Ci sono tanti modi di spiegare perché a Jorge Luis Borges, uno dei più grandi scrittori del Novecento, non sia mai stato assegnato il Premio Nobel. Qualcuno imputa il fatto al suo essere fondamentalmente un conservatore, un uomo di destra — un anarchico, un conservatore anarchico, non un reazionario —; qualcun altro indica come causa il pranzo del 19 maggio 1976 con il generale Vidèla, insieme a Ernesto Sabato, al presidente della Società Argentina degli Scrittori Horacio Esteban Ratti e al sacerdote don Leonardo Castellani. I più informati obiettano: fu la carica progressista e tendente all’ideale del Premio Nobel a tagliare le gambe alla sua candidatura, come per tanti altri grandi esclusi, da sempre e per sempre, come Philip Roth, tanto per fare un esempio. C’è un’altra storia, però, che vale la pena di raccontare. È una storia che risale ai primi anni Ottanta, una storia col sapore agrodolce del complotto.
Partiamo dall’inizio. E quindi dal freddo inverno argentino del 1981. Siamo a Buenos Aires, ed è luglio. Tra pagina 11 e pagina 12 del numero di luglio della rivista Cabildo, una rivista di destra, xenofoba e antisemita di Buenos Aires, viene pubblicata una sedicente lettera di un lettore intitolata “Borges no existe”, ovvero “Borges non esiste”. La firma del lettore è Dan Yellow: una firma decisamente strana, ancor di più se pensiamo che dovrebbe essere quella di un argentino.
Passano pochi giorni. È il 7 agosto, e questa volta fa caldo. Siamo nel pieno dell’estate francese, a Parigi. È un venerdì, e Le Monde esce con il suo classico supplemento sui libri, “Le Monde des livres”, nelle cui pagine trova spazio un articolo non firmato intitolato «Borges-fiction» , che inizia così (il refuso nel nome di Borges è nell’originale):
Secondo la rivista argentina di destra “Cabildo”, José Luis Borges non esiste. Nel suo ultimo numero la rivista afferma che in realtà Borges è stato interamente creato da un gruppo di scrittori tra cui Leopoldo Marechal (morto), Adolfo Bioy Casares e Manuel Mujica Lainez…
Insomma: il più grande scrittore argentino del Novecento, probabilmente il più grande scrittore della postmodernità, non esiste. L’avrebbe inventato un gruppo di scrittori tra cui il suo migliore amico Adolfo Bioy Casares. E se vi chiedete, allora, chi diavolo sia quel cieco con lo sguardo perso al chilometro, quel tenero vecchietto che per camminare si appoggia a un bastone ricurvo, quello straordinario inventore di trame fantastiche, di bibliografie inventate e di citazioni apocrife che siamo stati abituati a chiamare Jorge Luis Borges, basta continuare a leggere il trafiletto de Le Monde. Curiosamente la spiegazione ha la stessa bellezza e lo stesso fascino delle storie di Borges.
Così continua Le Monde:
…[gli scrittori prima citati, ndr], per dar vita al loro personaggio, hanno assunto un attore di secondo piano, Aquiles Scatamacchia. Ed è questo attore, afferma il redattore della rivista, che incarna l’inesistente Borges per i mass media. L’impostura, che sarebbe stata scoperta dall’Accademia reale di Svezia incaricata dell’assegnazione del Nobel, ha impedito che il falso Borges venisse premiato, precisa la rivista argentina che fa dell’Ajar senza saperlo. Ma a qual fine?
Così come spiegata dall’anonimo redattore che scrisse questo trafiletto sul venerdì dei libri di Le Monde, la storia perde un po’ della sua spettacolarità e della sua carica rocambolesca. La lettera del sedicente Dan Yellow è più dettagliata, almeno a giudicare da altre tracce che quell’articolo — irreperibile nella sua versione integrale — ha lasciato in altri articoli, su altri giornali. In questo caso si tratta dell’argentino pagina12. Secondo quanto riporta il giornalista Juan Forn, infatti, il fantomatico Dan Yellow fa risalire l’invenzione di Borges alla metà degli anni Trenta, quando lo scrittore Leopoldo Marechal inventò «un cacofonico pseudonimo — Jorge Luis Borges — da usare per gli articoli che voleva pubblicare senza firma».
La storia è bellissima: racconta Yellow che, dopo l’invenzione di Marechal, si aggiunsero anche Mujica Lainez e Bioy Casares al gioco. I due in particolare lavorarono all’invenzione di un intero passato e diedero una personalità a quel nome: Jorge Luis Borges.
