Le previsioni, si sa, sono fatte per essere smentite: soprattutto nella politica internazionale. È molto più facile indovinare quali saranno i film che riempiranno le sale in mezzo mondo, nel 2015: il nuovo film della serie di James Bond, quello tratto da Cinquanta sfumature di grigio e il nuovo film di Star Wars. Ma leggere i segnali sottotraccia di fine 2014 aiuta a mettere a fuoco le zone del mondo che sono rimaste fuori dai radar.
Il 2014 è stato un anno turbolento, nel mondo. L’Europa ha visto di nuovo instabilità ai suoi confini, con la crisi ucraina e la guerra civile che tuttora si combatte nelle regioni orientali. Dopo la fine del governo di Viktor Yanukovich e le proteste di piazza Indipendenza a Kiev, abbiamo assistito all’invasione russa della Crimea e alla successiva annessione unilaterale.
L’altra crisi internazionale degli ultimi dodici mesi è stato l’emergere dello Stato Islamico, un gruppo di miliziani e fondamentalisti islamici che hanno proclamato un “califfato” tra Iraq e Siria, di cui controllano ampie zone.
Se la gravità di queste due crisi è stata inattesa, tristemente meno nuovo è quanto accaduto a Gaza, attaccato e invaso da Israele dopo un aumento del lancio di razzi da parte dei militanti palestinesi. Le sette settimane dell’attacco hanno ucciso oltre duemila palestinesi e circa settanta israeliani.
Tra gli altri avvenimenti internazionali che hanno segnato il 2014 sono state le grandi proteste pro-democrazia a Hong Kong e la peggior epidemia di Ebola della storia, tuttora in corso. E ora, che cosa aspettarsi dal 2015? Con l’aiuto delle opinioni degli esperti, proviamo a indovinare da dove verranno i titoli dei giornali del prossimo anno.
1. Le elezioni: un occhio alla Nigeria
Il cambiamento passa spesso dalle urne: e anche nel 2015 ci sono diverse elezioni da tenere d’occhio. Negli ultimi dodici mesi si è votato nella più grande democrazia del mondo, l’India, e vedremo presto che cosa porterà il governo di Narendra Modi; altri due appuntamenti elettorali che hanno lasciato il segno sono state le elezioni europee – con l’avanzata dei partiti populisti e nazionalisti – e il referendum scozzese, che ha bocciato l’opzione indipendentista.
Il prossimo anno si aprirà con le elezioni in Grecia, appena annunciate e previste per il 25 gennaio. SYRIZA di Alexis Tsipras, data intorno al 30%, è favorita; anche se il suo programma non prevede l’uscita dall’euro, è facile prevedere giorni inquieti. Due mesi più tardi si voterà in Israele per il rinnovo del parlamento; ma una delle elezioni più importanti per l’Europa sarà sicuramente quella del Regno Unito, prevista a maggio. In caso di rielezione, i conservatori di Cameron promettono di aprire un periodo di negoziati con l’UE e un referendum “dentro o fuori” sulla permanenza nell’Unione nel 2017. Il Labour, invece, è contrario al referendum.
Si voterà anche in Turchia, per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale, con elezioni previste per il 13 giugno; e a fine anno si dovrebbe scegliere un nuovo presidente e un nuovo parlamento in Argentina, ancora in gravi difficoltà economiche. C’è chi dice che la Costituzione del paese verrà modificata per permettere a Cristina Kirchner di candidarsi una terza volta: un’eventualità che è vista come fumo negli occhi dall’opposizione. Anche in Spagna si voterà per un nuovo parlamento prima della fine dell’anno.
Ma le elezioni che potrebbero riservare sorprese sono in uno stato africano: a metà febbraio si voterà in Nigeria, il paese più popoloso dell’Africa, che proprio nel corso del 2014 ha superato il Sudafrica ed è diventato anche la prima economia del continente. Ma è tutt’altro che un paese tranquillo, come anche l’Occidente ha visto con il rapimento di 200 studentesse da parte dei miliziani estremisti di Boko Haram, nel nordest del paese. La campagna di mobilitazione internazionale non ha portato a nulla e la Nigeria è sembrata uscire dall’attenzione collettiva, ma le elezioni rischiano di farcela tornare molto presto. La campagna elettorale ha toni accesi e violenti, le divisioni tra nord e sud del paese sembrano più profonde che mai e l’esercito nigeriano – noto per abusi e corruzione – chiede con insistenza più armi e più equipaggiamento per combattere Boko Haram.
2. La Cecenia, ancora?
Negli ultimi anni, la situazione in Cecenia è rimasta più o meno tranquilla, dopo i due devastanti conflitti degli anni Novanta. Vladimir Putin, allora agli inizi del suo potere, fu tra i maggiori promotori della politica di scontro frontale con i ribelli, e oggi garantisce la permanenza al potere dell’attuale primo ministro Ramzan Kadyrov. Ma qualcosa potrebbe cambiare presto: su Reuters, il presidente dell’autorevole Brookings Institution statunitense Strobe Talbott nota che ai primi di dicembre ci sono stati alcuni sanguinosi attentati a Grozny, la martoriata capitale della repubblica caucasica. Il gruppo che pare responsabile del ritorno della violenza sembra avere legami con al-Qaida e con lo Stato Islamico e parla dell’instaurazione di un “califfato del Caucaso”.
