«Abbiamo già chiesto un appuntamento al prefetto, secondo il Movimento Cinque Stelle il comune di Roma deve essere sciolto per infiltrazioni mafiose». Il deputato grillino Alessandro Di Battista aspetta la fine della conferenza stampa, poi spara la notizia destinata a conquistare le prime pagine dei giornali. Mediaticamente parlando, una mossa perfetta. Nel giro di poche ore le polemiche sui dissidenti e le espulsioni sono dimenticate. Il M5S prova a uscire dall’angolo. In Senato si organizza un incontro con la stampa per presentare il disegno di legge sul reddito di cittadinanza, vecchio cavallo di battaglia. In Campidoglio va in scena la prima vera passerella del Direttorio pentastellato. Per denunciare il terremoto giudiziario che ha travolto la politica romana arrivano tre dei cinque parlamentari scelti da Grillo per affiancarlo nella gestione del Movimento.
Nei due appuntamenti pubblici si tornano a scandire gli slogan di un tempo. Il messaggio è chiaro. Bisogna spegnere i riflettori sulla resa dei conti interna, archiviare le polemiche tra dissidenti e lealisti. Gli ultimi risultati elettorali preoccupano, il rischio di dilapidare in tempi brevissimi il grande seguito conquistato alle urne resta concreto. Ecco allora che lo scandalo della Cupola romana offre una occasione irripetibile. È necessario confermare che il Movimento è in campo, in Parlamento e nelle strade. Impegnato nelle storiche battaglie che ne hanno decretato il successo. Al Senato e in Campidoglio, il protagonista è sempre lo stesso. È il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, da molti indicato già in tempi non sospetti come l’erede di Grillo. Ma è anche uno dei cinque esponenti del Direttorio. È il volto noto e la voce autorevole dei Cinque Stelle. Forse l’unico in grado di attirare sempre e comunque l’attenzione dei media.
Non a caso la conferenza stampa organizzata in Campidoglio è piena di cronisti e telecamere. Nella sala del Carroccio, la delegazione grillina accoglie la stampa con un tavolo pieno di arance. Ironica metafora per irridere i rappresentanti politici finiti in manette. Assieme a Di Maio ci sono i due membri del Direttorio Alessandro Di Battista e Carla Ruocco. Ma anche tutti i rappresentanti pentastellati eletti in consiglio comunale e nei municipi. Anzi, i primi a parlare sono proprio i quattro semisconosciuti consiglieri capitolini. Adesso la parola torna alla base, almeno nelle intenzioni di chi ha organizzato l’evento. «Noi rappresentiamo l’unica forza politica fuori da questi meccanismi – spiega Di Maio tra gli applausi dei presenti – Perché il nostro movimento è fatto da cittadini onesti». A differenza di Roberta Lombardi e del capogruppo Andrea Cecconi, giunti in Campidoglio in taxi, poco prima il vicepresidente della Camera e Di Battista erano saliti fino al palazzo senatorio a bordo di un motorino. Alla faccia delle autoblù (peraltro mai utilizzate).
Si torna a recitare come un mantra il vecchio leitmotiv dell’onestà e della trasparenza. «Perché in Parlamento di mafia e corruzione non si parla mai – spiega Cecconi – C’è sempre qualcosa di più urgente». Prendere le distanze dai partiti coinvolti nelle indagini della magistratura non è particolarmente difficile. Destra, sinistra, presente e passate consiliature. Il polverone giudiziario ha risparmiato davvero in pochi. Ecco perché tutti gli interventi dei grillini in conferenza stampa insistono proprio su un passaggio: gli unici non coinvolti dall’inchiesta sono gli esponenti del Movimento Cinque Stelle. La sola opposizione al sistema corrotto. «Se chiudono le imprese e nascono nuove mafie la responsabilità è unicamente dei partiti del Nazareno» aveva chiarito poche ore prima Di Maio.
Per provare a riconquistare l’elettorato deluso, questa è la strada obbligata. L’attacco al sindaco Ignazio Marino è diretto. I pentastellati chiedono lo scioglimento del comune per mafia. Nel pomeriggio una delegazione incontra il prefetto Pecoraro, che «non esclude ci siano i presupposti», confermano i presenti. Ma i grillini criticano anche il sindaco per la sua incapacità. «Non è degno di guidare questa città» ripete Di Battista. «Roma cambia se al governo va l’unica forza politica che non è mai scesa a patti con questo sistema». E poco importa se fino a pochi giorni fa i quattro consiglieri grillini avevano aperto una riflessione sul rapporto da tenere con il sindaco. Dicendosi persino disponibili a collaborare su alcuni argomenti particolarmente spinosi, come la chiusura dei campi rom.
Adesso il messaggio da dare in pubblico non ammette compromessi. La distanza dai vecchi partiti deve essere netta. Da questo punto di vista non è troppo lontana neppure l’altra battaglia avviata in Senato, sul reddito di cittadinanza. Contro il voto di scambio, i grillini rilanciano una delle proposte storiche del Movimento. A presentarla in mattinata è sempre Di Maio: un assegno da 780 euro per almeno nove milioni di italiani. Il provvedimento ha un costo stimato in 17 miliardi di euro. Le coperture? Vengono presentate in dettaglio a Palazzo Madama, dove il disegno di legge inizierà adesso l’iter in commissione Lavoro. Ci sono l’aumento della tassazione sui giochi d’azzardo e la riduzione dei costi della Pubblica amministrazione. Un’imposta sulle grandi ricchezze e il taglio alle pensioni d’oro.
Terminate le conferenze stampa, i problemi dentro il Movimento restano. Domani è in programma un’assemblea congiunta dei parlamentari grillini. Si parlerà di riforme, del nodo Quirinale, probabilmente anche delle espulsioni che tanto malcontento hanno creato nei gruppi. Come se non bastasse, domenica si terrà a Parma l’appuntamento organizzato dal sindaco Federico Pizzarotti (tra gli altri è attesa la presenza del deputato toscano appena epurato Massimo Artini). Una kermesse di dissidenti, aveva frettolosamente spiegato qualcuno. Tanto che secondo alcune indiscrezioni la sola partecipazione all’evento avrebbe comportato l’espulsione dal Movimento. A gettare acqua sul fuoco è sempre Di Maio. «Questa notizia è assolutamente priva di fondamento, come tante che leggo in questi giorni».