TaccolaI quattro miti del commercio via smartphone

I quattro miti del commercio via smartphone

Le credenze non verificate possono fare molti danni, soprattutto se siete un’azienda che sta investendo moltissimi soldi su un fenomeno ancora in piena evoluzione e da scoprire. Come l’m-commerce, ossia il commercio elettronico tramite smartphone. Le ragioni per investire nel campo ci sono tutte, perché l’adozione degli smartphone ha ancora tassi di crescita notevoli. Nel Regno Unito due adulti su tre hanno uno smartphone e lo controllano a una media di più di 150 volte al giorno. Per due terzi di loro, ha da poco rilevato uno studio della società di consulenza McKinsey, il mobile ha cambiato in maniera significativa il modo in cui fanno acquisti, con più di un terzo di loro che ha già ridotto la frequenza delle visite ai negozi tradizionali “brick and mortar”. 

I retailer (soprattutto le catene di negozi) che si stanno precipitando a investire nelle app e in altri strumenti sofisticati dovrebbero però fermarsi a pensare a quello che i clienti vogliono davvero. Perché è molto meglio concentrarsi sulle basi: fornire un’esperienza di acquisto veloce, semplice e godibile. I “frizzi e lazzi” come video, opinioni degli esperti, articoli da magazine? Potrebbero essere tempo e soldi buttati. Molto meglio investire su siti puliti, ottimizzati per il mobile, con pagine semplici da leggere che si caricano velocemente, carrelli facili da usare e procedure di pagamento che filino il più liscio possibile.  

La stessa McKinsey, dopo aver sentito una sfilza di opinioni nei consigli di amministrazione delle aziende che segue, ha deciso di elencare quattro miti da sfatare. Come dire: noi ve l’avevamo detto che se non ci ascoltavate finivate fuori strada. 

Mito 1: l’app è la risposta

Molti retailer credono che un’applicazione per smartphone o tablet li aiuterà ad attrarre nuovi clienti e stare al centro delle loro attenzioni. Ma la ricerca di McKinsey dice che il doppio dei consumatori usa i siti mobile piuttosto che le app, con solo l’11 per cento che nota una qualche considerevole differenza tra le due piattaforme. Le app sembrano funzionare meglio per coinvolgere i clienti più fedeli piuttosto che attrarne di nuovi. Inoltre, dato che le app per fare shopping proliferano, rischiano di essere ignorate o dimenticate. Meno del 30% dei “mobile shopper” ha più di due app per gli acquisti e solo il 7% ne ha più di cinque. E metà di quelli che hanno installato un’app ha smesso di usarla completamente, sia per ottenere contenuto sia per sfogliare i prodotti o cercare offerte, se non facevano acquisti regolari.  

Quindi: per i venditori che cercano una crescita di traffico e vendite, la prima priorità è quella di creare un sito responsive semplice da usare. Dopodiché, un’app può avere senso se aggiunge comparazioni di prezzi non contestabili, un carrello facilmente accessibile, con una lista della spesa base salvabile e la traccia delle spedizioni. Anche per queste caratteristiche le app vanno particolarmente bene per le insegne di supermercati. 

Mito 2: la differenza tra un buon sito e uno ottimo sono le caratteristiche cool

Per la maggior parte delle persone sentite nella ricerca, la funzionalità base è più importante dell’originalità o dei lustrini. La velocità di caricamento, per esempio è più importante di circa il 60% rispetto alla presenza di video. Le tre caratteristiche indicate come prioritarie sono un checkout senza traumi (smooth), la maneggevolezza nell’aggiungere e togliere oggetti dal carrello e una buona navigazione sul sito, che è il grande cruccio di chi va usa internet mobile. Un sito scomdo ha invece tutte le carte in regola per far scappare i clienti prima che finalizzino l’acquisto e per non farli ritornare.

Mito 3: la paura dello “showrooming”

Per la rubrica “un neologismo al giorno”, ecco a voi lo “showrooming”. In altre parole è il fenomeno con cui gli acquirenti visitano i negozi, vedono i prodotti e poi attraverso uno smartphone li comprano online o cercano un posto dove costano meno. Le insegne di negozi hanno sviluppato una paura dello showrooming che, tuttavia, sembra eccessiva. Anche se il 56% di chi fa un acquisto (sia online che in un negozio fisico) nel Regno Unito ormai fa in precedenza una ricerca online, la quota di chi è influenzato dal mobile è molto superiore a chi acquista online. La stragrande maggioranza dei clienti acquista insomma nel primo negozio in cui ha cercato, almeno per acquisti non troppo costosi. Altrimenti, vale la pena sprecare tempo e benzina per risparmiare pochi euro? 

Mito 4: il principale valore della digitalizzazioni è che spinge ad acquisti self-service

In generale è vero, così come è vero che le insegne avranno meno bisogno di personale in alcune aree, come le casse. Però la ricerca di McKinsey dice anche che i consumatori danno moltissima importanza alla presenza di altro personale che, con strumenti digitali, li assista a trovare prodotti, spiegarne le caratteristiche e a ordinare quelli che non sono in negozio. Quindi c’è spazio e necessità di personale. Purché, ovviamente, sia motivato, formato e ben equipaggiato. 

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