Il giorno in cui cominciarono gli Anni di Piombo

Il giorno in cui cominciarono gli Anni di Piombo

Davanti all’Odeon Theatre di Kensington, a Londra, c’è tanta gente che aspetta infreddolita. Sono le 8 di sera e in programma c’è la première del film The Magic Christian, con Peter Sellers e Ringo Starr. I due sono già arrivati, entrando dalla porta principale insieme a George Harrison e alla moglie Pattie. Anche la principessa Margaret, sorella minore della regina, è stata puntuale ed è già nella hall. La gente che aspetta fuori però è ancora fremente, stanno aspettando qualcuno.

Nello stesso momento a Milano sono le 9 di sera. Un uomo di 41 anni finisce di mangiare, si veste e fa per uscire dalla porta. Prima di uscire si ferma, salute le due figlie piccole, di 8 e 9 anni, e dà un bacio alla moglie. Poi scende ed esce di casa, dal portone del numero 2 di via Preneste, in zona San Siro. Prima di accendere il motorino e dirigersi verso porta Garibaldi, dove lavora come frenatore allo scalo delle ferrovie, l’uomo si calca il cappello di lana in testa. Fa molto freddo e comincia anche a piovere. Lui si chiama Giuseppe Pinelli, ma tutti lo chiamano Pino.

Passano pochi minuti e a Londra la folla si scalda. Due sagome nere si avvicinano alla porta del cinema, hanno un mantello con un cappuccio che copre loro il capo. In mano hanno dei cartelli con una scritta: «Hanratty Is Innocent». La scritta si riferisce a James Hanratty, un ragazzo di 25 anni che sette anni prima, il 4 aprile del 1962, era stato impiccato nella prigione di Bedford. Quei due vestiti di nero, invece, sono quelli che tutti stavano aspettando: John Lennon e Yoko Ono.

Mentre Pinelli percorre in motorino la strada che lo porta da San Siro a Garibaldi, nella hall dell’Oxford Theater di Londra c’è un giovane di nome David Stark, che da grande farà il critico musicale. È riuscito a entrare sfruttando la distrazione degli uomini all’ingresso e ora trova il coraggio di fermare John Lennon e di porgegli il flyer della première del film di Ringo Starr. John lo guarda accigliato, poi gli sorride, prende una penna e apre il flyer a caso, scarabocchiando qualcosa. C’è anche Yoko Ono, e i tre parlano per qualche minuto, David è emozionato e, dopo aver salutato il suo mito e avergli stretto la mano, apre il flyer per vedere cosa ha scritto John come dedica. Non ha scritto niente: sotto la foto di una sorridente principessa Margaret, c’è la firma di John Lennon, un tratto unico dalla J all’ultima N, da cui parte una freccia diretta verso il mezzo sorriso della principessa.

Passano un paio d’ore. A Londra Ringo è contento di avere attorno gli amici per quella première: alla fine c’è George, c’è Pattie, c’è John e Yoko, c’è Peter Sellers e pure la principessa. Manca solo Paul, ma Ringo lo sapeva che non sarebbe venuto. Dall’altra parte dell’Atlantico, intanto, al numero 53 di Berkeley Street, a Boston, in Massachusetts, nei locali del Boston Tea Party, una ragazza di 26 anni sta per iniziare un breve concerto. Si schiarisce la voce, saluta il pubblico e attacca con la prima canzone. Il pezzo si chiama Raise Your Hand, lei, invece, Janis Joplin e non ha ancora compiuto 27 anni.

In Italia è notte fonda e dormono tutti, o quasi. Dorme il commissario Luigi Calabresi, dorme il ballerino anarchico Pietro Valpreda, dorme il questore Marcello Guida, già direttore del confino di Ventotene durante il ventennio fascista. Nelle loro case, sparse tra Milano, Lodi, Cremona e Vercelli, dormono Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni, Vittorio Mocchi, Gerolamo Papetti, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silvia e Attilio Valè, quattordici di loro per l’ultima volta. Dorme anche Fortunato Zinni, impiegato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. L’indomani c’è il mercato degli agricoltori ed è il penultimo venerdì prima di Natale, sarà una giornata lunga.

