Poco meno di 130 milioni di euro appartenenti allo Ior, l’istituto finanziario del Vaticano, sono bloccati da alcuni anni in varie banche italiane. Qualche settimana fa, però, è accaduto qualcosa che ha dato il segno di un cambiamento di clima nei rapporti fra Italia e Santa Sede sul fronte finanziario. Il Credito valtellinese ha infatti restituito al Vaticano i famosi 23 milioni dello Ior fermi dal 2010 nelle proprie casse. In tutto, dunque, la somma complessiva proveniente dal Vaticano e rimasta ‘incastrata’ in diversi istituti di credito del nostro Paese, toccava la cifra di circa 150 milioni di euro. Il motivo di questa impasse è legato alla mancata applicazione delle norme antiriciclaggio internazionali da parte dello Ior e più in generale dal Vaticano, un ritardo che ora è stato colmato ma che nel 2010 produsse un intervento senza precedenti della Banca d’Italia.
Via Nazionale infatti chiese a tutti gli istituti di credito italiani di trattare lo Ior come una banca di un Paese a regime antiriciclaggio non equivalente, vale a dire non in linea con gli standard sulla trasparenza finanziaria stabiliti dall’Europa e dal Gafi (Gruppo di azione finanziaria internazionale) attraverso i rispettivi organismi specializzati che si occupano della materia. Fu appunto in quell’occasione – nel settembre del 2010 – che i 23 milioni partiti dallo Ior e in transito sul Credito Valtellinese (destinati poi a raggiungere altri istituti) vennero bloccati. Il problema era la mancanza di informazioni circa la provenienza del denaro. In una prassi tutta italiana, infatti, lo Ior operava su banche del nostro Paese aprendo conti aziendali che di fatto potevano garantire una sorta di anonimato parziale o completo circa l’identità originaria dei clienti.
Per questo la Procura di Roma aprì un’indagine su segnalazione dell’Uif, cioè l’Unità d’informazione finanziaria della Banca d’Italia, e i vertici dello Ior finirono sotto inchiesta per violazione delle norme antiriciclaggio, successivamente l’ex presidente Ettore Gotti Tedeschi venne prosciolto dalle accuse. La magistratura, inoltre, nel 2011 dissequestrò il denaro, che però è rimasto fermo nell’istituto perché dal punto di vista delle normative di contrasto al traffico del denaro sporco, il Vaticano non si era ancora adeguato. Alla fine lo stesso Ior ha chiesto al Credito Valtellinese di chiudere il conto in questione perché non in linea con le nuove leggi vaticane sulla trasparenza, nel frattempo ha fornito anche informazioni sulla tracciabilità della somma – origine e destinazione – , elencando vari soggetti di carattere istituzionale all’interno di “operazioni di tesoreria”. Tutto bene allora? Non proprio. Intanto perché se il caso del Credito valtellinese era noto, assai meno conosciuta era la notizia che altri 130 milioni si trovavano più o meno nella stessa situazione. E ancora va ricordato – particolare non indifferente – che per l’Italia il Vaticano non è ancora considerato uno Stato a regime antiriciclaggio equivalente; insomma formalmente per il nostro Paese i sacri palazzi sono ancora sulla black list dei cattivi.
Certo si tratta di una situazione più formale che sostanziale, l’Aif – l’Autorità d’informazione finanziaria del Vaticano – e l’Uif della Banca d’Italia hanno infatti già firmato un importante accordo di collaborazione per lo scambio d’informazione su transazioni e clienti sospetti, movimenti di denari e via dicendo. Eppure l’atto politico che chiude questa vicenda non è ancora arrivato, d’altro a questo punto è necessario un passaggio istituzionale, ovvero il via libera Ministero dell’Economia. Tuttavia lo sblocco dei 23 milioni sembra inserirsi in un nuovo clima, più positivo, venutosi a creare fra le autorità finanziarie della Santa Sede e Banca d’Italia. Allo stesso tempo finché i contrasti non verranno appianati del tutto lo Ior non potrà operare attraverso le banche italiane, un disagio non di poco conto. Per ogni movimentazione di denaro diretta nel nostro Paese, infatti, lo Ior deve fare una triangolazione con una banca estera che ha rapporti regolari con l’Italia, da quell’istituto i soldi possono approdare a una filiale entro i confini del Belpaese.
In Vaticano intanto i nodi non sono del tutto sciolti. Fra l’altro pare che alcune segnalazioni circa irregolarità nella gestione dei conti, siano state fatte dallo Ior all’Aif e all’autorità giudiziaria vaticana, si tratterebbe di clienti che avrebbero distratto somme di un certo rilievo, vicende in cui il Vaticano si sente parte lesa. Poi c’è tutta la questione dell’assetto istituzionale delle finanze vaticane. Se una serie di riforme e di cambiamenti sono andati in porto, ora restano da definire le competenze dei vari organismi. La cosa certe è che lo Ior non verrà chiuso, l’Istituto continua ad esistere e dovrà servire principalmente una clientela religiosa legata ad opere e interventi promossi dalla Chiesa nel mondo oltre ai dipendenti del Vaticano e ai diplomatici accreditati Oltretevere.
L’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica, è diventata nel frattempo banca centrale, quindi istituzionalmente sarà quest’ultima a dialogare con le omologhe banche nazionali. E però i nuovi statuti dello Ior e dell’Apsa, ancora non sono pronti, e anzi intorno a questi documenti si sta svolgendo una discussione intensa Oltretevere. Lo scorso 18 novembre, per esempio, nel Torrione di Niccolò V, dove ha sede lo Ior, si sono riuniti in contemporanea sia il board laico dell’istituto composto da banchieri ed esperti di finanza guidati dal nuovo presidente dello Ior, il francese Jean Baptiste de Franssu, che la commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior, presieduta dal cardinale spagnolo Santos Abril y Castellò e di cui fa parte anche il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin. D’altro canto un obiettivo da realizzare, secondo il nuovo superministero economico del Vaticano (la Segreteria per l’Economia guidata dal cardinale australiano George Pell), è appunto quello di trovare le giuste forme per una collaborazione laico-ecclesiale all’interno dei vertici dello Ior.
Fra le questioni aperte cui dare una risposta c’è quella del cosiddetto Vam, ovvero un a struttura da creare ex novo, il ‘Vatican asset management’, sulla quale spostare “gradualmente la gestione del patrimonio al fine di superare la duplicazione degli sforzi in questo campo tra le istituzioni vaticane”. Già, e in effetti il problema è chi gestirà il Vam, la nuova cassaforte finanziaria della Santa Sede; sarà lo Ior – che ha già una struttura manageriale e cardinalizia rinnovata, oltre ad aver subìto un duro processo di revisione interna – o l’Apsa, affidata ancora formalmente al cardinale bertoniano Domenico Calcagno, e in realtà posta sotto la supervisione del consulente ad interim Franco Dalla Sega, esperto di finanza proveniente dalla Cattolica di Milano che ne sta progettando la riorganizzazione?. La partita è aperta anche in Vaticano, e naturalmente nelle mutate condizioni del pontificato di Francesco l’incastro di nuovi poteri e funzioni è oggetto di pressioni e ragionamenti differenti.