E ora cosa succederà? È forse la domanda più gettonata all’indomani dello storico annuncio fatto dal Presidente Usa Barack Obama e da quello cubano Raul Castro: le relazioni diplomatiche tra i rispettivi paesi, interrotte da più di 50 anni, riprenderanno. A L’Avana ci sarà una nuova ambasciata statunitense. I divieti di viaggio imposti a Cuba da Washington per le visite familiari ma anche d’affari o degli uomini di governo verranno tolti. E i cubani ora negli Stati Uniti potranno inviare rimesse più consistenti ai familiari sull’isola. Se anche non viene tolto l’embargo che impedisce l’accesso di prodotti americani a Cuba (Obama ha bisogno del via libera del Parlamento, e non è scontato che lo avrà), l’annuncio segna l’inizio di molte novità, soprattutto economiche, su un’isola che ha avviato una trasformazione del suo modello già da qualche anno.
Cuba conta 11 milioni di abitanti e un Pil di soli 68 miliardi di dollari (dati World Bank), produce poco e dipende molto dalle importazioni. I rischi, ci spiega Antonella Mori dell’Università Bocconi di Milano, ci sono e sono consistenti. Dall’inflazione a uno sviluppo selvaggio e caotico dell’isola. Proprio a lei abbiamo chiesto di descriverci come stanno oggi le cose sull’isola e i possibili scenari futuri.
Qual è la condizione economica attuale a Cuba?
Cuba si trova in una situazione molto complicata e di grande difficoltà. Sta vivendo una fase di cambiamento del modello economico. Fino a pochi anni fa a Cuba era vietato possedere una casa o un’auto. La proprietà privata sull’isola era del tutto proibita. Le due monete in circolazione sull’isola, una per i turisti e una per i cubani, sono state unificate solo l’anno scorso. Ora Cuba si sta aprendo al mercato*. Ma il paese produce poco e, pur dipendendo molto dalle importazioni, non ha abbastanza risorse per acquistare beni dall’estero. A Cuba c’è poco, nel senso letterale del termine, ci sono pochi beni di consumo in circolazione. Ma è anche una realtà in cui la produttività è bassissima. Banalmente, quel che un contadino cubano riesce a fare in un’ora è decisamente meno di quel che fa uno europeo. E questo dipende dalla mancanza di risorse (macchinari, semi, concimi) ma anche da una mentalità completamente diversa, in cui l’impegno lavorativo è molto basso. Detto questo, il Paese oggi ha un bisogno fortissimo di investimenti a tutti i livelli: infrastrutture, industria manifatturiera, turismo. Ma queste risorse mancano e negli ultimi anni è venuto meno un vicino regionale importante.
Si riferisce al Venezuela?
Esattamente. Cuba contava molto sul sostegno del Venezuela di Chavez. Ma questo è ora un paese in crisi. Chavez è stato sostituito da Maduro e la situazione economica è disastrosa, aggravata dalla caduta libera del costo del petrolio, che resterà basso ancora per molto tempo. Certo, non mancano le altre grandi nazioni regionali, come il Brasile. Ma Cuba ha bisogno ora anche del sostegno economico degli Stati Uniti, che sono un’economia mondiale di primo piano, e soprattutto vicini geograficamente all’isola. Non dimentichiamo inoltre che negli Stati Uniti vive una nuova generazione di cubani che vorrebbe o potrebbe fare investimenti nel paese di origine delle proprie famiglie.
Non è una novità che Cuba sia in cerca di nuove risorse da paesi stranieri. La scorsa primavera una delegazione di cubani è arrivata anche in Italia. Hanno fatto il giro delle nostre principali città per mostrare le potenzialità del loro paese. Carlo Calenda, vice ministro allo Sviluppo Economico, ripete da tempo che Cuba è uno dei paesi più interessanti in cui investire.
Quali sono però i rischi che comporta l’accordo raggiunto ieri da Obama e Castro?
C’è il grande pericolo dell’inflazione. Questo è legato proprio alle misure annunciate da Obama ieri. Le rimesse che i migranti cubani americani possono inviare a casa vengono alzate dal minimo di 500 dollari ogni tre mesi, a 2000 dollari ogni tre mesi. Cuba è un Paese in cui un professionista guadagna tra i 35 e i 50 dollari al mese. Il rischio che si corre è quello di avere un notevole aumento della massa monetaria in circolazione sull’isola prima ancora che ci sia uno sviluppo dell’attività produttiva locale capace di assorbire quel denaro. Questo porterebbe a un aumento generalizzato dei prezzi e un rischio di ulteriore povertà per i cubani. Si abbasserebbe infatti il potere di acquisto degli isolani, soprattutto di quelli che già guadagnano poco. Il rischio cioè è che le famiglie cubane usino le rimesse per acquistare molti più prodotti di importazione, aumentando la dipendenza dall’estero (l’unico embargo in vigore è quello sui bei statunitensi, dagli altri paesi l’importazione è libera, ndr).
Non deve quindi arrivare troppo denaro prima di un vero sviluppo della produzione interna?
Esatto. Cuba è un paese che vanta grandi potenzialità, un capitale umano eccezionale, un buon indice di sviluppo e settori di eccellenza come quello biomedico e medico. Ma occorre sviluppare la produzione interna (nel settore agricolo ma anche manifatturiero) per soddisfare la domanda locale con beni propri e non solo con quelli importati. Altrimenti il denaro in più che arriva con le rimesse verrebbe speso per acquistare prodotti solo stranieri, aumentando le importazioni senza vantaggio per le famiglie. È una questione di tempistica.
Il Paese ha bisogno di risorse esterne per sviluppare la sua economia, e ne ha bisogno anche per aumentare la domanda interna così da attrarre investitori stranieri. Ma deve evitare che l’afflusso di denaro nelle mani delle famiglie finisca tutto in beni di importazione. Il riavvicinamento con gli Stati Uniti è una grossa novità che si inserisce in un processo di cambiamento del modello economico che già presenta molti punti di domanda. Per questo è difficile prevedere davvero cosa accadrà. Quello che occorre, invece, è chiaro: una buona pianificazione.
Quali altri pericoli scorge?
Cuba gode in questo momento di un vantaggio straordinario. È così indietro nello sviluppo industriale, da essere nella condizione migliore per fare scelte di sviluppo sostenibile e pulito. Ma non è detto che ciò accada. L’isola potrebbe essere travolta da grandi investimenti industriali, provenienti da paesi diversi, non coordinati tra loro, ma anche molto inquinanti e mal funzionanti.
Crede che ci siano le capacità per pianificare bene lo sviluppo dell’isola?
È difficile dirlo. L’impressione che ho avuto incontrando la delegazione di cubani in visita a Milano la scorsa primavera (presentavano opportunità di investimento nel loro Paese) non è positiva. Mi è sembrato che ci fosse poca pianificazione e poca attenzione agli aspetti ambientali.
Nota
*Nel 2011 a Cuba è stata varata una riforma che permette le assunzioni private da parte delle imprese, l’acquisto di elettrodomestici ad alto consumo e la compravendita di auto e case. Ma anche la concessione di aree agricole ai contadini e l’opportunità di aprire imprese private. I viaggi all’estero per i cubani sono diventati più facili.