Visti questi segnali poco incoraggianti, il prossimo anno, prosegue Talbott, potrebbe vedere lo scoppio del terzo conflitto ceceno e segnare «la campana a morto per la Federazione Russa nei suoi confini attuali». E la colpa di questo sarà della stessa leadership russa: come ha scritto l’esperto di politica internazionale Thomas Carothers, vicepresidente del think-tank Carnegie, il paese «è diventato dipendente da un aspro nazionalismo e da crisi create ad arte, subordinando la stabilità e la razionalità nel comportamento geopolitico all’imperativo di mantenere la popolarità del leader».
3. La battaglia per Tripoli
Nel 2011, una coalizione guidata dalla NATO ha portato alla fine del regime di Muammar Gheddafi. Da allora, la Libia è senza un governo stabile e in preda alle fazioni e alle milizie armate. La situazione è estremamente complessa, ma le forze principali che si contendono il paese sono due: da una parte chi si identifica nel parlamento eletto a giugno, sostenuto dalle forze armate che disertarono durante la rivolta contro Gheddafi e da alcune potenze regionali come l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita; dall’altro una coalizione di miliziani e islamisti conosciuta come “Alba Libica” formatasi a Misurata, nell’ovest del paese, e pare sostenuta da Turchia e Qatar.
Il parlamento è stato scacciato dai miliziani di Alba Libica, con le armi, durante l’estate – e ora progetta un ritorno, mentre i tentativi di dialogo sotto l’egida dell’ONU non vanno da nessuna parte. La giornalista Bel Trew ha descritto su Foreign Policy i propositi bellicosi dei leader militari libici, che prevedono «un attacco imminente» alla capitale.
4. Una buona e una cattiva notizia in Sudamerica
Nei primi mesi del 2014, il Venezuela ha visto i peggiori disordini da molti anni a questa parte e un netto peggioramento delle condizioni economiche del paese. L’inflazione ha superato il 60 per cento e i conti pubblici sono disastrati, con la compagnia petrolifera statale PDVSA alla disperata ricerca di fondi visto il crollo del prezzo del petrolio sui mercati globali. Se le condizioni non miglioreranno, il prossimo anno potrebbe vedere una nuova stagione di proteste – e il governo di Nicolas Maduro non sembra molto incline al compromesso. Dopo aver descritto le proteste di inizio 2014 come il tentativo di un “colpo di stato fascista”, orchestrato dagli Stati Uniti, a fine novembre il Partito Socialista al potere ha accusato la leader dell’opposizione Maria Corina Machado di aver complottato per assassinare lo stesso Maduro.
Ma dal Sudamerica potrebbero arrivare anche buone notizie. Pochi giorni fa, in Colombia, i guerriglieri delle FARC hanno annunciato un cessate il fuoco, che per la prima volta è “unilaterale e indefinito”. Sospensioni dei combattimenti sono già avvenute in passato, ma l’annuncio è sembrato promettente in vista di una risoluzione del conflitto. D’altro lato, le FARC hanno messo in difficoltà il governo colombiano: una delle condizioni perché il cessate il fuoco duri è che l’esercito colombiano interrompa le operazioni militari nelle zone controllate dai guerriglieri. Da circa due anni stanno faticosamente proseguendo a L’Avana negoziati tra le FARC e il governo colombiano: è possibile che il 2015 sia l’anno in cui si arrivi a un accordo dopo oltre cinquant’anni di combattimenti.
5. E se la Cina rallenta?
Finora abbiamo lasciato da parte le questioni più strettamente economiche: ma anche in quel campo il 2015 potrebbe portare novità di cui si sentiranno le conseguenze in tutto il mondo. Tra queste, ci sarà probabilmente una minor crescita della Cina. Nel 2014 la sua economia è cresciuta del 7,4 per cento circa e il prossimo anno si attende che rimanga intorno al 7 per cento: numeri spaziali per noi, ma che fanno notizia in un paese che da vent’anni segnava aumenti in doppia cifra. Ma la crescita tumultuosa porta sempre con sé il pericolo di bolle, e i nodi stanno per venire al pettine. In particolare, la bolla immobiliare sembra sul punto di scoppiare.
Come spiega Alessia Amighini sul sito dell’ISPI, molto presto la Cina sarà costretta a fare i conti con i grandi squilibri della sua crescita: in primo luogo quello demografico – con l’imminente riduzione della forza lavoro – e quello territoriale – con poche aree fortemente specializzate in singole produzioni. Il 2015 potrebbe essere l’anno di una brusca frenata cinese, le cui conseguenze si faranno sentire in tutto il mondo.