In molti ormai l’hanno ribattezzata la Apple cinese. E in fondo la società fondata da Lei Jun nel 2010, negli ultimi mesi ha fatto davvero di tutto per accaparrarsi questa nomea, a cominciare dal lancio sul mercato di dispositivi troppo simili a quelli di Cupertino. Per capirlo basta tornare indietro a qualche mese fa quando sbarcò sul mercato MiPad, il tablet della casa di Shanghai con caratteristiche hardware e software molto vicine ad iPad e iPhone 5c. Per non parlare poi dell’ultimo modello di smartphone, Mi-4 lanciato ad agosto 2014, talmente somigliante ai modelli della mela da far sbottare anche Jonathan Ive, capo della progettazione di Cupertino, il quale ha definito Xiaomi “ladra e copiona”.
Il vero problema per Apple però potrebbe non essere tanto che i dispostivi di Jun e soci siano troppo simili ai propri, quanto il fatto che costino meno. Molto meno. E questo ha innanzitutto permesso alla società di Shanghai di sbaragliare la concorrenza nel mercato cinese: chi acquista un modello di smartphone Xiaomi, può infatti beneficiare di un device a costi inferiori alla media, ma con qualità e prestazioni degni di qualsiasi top di gamma concorrente. In tutto ciò gli ultimi dati rilasciati da Idc, che pone Xiaomi al terzo posto come rivenditore al mondo per smartphone, sono la testimonianza di come si tratti di un’azienda che naviga con il vento in poppa. Il volume di vendite dei telefonini in un anno è cresciuto del 211 per cento, balzando da una percentuale del 2,1 del 2013 al 5,3% di quest’anno. Degli oltre trecento milioni di smartphone inviati ai rivenditori nel trimestre rilevato da Idc, 17,3 milioni sono di Xiaomi che si posiziona alle spalle di Samsung (leader mondiale incontrastato con oltre 78 milioni di vendite) e Apple.
La mossa per lanciare l’assalto alla vetta è gia stata decisa: aprirsi al mondo. Secondo quanto riporta il quotidiano Repubblica, Xiaomi avrebbe già ottenuto un esoso prestito di circa un miliardo di dollari da una serie di banche internazionali, per sbarcare in quattordici mercati esteri tra cui Indonesia, Messico e Brasile. Oltre a l’India in cui ha già esordito dignitosamente. Anche sul piano degli uomini guida l’azienda sembra avere le idee chiare e non vuole fare sconti a nessuno: il prescelto è stato Hugo Barra ex manager di Google. Come si diceva il prodotto top di gamma è il Mi-4: un dispositivo spesso 8,9 millimetri di 149 grammi con processore Snapdragon 801 Quadcore di 2,5 Ghz, 3 Gb di memoria Ram e fotocamera 13 megapixel, è c’è anche la versione con il software proprietario Miui. Tutte caratteristiche che lo rendono uno smartphone di fascia alta e che, se venduto a prezzi notevolmente inferiori ai concorrenti (in Cina Mi-4 viene venduto a 1.999 yuan, mentre ad esempio l’Iphone 6 olre 5mila) e solo tramite canali di distribuzione online — utili all’azienda per contenere i costi — spiegano le ragioni di un successo.
Va detto infine che conquistare il mercato mondiale, uno degli obiettivi a breve termine del colosso Cinese, non sarà impresa facile. Innanzitutto perché Xiaomi non è ancora una società conosciuta a tal punto da garantirsi la fiducia degli utenti — basti pensare che in India il governo ha invitato le forze armate a non utilizzare gli smartphone in questione per questioni di sicurezza — ma anche perché, e soprattutto negli Stati Uniti, Jun e soci potrebbero ritrovarsi a fare i conti con non poche cause di potenziali violazioni di brevetti tecnologici. Nel frattempo la prossima mossa è quella di investire massicciamente su un altro settore tecnologico che sembrerebbe in forte ascesa, quello delle televisioni intelligenti. Una fetta di torta che in Cina conta cinquecento milioni di spettatori al mese e che per Xiami rappresenta il primo vero banco di prova per testare la rincorsa a Apple e Samsung.