«Take it! Take it! Take another little piece of my heart now, baby». A Boston intanto Janis Joplin sta cantando la sua ultima canzone della serata, una cover di Erma Franklin.
«Oh, oh, break it! Break another little bit of my heart, now darling, yeah, yeah, yeah, yeah,
Oh, oh, have a… Have another little piece of my heart now, baby, hey
You know you got it, child, if it makes you feel good…»

Quando Janis Joplin finisce la canzone e si prende gli applausi del Boston Tea Party, nella casa di via Preneste, Silvia, Claudia e Licia dormono. L’unico che non dorme, nello scalo ferroviario di Porta Garibaldi, è Giuseppe Pinelli.

Quando il sole sorge, a Milano sono le 7 e 52. Pinelli ha finito di lavorare da un’oretta abbondante, è arrivato a casa e si è messo a letto. Ora che sono tutti svegli, l’unico che dorme è lui. È l’ultima volta che dormirà nel suo letto.

Quella mattina su Milano piove e fa molto freddo. Le trasmissioni del primo canale della RAI cominciano alle 9.30 del mattino con i programmi scolastici e proseguono per tutta la mattinata con dei documentari. A L’Aquila si sta svolgendo il processo per la catastrofe del Vajont. Parla la parte civile, in rappresentanza del comune di Longarone, che afferma la responsabilità di chi ha presieduto alla costruzione del bacino idroelettrico del Vajont, crollato il 9 ottobre di sei anni prima. Sono giorni di influenza, che quell’anno hanno chiamato “spaziale”, circa il 40 per cento della popolazione italiana è stata colpita e il traffico nelle città, anche a Milano, è quasi dimezzato.

Alle 11 di mattina, in effetti, il traffico a Milano è quasi inesistente. Tra le macchine che circolano c’è un taxi giallo, alla guida c’è Cornelio Rolandi. Nel frattempo, più o meno alla stessa ora, in via Preneste 2 arriva un uomo che suona alla porta dei Pinelli. Si chiama Antonio Sottosanti, ma tutti lo conoscono come “Nino il fascista”. Da qualche mese bazzica i gruppi anarchici di Milano, che si è fatto amico scagionando uno di loro, Tito Pulsinelli, dall’accusa di aver piazzato una bomba il 25 aprile di quell’anno.

È mezzogiorno passato e Pinelli si sta svegliando. Sottosanti aspetta un po’ in compagnia di Licia, che gli offre un caffè. Pinelli arriva poco dopo, proprio quando Licia esce per andare a prendere Silvia e Claudia a scuola.

«Vado a fare la spesa Pino, per che ora preparo la cena stasera?», chiede Licia.

«Non so, domani notte non lavoro, sarò a casa per le otto, credo», risponde lui.

Poi lei fa per uscire, si veste e gli dà un bacio. È l’ultima volta che lo vede, da vivo.

È mezzogiorno. Seduti al tavolo della casa di via Preneste 2 ci sono un anarchico e un fascista. Mangiano e chissà di cosa parlano. Poi, intorno alle 2 e mezza, poco prima di uscire per prendere un caffé in un bar di via Morgantini, Pinelli dà a Sottosanti una busta con 15mila lire. Servono per coprire i costi dei suoi spostamenti, dei viaggi che ha fatto per deporre in difesa di Pulsinelli. Poi, dopo il caffé, i due si salutano. Pinelli resta al bar, e pensa forse a quanto Nino il fascista assomigli a Pietro Valpreda. Poi Sottosanti prende il tram: sono le tre del pomeriggio.

