C’è una storia di più di vent’anni fa che vale la pena ricordare a pochi settimane di distanze dalle dimissioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. È una vecchia vicenda che riguarda la storia d’Italia. La nostra Repubblica, dove – come ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera di lunedì 15 dicembre, «da vent’anni l’assetto politico non trova pace, sentendosi periodicamente insidiato dall’antipolitica, dal populismo, dal giustizialismo». Una storia che va riletta con attenzione. Perché, come scrive l’editorialista del Corriere, «ci sono fatti di quella lontana origine degli anni 90 di cui ci siamo dimenticati con troppa facilità. Ma che invece pesano come macigni, e ci ricordano da dove veniamo».
L’editoriale del quotidiano di via Solferino ricorda la lettera spedita a Montecitorio da Sergio Moroni, il deputato socialista travolto dall’inchiesta di Mani Pulite che si uccise con un fucile nella sua casa di Brescia. E tira in ballo proprio Napolitano, all’epoca presidente della Camera dei Deputati. Perché nonostante quelle parole fossero dirette proprio a lui, «non furono ritenute degne della benché minima discussione parlamentare». L’articolo di Galli della Loggia ha provocato la risposta del Capo dello Stato, che si è difeso ricordando di «aver reso pubblica quella lettera», ammettendo però di non aver aperto «una discussione in Assemblea».
Ma in quei mesi così complessi e drammatici per la nostra Repubblica di missive ne giravano parecchie. Ce ne furono altre che Bettino Craxi indirizzò a Napolitano e che non ricevettero risposta. Si tratta di due lettere che il leader del Psi inviò a entrambi i presidenti di Camera e Senato (a palazzo Madama c’era Giovanni Spadolini, dove si chiedeva di far luce sui rapporti tra il Kgb, il Partito Comunista Italiano. Soffermandosi e particolare sulla figura dello uno storico dirigente comunista Ugo Pecchioli.
Le lettere di Craxi a Napolitano e Spadolini
Quelle lettere, citate nel libro dello storico Salvatore Sechi «Le vene aperte del delitto Moro» e in un articolo del Sussidiario.net, vengono pubblicate da Linkiesta nella loro interezza, forse per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana. E sono due missive che il leader socialista scrisse in una delle fasi più difficili della sua carriera politica, dopo i discorsi alla Camera dove richiamava le responsabilità di tutti i partiti nella stagione di Tangentopoli, con già undici avvisi di garanzia in carico da parte della procura di Milano, pochi mesi prima della fuga in Tunisia. Le parole di Craxi vanno inserite nel contesto di allora. Gli storici ricordano che quelle lettere furono un’ultima richiesta di aiuto rivolta alla corrente migliorista del Pci, all’epoca già Pds, di cui Napolitano è sempre stato il referente politico principale. Perché in queste carte ci sono le ombre di un capitolo della storia d’Italia che non è mai stato del tutto chiarito. Sono misteri che toccano da vicino il caso dello statista della Dc Aldo Moro, del suo rapimento e della morte per mano delle Brigate Rosse. Ma sono misteri che riguardano soprattutto il finanziamento al Pci da parte dell’Unione Sovietica. E un interrogativo ancora oggi irrisolto? Perché l’inchiesta di Mani Pulite non ha mai neppure sfiorato gli eredi italiani del Partito Comunista?
Lettera di Bettino Craxi a Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini del 1993
Parlando della storia italiana fino agli anni 80, il 27 ottobre del 1993 Craxi scrive: «Fare i conti con la verità e con le responsabilità connesse vale soprattutto per i protagonisti di quegli anni che sono ancora vivi e che possono ancora parlare ed illustrare, come sarebbe loro dovere di fare, di fronte alle istituzioni, alla giustizia, all’opinione pubblica democratica». Il leader socialista entra nello specifico e ricorda che in Italia sarebbero state create «strutture paramilitari e spionistiche clandestine, da parte dei dirigenti dell’allora Partito Comunista, parte dei quali sono ora dirigenti del Pds. Erano strutture del tutto illegali realizzate con l’aiuto, la collaborazione e l’intervento del Kgb, su autorizzazione dei dirigenti del Partito Comunista Sovietico ed anche con l’apporto di altri Servizi segreti e apparati competenti di altri Stati del blocco comunista». Napolitano all’epoca è un dirigente del Pds. Fino alla fine degli anni ’80 era definito il «ministro degli Esteri» del Pci. Craxi quindi sa di cosa parla. E sa perfettamente a chi sta parlando. Gran parte della lettera si incentra poi sulla figura di Pecchioli, ex partigiano, poi membro della Direzione nazionale del partito fino al 1983, dove era responsabile della sezione Problemi dello Stato.
