Grazie Renzi, a Roma mancavano solo le Olimpiadi

Grazie Renzi, a Roma mancavano solo le Olimpiadi

Ecco, ci mancavano solo le Olimpiadi. Mentre la Capitale affonda negli scandali e la magistratura scopre le infiltrazioni di una cupola mafiosa nella Città Eterna, il presidente del Consiglio Matteo Renzi lancia l’idea. Per il premier, Roma è pronta per organizzare i Giochi 2024. Una scelta che «ci riempie il cuore di orgoglio ed emozione». E forse anche un po’ di imbarazzo. 

Il progetto del governo sconta evidenti problemi di carattere finanziario, logistico e persino di buon gusto. Tuttavia l’aspetto che lascia più perplessi è legato proprio all’opportunità della scelta. Il tempismo non è evidentemente il forte di questa candidatura. Insomma, mentre i quotidiani di mezzo mondo raccontano con sdegno e sorpresa il vermicaio di corruzione emerso nelle inchieste romane, noi ci presentiamo sul palcoscenico internazionale per ospitare i Giochi. Roba da masochisti. 

Manuali di marketing alla mano, la decisione lascia quantomeno sorpresi. Del resto l’inchiesta su Mafia Capitale ha sporcato l’immagine di Roma e dell’Italia come non succedeva dai tempi di Tangentopoli. Ma la scelta di Palazzo Chigi stupisce anche dal punto di vista del buon senso. Davvero questo è il momento giusto per investire miliardi di euro e progettare faraoniche opere pubbliche? Ci sarebbe da ridere, se non fosse inquietante. Domattina, a poche ore dall’annuncio del presidente del Consiglio, arriveranno in Campidoglio gli ispettori del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro.  E così mentre il governo candida Roma a ospitare i Giochi, le autorità valutano l’ipotesi di sciogliere il comune per infiltrazioni mafiose. Sullo sfondo, le indagini sulle solite cricche. Gli amici degli amici che per anni hanno mangiato ovunque fosse possibile: dagli appalti per la manutenzione del verde alla gestione dei campi rom, fino ai centri per rifugiati e immigrati «che rendono più del traffico di droga», come si è lasciato scappare in un’intercettazione uno dei protagonisti dell’inchiesta. 

Ecco, a suggerirci di lasciar perdere dovrebbe essere proprio il senso del limite. Per organizzare certi eventi forse non siamo ancora pronti. Prendiamone atto. E sia chiaro, non è certo una questione legata alla città di Roma. Se ne faccia una ragione il leader leghista Matteo Salvini, che ha già chiesto di spostare i Giochi in Lombardia. Perché in quanto a corruzione siamo un Paese unito, con buona pace del Carroccio. I recenti scandali del Mose non riguardavano forse la padanissima laguna Veneta? E non è neppure il caso di scomodare il dramma del terremoto abruzzese o la disinvolta gestione del G8 alla Maddalena.

Lo stadio del softball di Atene, dieci anni dopo le Olimpiadi (Milos Bicanski/Afp/Getty Images)

Un po’ di vergogna? Macché. «Il nostro Paese è troppo spesso rassegnato – chiarisce orgoglioso Matteo Renzi – Sembra aver ridotto la propria ambizione». E allora pensiamo in grande, puntiamo al sogno olimpico… Certo, all’estero qualcuno potrebbe obiettare sulla nostra schizofrenia. Dopotutto il governo Monti aveva rinunciato alla candidatura ai Giochi 2020 per motivi economici solo tre anni fa. Studiato a fondo il rapporto tra costi e benefici, alla fine l’esecutivo aveva deciso di non offrire le garanzie richieste dal Comitato olimpico. La spiegazione era triste, ma chiara. Forse persino condivisibile: un paese sull’orlo del baratro non può permettersi il lusso di organizzare le Olimpiadi. Adesso, chissà perché, cambia tutto. Improvvisamente l’Italia è pronta per affrontare l’impegno. Resta il mistero su cosa sia accaduto negli ultimi tre anni per modificare così radicalmente la nostra situazione finanziaria. 