Circa un’ora dopo, nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana c’è molta gente. È giorno di mercato, e gli agricoltori vengono a depositare i soldi delle compravendite. A poca distanza dall’ingresso principale si ferma il taxi guidato da Cornelio Rolandi. Scende un uomo con una borsa nera molto elegante, marca Mosbach & Gruber. Dentro la borsa c’è una scatola di metallo Iuwell, con dentro 7 chili di gelignite, un esplosivo molto instabile e ad altissimo potenziale. L’uomo si dirige camminando veloce verso la banca, dove sta solo pochi minuti. Poi esce. Senza la valigetta. Qualche ora dopo, durante la sua deposizione, Rolandi riconoscerà in quell’uomo Pietro Valpreda da una foto segnaletica, o qualcuno che gli assomiglia.

A New York sono le 10 del mattino e un uomo sta facendo colazione nel suo attico nell’Upper East Side. Ha gli occhi azzurri e lo sguardo un po’ assonnato. È il suo compleanno, ma per lui non è un gran periodo. È Frank Sinatra, compie 54 anni e comincia a sentirsi vecchio. Il rock e la Beat Generation stanno spopolando, ci sono hippie dovunque e lui si sente fuori dai giochi, superato dalla storia, tanto che sta pensando di ritirarsi. Ma Sinatra non è l’unico che si è svegliato male, anche John Lennon, che è dall’altra parte dell’oceano, a Londra, non sta alla grande. Dopo la serata con Ringo Starr e George Harrison, sta pensando che i vecchi tempi sono finiti. Quel giorno escono contemporaneamente due cose: il singolo Across the Universe, registrato con Ringo, George e Paul, ma esce anche Live Peace in Toronto 1969, della Plastic Ono Band, che ha registrato il 13 settembre insieme a Yoko e a Eric Clapton.

Nello stesso momento, a poca distanza, nei locali della Banca Commerciale Italiana, in piazza Scala, un funzionario trova una valigetta abbandonata. È molto elegante, è anche quella una Mosbach & Gruber. Il primo pensiero è che l’abbia dimenticata qualcuno.

A Milano sono passate da poco le quattro e mezza, il sole sta tramontando e le vie si riempiono di gente, che ha finito di lavorare e va a fare compere per Natale. In piazza Fontana, nei locali della Banca Nazionale dell’Agricoltura, ci sono circa un centinaio di persone. L’orario quel venerdì è prolungato, si avvicina Natale e c’è il mercato. Nella sala centrale della banca, più o meno quando le lancette dell’orologio si spostano sulle 16.37, un boato e una fiammata di parecchi metri spazzano la sala scagliando schegge di vetro e cemento dovunque. Restano per terra decine di persone, dodici sono già morte. Tra loro c’è anche Pietro Dendena, un commerciante di Lodi di 55 anni. Quando la bomba esplode è appoggiato al tavolo ottagonale sotto cui è rimasta la valigetta nera molto elegante. L’esplosione è talmente potente che del signor Dendena non vengono nemmeno ritrovati resti.

All’inizio si pensa a una fuga di gas o a un incidente, ma dura poco. Il caso viene affidato al commissario Luigi Calabresi, 32 anni appena compiuti, che, intervistato dal giornalista della Stampa Remo Lugli dice: «Certo è in questo settore che dobbiamo puntare: estremismo, ma estremismo di sinistra. A Roma hanno fatto esplodere una bomba al Monumento del Milite Ignoto. Non sono certo quelli di destra che fanno queste azioni. Sono i dissidenti di sinistra: anarchici, cinesi, operaisti».

Mentre a Milano la gente è sotto choc, molti negozi chiudono i battenti, si annullano gli spettacoli teatrali e le proiezioni cinematografiche (in cartello c’era Mistero buffo di Dario Fo, Easy Rider e il grande successo della stagione, Butch Cassidy & Sundance Kid, con Paul Newman e Robert Redford. La città è bloccata, decine di agenti della polizia setacciano la città e fermano circa 200 persone nelle prime ore dopo la strage.