Pecchioli è stato uno dei sostenitori della svolta della Bolognina. È presidente del Comitato Parlamentare di Controllo dei Servizi di Informazione e di Sicurezza civile e militare, il vecchio Copasir. Per il leader socialista Pecchioli «aveva una responsabilità diretta per una parte almeno dell’attività illegale e clandestina messa in atto in Italia in collegamento diretto con i servizi segreti dell’Urss e di paesi membro del Patto di Varsavia, in un ambito di iniziative che spaziavano dalle radio ricetrasmittenti ai documenti falsi e ai baffi finti».
Lettera di Bettino Craxi a Giovanni Spadolini nel 1993
Non solo. Tentando di allargare le responsabilità di Tangentopoli anche agli altri partiti, Craxi ricorda altri passaggi inquietanti, citando i presunti rapporti di Pecchioli con la P2: «Merita aggiungere che, in quello stesso periodo e per un lungo arco di tempo, il senatore Pecchioli intrattiene strette relazioni di collaborazione con i capi dei Servizi Segreti italiani, che risultarono poi affiliati alla P2 ed in particolare con il Generale Santovito, Direttore del Sismi con il quale, in una località riservata, e appunto per anni, l’attuale Presidente del Comitato di Controllo Parlamentare dei Servizi di Sicurezza, aveva stabilito la consuetudine di periodici incontri».
I rapporti di Mosca con il Pci
La battaglia di Craxi contro Pecchioli si consumò sui quotidiani. Si parlò per qualche settimana di Gladio Rossa, si ritirò in ballo la vicenda Moro, dove proprio Pecchioli aveva avuto un ruolo di primo piano nella linea della «fermezza» del Pci contrapposta a quella «umanitaria» del Psi. Lo ha ricostruito Ugo Finetti sulla Critica Sociale, ricordando le parole che l’ex partigiano notificò a Francesco Cossiga dopo che iniziarono a comparire le prime lettere di Moro sui giornali. «Sia ben chiaro – notificò Pecchioli a Cossiga – Moro vivo o Moro morto, per noi con questa lettera Moro è morto». Poi il discorso su Pecchioli cadde nel vuoto. Il Pds rispose agli attacchi di Craxi bollandoli come «complotti immaginari». Lo stesso Pecchioli, tirato in ballo nel settembre del 1993 persino da un rivista russa, si difenderà sui rapporti tra il partito di via della Botteghe Oscure e Mosca definidendo «grottesca l’insinuazione secondo cui avrei utilizzato il ruolo di presidente del comitato parlamentare di controllo sui servizi per impedire che si facesse luce sui presunti finanziamenti del Pcus al Pci».
Quello che Craxi non scrive nelle lettere lo spiegherà invece al processo Enimont, quando il 17 dicembre 1993, testimoniando di fronte al pm Antonio Di Pietro, dirà: «Come credere che il Presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del Pci e aveva rapporti con tutta la nomenklatura comunista dell’Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del Pci e i paesi dell’Est? Non se n’è mai accorto?». Ricorda oggi a Linkiesta Margherita Boniver, ex socialista, all’epoca presidente della Commissione Esteri: «Le famose carte su Mosca depositate presso la commissione Esteri erano centinaia. Vennero prima secretate e poi dimenticate. Quei fiumi di denaro che provenivano dall’Urss, insomma, furono condonati. Facile no?». Alla prima delle due lettere l’unica risposta che ricevette Craxi fu questa: «I presidenti del Senato e della Camera rispondono con il seguente comunicato congiunto: «Presteremo l’attenzione necessaria alle riflessioni che Lei ha inteso sottoporci, riservandoci le opportune valutazioni nell’ambito delle nostre responsabilità». Alla seconda, inviata solo a palazzo Madama, il presidente Spadolini preferì non rispondere.