Non è il caso di tirare in ballo i soliti gufi. Gli uccellacci del malaugurio, così li chiama il presidente del Consiglio. Per aver qualche chiarimento sull’argomento basta chiedere ai greci. All’ombra del Partenone i rischi economici che comporta l’organizzazione dei Giochi li conoscono bene. Passino le decine di impianti sportivi costruiti in fretta e furia e lasciati vuoti, inutili e arrugginiti a pochi anni dall’atteso evento. Ad Atene le conseguenze del sogno olimpico hanno avuto ripercussioni ben più gravi. Anzi, a detta di diversi osservatori internazionali, sono state proprio quelle Olimpiadi a rappresentare l’inizio del default. Finite le gare, il sogno della ripresa economica ha lasciato presto il posto a un incolmabile buco di bilancio. E lo sperpero di denaro pubblico ha aperto le porte alla troika.  

L’Aquatic center di Atene, dieci anni dopo le Olimpiadi (Milos Bicanski/Afp/Getty Images)

Niente da fare, ormai il governo ha deciso. Eppure sarebbe il caso di pensarci un attimo, anche solo per una questione di eleganza. Le notizie girano. All’estero, quando si parla di gestione dei grandi eventi, non risultiamo più troppo affidabili. Di porte in faccia ne abbiamo già prese parecchie. Quando qualche anno fa Atene conquistò l’assegnazione delle Olimpiadi, lo fece proprio a scapito di Roma. Per non parlare dello schiaffo ricevuto dall’Uefa nel 2007. Per organizzare gli Europei di calcio, ai nostri stadi furono preferiti gli impianti di Ucraina e Polonia. Uno smacco non indifferente. Certo, stavolta la candidatura italiana è accompagnata dal contagioso ottimismo di Matteo Renzi. «Da gennaio il comitato promotore partirà sotto la guida di Giovanni Malagò – brucia le tappe il premier  – E non lo faremo con lo spirito di De Coubertin, per partecipare. Lo faremo per vincere, statene certi».

La mente torna inevitabilmente ai grandi eventi sportivi che nel recente passato siamo effettivamente riusciti a portare in Italia. Come dimenticare i mondiali di nuoto del 2009? A Roma chi abita vicino Tor Vergata non può fare meno di ripensarci tutti i giorni. Merito dell’enorme vela del villaggio dello sport disegnato da Calatrava. Imponente e maestosa, la struttura si staglia ancora all’orizzonte. Peccato che nonostante gli anni trascorsi e il denaro investito – pubblico, ça va sans dire – i lavori non siano ancora ultimati. E poi ci sono i Mondiali di calcio, quelli di Italia ’90. Un vero e proprio record: a distanza di trent’anni non sono ancora finite le polemiche. Di quelle notti magiche – così cantava Gianna Nannini – restano i budget sforati e le opere di dubbia utilità. Stadi costruiti come cattedrali nel deserto (l’avveniristico San Nicola di Bari). Vere e proprie perle nello sperpero di denaro pubblico. Una delle più curiose è ancora ben visibile a Roma Nord. È la stazione ferroviaria di Vigna Clara, costruita appositamente per i Mondiali di calcio, entrata in funzione in occasione di alcune partite e chiusa nel giro di una settimana (ormai sono scomparsi persino i binari). Ironia della sorte, la sfortunata struttura sorge a un centinaio di metri di distanza dalla stazione di servizio Eni di Corso Francia. L’abituale punto di ritrovo dell’organizzazione criminale scoperta in questi giorni dai magistrati. Per carità, le vicende non hanno alcuna relazione diretta. Ma se due indizi non fanno una prova, forse meritano almeno uno spunto di riflessione.

La piscina olimpica di Atene, a dieci anni dai Giochi (Milos Bicanski/Afp/Getty Images)

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