Il virus Ebola è arrivato in Mali alla fine di ottobre: il 24 è morta la prima vittima, una bambina di due anni proveniente dalla Guinea. Ma il paese dell’Africa occidentale potrebbe essere riuscito a limitare l’epidemia a quell’unico caso, grazie ad una pronta risposta e alla collaborazione tra le autorità sanitarie locali, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e i Centers for Desease Control and Prevention statunitensi.
Il New York Times aggiunge che non è mancato «lavoro investigativo vecchio stile» e perfino «un inseguimento automobilistico». Dopo l’arrivo del virus nel paese, infatti, gli operatori sanitari hanno identificato 108 maliani che erano possibilmente entrate in contatto con la bambina e le hanno messe in quarantena. L’ultimo autobus che la famiglia della bambina aveva utilizzato nel viaggio dalla Guinea, dice il New York Times, è stato fermato in una strada locale, svuotato dei passeggeri e disinfettato.
Dopo 21 giorni senza aver manifestato i sintomi del virus, le prime 41 persone sulle 108 in quarantena saranno dimesse oggi e le rimanenti entro la fine della settimana. Se l’epidemia si rivelerà effettivamente arginata nel paese – uno dei più poveri del mondo – il Mali si aggiungerà al Senegal e alla Nigeria, gli altri due paesi dell’Africa occidentale che sono stati in grado di limitare la diffusione di Ebola entro i propri confini.
Ci sono buone notizie che vengono anche dagli unici due paesi non africani in cui si sono registrati casi del virus. In Spagna, tutte le 83 persone che si pensa siano entrate in contatto con l’infermiera infettata dal virus ai primi di ottobre – curata e dichiarata fuori pericolo il 22 ottobre – hanno completato la quarantena di 21 giorni senza manifestare sintomi del virus.
Negli Stati Uniti, l’unico caso di un paziente che ha manifestato i sintomi di Ebola nel paese – il dottor Craig Spencer, ammalatosi mentre si trovava in Guinea con Medici Senza Frontiere – dovrebbe essere rilasciato dall’ospedale Bellevue di New York nella mattinata di martedì 11 novembre. Non si sono verificati nuovi casi negli Stati Uniti, da quando Spencer è stato ricoverato il 23 ottobre.
Tuttavia, sarà necessario attendere ancora diversi giorni perché l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiari Spagna e USA (così come Senegal e Mali) ufficialmente “liberi dall’Ebola”: la procedura prevede che passino sei settimane senza un nuovo caso nel paese, condizione che finora si è verificata solo in Nigeria.
Dai tre paesi in cui l’epidemia è più grave, però, le notizie sono solo in parte positive. In Liberia, il paese più colpito con circa metà dei casi – oltre 6.500, con quasi 2.700 morti – sembra che il numero delle nuove infezioni abbia cominciato a declinare e l’OMS dice di essere fiduciosa su sviluppi positivi nel prossimo futuro. In Guinea e in Sierra Leone, invece, il numero delle nuove infezioni è in aumento e la trasmissione del virus resta, nelle parole dell’OMS, «costante e diffusa, in particolare nelle città principali».
Quella tuttora in corso è di gran lunga la più grave epidemia di Ebola da quando il virus venne identificato per la prima volta nel 1976. Da allora, ci sono state una ventina di epidemie, generalmente limitate ai paesi africani e arginate in fretta. Secondo quanto è stato possibile ricostruire, l’epidemia attuale è cominciata nel dicembre 2013 con la morte di un bambino di due anni nel villaggio di Meliandou, in Guinea. Per diverso tempo, tuttavia, l’epidemia non è stata identificata dalle autorità e si è potuta espandere dalla Guinea alla Liberia e alla Sierra Leone. Lo scorso 5 novembre, il rapporto sulla situazione dell’OMS ha stimato in 13.042 i casi riportati, con 4.818 morti.