicine alle fabbriche di Casale Monferrato e Cavagnolo.
Certo, ma qui stiamo parlando di un reato diverso, ovvero quello di omicidio, quello non è prescritto. E’ un procedimento rispetto al quale si dovrà capire cosa è realmente successo, qui è il problema che abbiamo è sempre l’onda emotiva. Se prevale questa impostazione qualsiasi cosa dirà la difesa non conta niente, se si fa un processo serio bisogna attenersi alle prove. E le prove sono queste. L’ex amministratore della Eternit, Stephan Schmidheiny, dal 1976 al 1986, ha inviato in Italia 75 miliardi di vecchie lire senza profitto. E quei 75 miliardi sono serviti per cambiare i sistemi di produzione e renderli più sicuri.
Ma quindi di chi è la colpa di questa strage?
Il vero problema è che a Casale la prima fabbrica di amianto c’è dal 1907. Fino al 1976 c’è stata una produzione indiscriminata di polveri, quando arrivò lo svizzero la città era già stata invasa.
Non può non ammettere però che la prescrizione non ha aiutato la difesa.
Guardi la prescrizione resta un principio fondamentale di garanzia. Deve esserci un momento in cui le situazioni finiscono sennò un processo può continuare per altri 500 anni. Il secondo aspetto è che se io vengo chiamato a rispondere per qualche cosa che è successo 30 anni fa io non riesco a difendermi, perché non ci sono più i documenti, non ci sono testimoni a me favorevoli.
Eppure in queste ore si dice che negli altri paesi europei le cose sarebbero andate diversamente
Assolutamente no. Le faccio l’esempio dei paesi anglosassoni dove non conoscono la prescrizione. Ma c’è un altro principio: il processo deve essere fatto in condizioni eque e se viene fatto a troppa distanza di tempo non è più equo per l’imputato che non può più difendersi