Attento Renzi, che “commissariano” anche te

Attento Renzi, che “commissariano” anche te

È iniziato il commissariamento soft dell’Italia, la progressiva perdita di sovranità economica (e politica) susseguente a un periodo di forte instabilità dei conti pubblici? Come in ogni dejà-vu che si rispetti, gli elementi non combaciano perfettamente. Tuttavia, nel corso delle ultime due settimane, si è acuita la sensazione di rivivere quanto accaduto nell’estate del 2011, quella dell’attacco speculativo al debito sovrano italiano che ha portato, in meno di tre mesi, alle dimissioni del governo in carica e all’avvento dei tecnici guidati da Mario Monti. Gli elementi comuni sono tre: la lettera, il rating, la credibilità. Il luogo, il mercato finanziario, è sempre lo stesso.  Gli attori principali, invece, sono cambiati tutti, tranne l’inossidabile Angela Merkel. Le parti, tuttavia, sono rimaste pressoché identiche.

Tre anni fa, dicevamo, la Commissione Europea inviò una lettera al governo Berlusconi, dove venivano dettagliati gli interventi richiesti all’Italia per evitare un possibile default. Questa volta, Jean-Claude Juncker, il Presidente della Commissione Ue, ha dichiarato in un’intervista ad Avvenire di aver chiesto a Matteo Renzi di scrivere lui stesso una lettera all’Europa con gli impegni che l’Italia avrebbe assolto. Senza quella lettera, l’apertura della procedura d’infrazione sarebbe stata inevitabile. Possiamo a ragione supporre che tale lettera Renzi la scriva di suo pugno, senza necessità alcuna di farsela dettare. Ce ne sarebbe bisogno, tuttavia? Le cose da fare, come si dice, sono note da tempo. Per dire, il punto c) della lettera recapitata il 5 agosto 2011 al governo italiano diceva che avrebbe dovuto «essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi». Proprio in questi giorni il Governo ha ottenuto la fiducia sul Jobs Act.

Tre anni fa, la bocciatura dell’Italia da parte di Standard & Poor’s. Allora eravamo ancora nel paradiso della “A”, oggi siamo scesi al livello minimo BBB-. Al di sotto di tale livello, nelle convenzioni internazionali i titoli vengono giudicati adatti solo per fini “speculativi”. Questo significa che i soggetti che gestiscono patrimoni con finalità prudenziali (fondi pensione, fondi comuni, banche, assicurazioni, fondazioni …) stanno iniziando a valutare se e quando disfarsi dei nostri Btp. Le conseguenze del downgrade, oggi come allora, sono molto peggiori di quanto la modesta reazione dello spread in questi giorni lasci intendere. In primo luogo, si rafforza la convinzione dei paesi nordeuropei che, senza la pressione dei mercati, i paesi “mediterranei” non mantengono fede alle promesse e lasciano degradare la situazione dei propri conti pubblici, rimandando le dolorose riforme strutturali. In secondo luogo, i paesi più “rigoristi” hanno adesso più argomenti per chiedere alla Commissione Europea una maggiore intransigenza nei confronti dell’Italia, in quanto un’agenzia indipendente ne ha certificato la debolezza. In terzo luogo, la certificazione indipendente di maggiore rischiosità, rende più difficile per Draghi convincere le banche centrali europee ad imbottirsi di Btp attraverso il “quantitative easing”.

Tre anni fa, il governo italiano aveva iniziato a perdere rapidamente credibilità nei confronti dei partner europei. La questione era legata in parte agli scandali che avevano investito il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in parte allo sfaldamento politico della maggioranza che sosteneva il governo e in parte all’incapacità di effettuare incisive manovre correttive e strutturali. Fortunatamente, il primo elemento non c’è oggi. Ma gli altri due sembrano ripresentarsi. Come la coalizione di governo ieri era stata indebolita dalla rottura tra Berlusconi e Fini, oggi il Pd sembra prossimo alla scissione. Come i partner europei ieri avevano incitato Berlusconi a fare i compiti a casa, oggi la Merkel ha dichiarato insufficienti le riforme strutturali varate dal governo italiano e a rischio il rispetto degli impegni di correzione delle dinamiche dei conti pubblici. La differenza, e non è cosa da poco, è che questa volta la Francia sta con l’Italia davanti alla cattedra, non dietro.

Tre anni fa, la Bce era nel pieno della sua attività a supporto dei mercati obbligazionari, prima il Securities Market Program (Smp) di Jean-Claude Trichet, con cui effettuò acquisti diretti di titoli di Stato dei paesi in difficoltà (soprattutto Grecia, Italia, Spagna), poi con i massicci Ltro di Draghi, effettuati a cavallo del 2011-2012 e attraverso i quali di fatto la Bce effettuò un quantitative easing all’europea, non comprando direttamente i titoli di Stato ma delegando il sistema bancario europeo a farlo attraverso operazione di pronti/termine. Oggi, siamo in una situazione analoga. Le operazioni T-Ltro sono considerate, come il Smp del 2011, troppo timide e inadeguate ad affrontare la gravità della situazione e si ritorna a richiedere alla Bce un intervento più massiccio ed immediato, che abbia come sottostante i titoli di Stato.

E poi c’è la Grecia. È bene precisare sin da subito che il debito greco è “blindato” nelle mani della Bce e dei partner europei. Quindi, la situazione non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella di tre anni fa. Eppure, in questo contesto, il crollo della Borsa di Atene e l’impennata dei rendimenti delle obbligazioni elleniche non fa che aumentare l’effetto dejà-vu. E se le sensazioni hanno ragione, qualche motivo per preoccuparsi c’è.

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