A Roma sono le 16.55. In via Veneto, nella sede della Banca Nazionale del Lavoro, esplode una bomba che provoca quattordici i feriti e danni molto gravi alla banca. Passano pochi minuti e ne esplode un’altra. Sono le 17.16 e questa volta la bomba è sotto il pennone della bandiera italiana che sventola all’Altare della Patria, dal lato che si affaccia sui Fori, a poca distanza dal museo storico della Marina. Non ci sono feriti. Non è ancora finita però, perché passano altri minuti e, alle 17.24, un’altra bomba esplode a pochi metri dalla seconda, sempre accanto all’Altare della Patria. Questa volta vicino al museo del Risorgimento, non lontano dall’Ara Coeli, che viene danneggiata. Si contano tre feriti, due sono carabinieri, uno un passante.

In quel momento Pinelli non sa ancora nulla dell’esplosione, è al Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa e sta scrivendo una lettera a un compagno:

Caro Paolo,

rispondo con ritardo alla tua, purtroppo tempo a disposizione per scrivere come vorrei ne ho poco: ma da come ti avrà spiegato tua madre ci vediamo molto spesso e ci teniamo al corrente di tutto. Spero che ora la situazione degli avvocati si sia chiarita.

Vorrei che tu continuassi a lavorare, non per il privilegio che si ottiene, ma per occupare la mente nelle interminabili ore; le ore di studio non ti sono certamente sufficienti per riempire la giornata.

Ho invitato i compagni di Trento a tenersi in contatto con quelli di Bolzano per evitare eventuali ripetizioni dei fatti. L’anarchismo non è violenza, la rigettiamo, ma non vogliamo nemmeno subirla: essa è ragionamento e responsabilità e questo lo ammette anche la stampa borghese, ora speriamo che lo comprenda anche la magistratura. Nessuno riesce a comprendere il comportamento dei magistrati nei vostri confronti.

Siccome tua madre non vuole che ti invii soldi, vorrei inviarti libri, libri non politici (che me li renderebbero) così sono a chiederti se hai letto Spoon River, è uno dei classici della poesia americana, per altri libri dovresti dirmi tu i titoli.

Qua fuori cerchiamo di fare del nostro meglio, tutti ti salutano e ti abbracciano, un abbraccio in particolare da me ed un presto vederci

tuo Pino.

Quando finisce sale in motorino e si dirige verso il circolo anarchico Scaldasole, dove deve vedere il suo amico Sergio Ardau. Nel frattempo, tra gli agenti in giro per perquisizioni e fermi, c’è anche Luigi Calabresi con la sua squadra, che più tardi arriva in via Scaldasole e ferma Ardau e Pinelli. Calabresi e Pinelli si conoscono, il nome dell’anarchico è sempre uno dei primi ad essere tirato fuori quando succede qualcosa, e Calabresi lo tranquillizza: «Vieni in questura, è solo una formalità». Calabresi si fida di Pinelli e, visto che nella volante non ci sta e ha il motorino, lo invita a seguirli. «Ci vediamo lì».

Nella sua casa in Austria, Gian Giacomo Feltrinelli viene a sapere dalla radio dell’attentato e decide di tornare a Milano, in casa editrice. Quando arriva in città, però, cambia idea. Gli hanno detto che è pieno di polizia e ha paura che vogliano metterlo in mezzo. È uno dei pochi che già da subito non è d’accordo con Calabresi. Per lui quella bomba non viene da sinistra, ma da destra, o peggio, dallo Stato che starebbe mettendo in pratica una vera e propria «strategia della tensione». Dice proprio così, “strategia della tensione”, un’espressione che negli anni successivi diventerà molto celebre.

Intanto, alle 20.30, il telegiornale di Stato dà la notizia. Ora lo sa tutta Italia che in Piazza Fontana c’è stato un massacro. Sono iniziati gli anni di piombo.

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