«Non possiamo più fornire informazioni mediche in base all’analisi del vostro Dna», recita l’avviso sul sito di 23andme, società californiana in parte finanziata da Google, tra le più famose produttrici di test genetici fai-da-te. Limitata oggi a offrire solo informazioni sui propri antenati. “Colpa” della Food and Drug Administration (Fda) l’ente regolatorio americano che circa un anno fa ne aveva vietato la commercializzazione negli Stati Uniti, per via delle informazioni carenti e poco chiare a sostegno dei dati forniti nei risultati. Se però abitate nel Regno Unito allora cambia tutto. Il controverso test dai primi di dicembre è infatti disponibile sul mercato britannico, dopo esser stato approvato dalla autorità sanitaria britannica, il Medicines and Healthcare Products Regulatory Agency (Mhra), «purché usato con cautela». Il servizio, che offre oltre un centinaio di analisi genetiche in grado di fornire informazioni sui rischi di sviluppare patologie e sull’origine dei propri antenati, ha ottenuto il marchio CE “non come un dispositivo medico ma piuttosto come un prodotto di informazione” come ha spiegato al The Guardian Anne Wojcicki, Ceo di 23andMe. L’azienda ha precisato che il servizio in realtà non diagnosticare la malattia ma si limita a identificare i marcatori che suggeriscono una predisposizione verso alcune malattie genetiche. L’approvazione ha comunque scatenato molte polemiche da parte degli esperti, che accusano i risultati forniti dal test di non sono così accurati da essere utilizzati per prendere decisioni sulla propria salute.
Per sole 125 sterline (ben poche rispetto alle 1,85 miliardi di sterline necessarie dieci anni fa per mappare per la prima volta il genoma umano) il kit identifica i geni associati a condizioni ereditarie, come la fibrosi cistica, la malattia di Alzheimer, il morbo di Parkinson e l’anemia falciforme, e anche il cancro. Ma fornisce informazioni anche sulle probabilità di soffrire di calvizie, la propensione a preferire il caffè o a odiare i cavolini di Bruxelles, e la possibilità di conoscere meglio i propri tratti ereditari e la discendenza genetica. Chi ordina il kit riceve una fiala da riempire con la propria saliva, da rispedire a un laboratorio olandese. Qui il Dna viene estratto dalla saliva e analizzato. Prima viene “amplificato” cioè copiato più volte e fatto crescere fino al punto in cui può essere genotipizzato, cioè essere distinto da altri campioni per via di alcune differenze, e poi confrontato con sequenze standard di riferimento, per individuare eventuali varianti genetiche. Non viene sequenziato l’intero genoma ma vengono ricercate solo alcune decine di migliaia di varianti genetiche correlate con le diverse patologie o le condizioni ricercate, in base alla letteratura scientifica. Qualche settimana dopo, il cliente riceve un resoconto nel quale vengono segnalate le malattie o condizioni di salute per le quali ha una predisposizione genetica.
«Lo scopo di 23andMe è permettere a ciascuna persona di accedere al proprio codice genetico per modificare il proprio stile di vita in funzione delle proprie predisposizioni genetiche» come spiega a Wired UK Anne Wojcicki. «Questi dati dovrebbero essere pienamente integrati nel sistema sanitario per guidare l’efficienza e risultati per il paziente superiori». Lo stesso Sergey Brin, cofondatore di Google ed ex marito di Wojcicki, ha modificato la sue abitudini dopo aver fatto il test, «perché con la madre affetta da morbo di Parkinson e un elevato fattore di rischio genetico per la patologia ha molte possibilità di sviluppare la malattia» continua Wojcicki. «Per questo ora siamo più proattivi: Sergey fa più esercizio fisico e beve più caffè perché è associato con la riduzione del rischio; io invece che ho un alto rischio genetico per il cancro al seno, ho ridotto il consumo di alcol».
«In alcune situazioni i test genetici sono uno strumento utile e importante – ha dichiarato alla Bbc Marcy Darnovsky del Center for Genetics and Society – ma , è abbastanza inutile se le persone sane lo utilizzano per prevedere malattie complesse. Le malattie più complesse, infatti, e la maggior parte delle più comuni – con alcune eccezioni come i geni BRCA 1 e 2, implicati nel cancro al seno – sono multi-fattoriale dovute a più geni e altre cause, che possono essere biologiche, sociali e ambientali». Una delle preoccupazione della Fda era che alcuni clienti potessero modificare la propria vita solo in base ai risultati dei test, la cui affidabilità tra l’altro non era stata totalmente dimostrata. «Nonostante un attento uso dei test di 23andMe, anche nel modo di comunicare al cliente e spigare i risultati, c’è una preoccupazione comprensibile che questi potrebbe causare danni semplicemente portando le persone a preoccuparsi eccessivamente della loro salute, ossessionati da questi piccoli aumenti del rischio di sviluppare un’ipotetica patologia» ha spiegato Ewan Birney direttore associato dell’European Bioinformatics Institute (EMBL) di Cambridge sempre al The Guardian.
Secondo Darnovsky il lancio del prodotto nel Regno Unito e a ottobre in Canada, potrebbero far parte di una strategia della società californiana per fare pressione sulla Fda, dimostrando che gli enti regolatori di altri Paesi non hanno trovato nessun problema nel loro prodotto.
Non è ancora del tutto chiaro nemmeno quale sia la loro strategia di mercato «se vogliono guadagnare con la vendita di kit per i consumatori, o vendendo i dati dei consumatori ad altre società» come ha spiegato Hank Greely, direttore del Center for Law and the Biosciences della Stanford University in California alla BBC News.
Per ora 23andMe ha dichiarato di non voler condivide i dati genetici con le compagnie di assicurazione o di qualsiasi altra parte interessata, senza esplicito consenso di una persona. Ma anche questo punto è ancora da chiarire. In una lettera pubblicata su Jama alcuni esperti si interrogano proprio su questo, se le assicurazioni debbano o meno avere accesso ai dati dei test genetici. Da una parte infatti il paziente che fa il test e sa di avere la predisposizione per una grave patologia può non rendere noti i risultati e chiedere coperture aggiuntive oltre quella base. Dall’altra però se l’assicurazione entrasse in possesso di questi dati potrebbe escludere dalla copertura le persone con maggior rischio di sviluppare gravi malattie. Tra la diverse soluzioni, spiegano gli esperti, forse la migliore è quella di «lasciare che le assicurazioni basilari sulla vita siano disponibili senza che gli assicuratori abbiano accesso alle informazioni genetiche. Mentre per coloro che desiderano una copertura aggiuntiva, gli assicuratori potrebbero essere autorizzati ad accedere alle informazioni genetiche per un numero limitato di geni clinicamente ben caratterizzati dall’alto rischio».