A quel punto, scrive Yellow, «successe la stessa cosa che successe con Frankenstein: il mostro prese vita e superò i suoi creatori». La creatura, come nel racconto di Mary Shelley, gli era sfuggita di mano, aveva preso vita e un nome non poteva più bastare a nascondere i tre. Fu per quello, quindi, che il gruppo dovette pensare a una soluzione, trovando la più naturale e semplice del mondo. Alla loro creatura mancava un volto, un corpo, uno sguardo: avevano bisogno di un attore.
Personalmente mi diverte molto pensare quel fantomatico e assurdo provino. Riesco a vedere limpidamente un palazzo di Buenos Aires, in un giorno di inverno degli anni Quaranta. Nel lungo corridoio oscuro che porta alla stanza delle audizioni ci sono una decina di arzilli vecchietti, tutti con il bastone ricurvo, come richiesto per l’audizione da chi li ha convocati.
Tanti simil-Borges: un Borges alto e ricurvo, uno basso e tarchiato, uno con gli occhi azzurri sprezzanti, uno con lo sguardo annoiato dalla vecchiaia. Poi uno con gli occhiali spessi come fondi di bottiglia, uno che fuma una sigaretta dopo l’altra e poi, infine, uno stanco, appoggiato al bastone, che guarda, sognante e forse un po’ annoiato un punto lontano, con un filo di strabismo. È stanco, è venuto dall’Uruguay perché non lavora da anni. È un attore di serie b, si chiama Aquiles Scatamacchia.
«Trovarono il candidato ideale», scrive Yellow (almeno così riporta Forn), «un tale Aquiles Scatamacchia. Lo vestirono adeguatamente, gli diedero due o tre lezioni di urbanità elementare e lo lanciarono nella vita pubblica».
Geniale: un attore di secondo piano il cui nome potrebbe stare tranquillamente in uno dei racconti fantastici di Borges, un nome da bar malfamato, da coltello che guizza nella notte, da perdente: Aquiles Rosendo Scatamacchia, uruguaiano, di origine italiana. Sarebbe lui, per il Cabildo, ripreso da Le Monde, il vecchietto che altri chiamano Jorge Luis Borges.
Sarebbe questa la storia che, una volta arrivata alle orecchie degli accademici di Svezia, avrebbe impedito a Jorge Luis Borges di vincere il premio Nobel.
Una gran bella teoria, non c’è che dire. Una teoria totalmente, definitivamente e paradossalmente super borgesiana. E difatti il particolare gioco di specchi che si riflettono su e dal personaggio di Borges non sfuggì a Leonardo Sciascia, che la riprende in un brano pubblicato nel suo Cronachette (Adelphi, 1998), attaccando il suo articolo, intitolato L’inesistenza di Borges, così:
In un certo senso — in un senso propriamente borgesiano — Borges se l’è voluta. Le sue istanze all’oblio, all’inesistenza, al voler essere dimenticato, al non voler essere più Borges, non potevano, ad un certo punto, con l’aria che tira nel giornalismo, che generare la notizia che Borges non esiste.
Sciascia, con evidente ironia verso quella strampalata teoria, nonché verso il declino del giornalismo contemporaneo (le notizie che non lo erano esistevano evidentemente anche allora), continua poi alla grande:
[…]la notizia dell’inesistenza di Borges è una invenzione che sta nell’ordine delle invenzioni di Borges, un portato e un complemento dell’universo borgesiano, il punto e la saldatura della circolarità borgesiana, del sistema. E a qualcuno potrebbe anche venire il sospetto che l’invenzione dell’inesistenza di Borges possa avere avuto come autore lo stesso Borges: una specie di scorciatoia da lui escogitata per raggiungere in anticipo l’inesistenza.
Borges che inventa la notizia che Borges non esiste. Ovvero Borges elevato alla Borges. Una cosa pazzesca. Una teoria che relega quella sfoggiata dalla corrispondente di Le Monde Alicia Dujovne Ortiz, che ne scrisse sul quotidiano francese il 14 agosto 1981 , alla insipida mediocrità:
Possiamo ipotizzare una seconda versione della storia: Borges è sospettato di volersi far passare per scrittore di sinistra per riuscire a ottenere il Nobel, e la risposta della destra non si è fatta attendere.
Mentre Alicia Dujovne Ortiz scrive il suo articolo, il responsabile della pagina culturale del Cabildo, scrive una nota che apparirà sul numero seguente della sua rivista. Lui è Aníbal D’Angelo Rodríguez e, confessando ai propri lettori che l’intera storia, compreso Aquiles Scatamacchia, era frutto di una sua invenzione, attacca la Francia: «Se io affermassi che la Francia non esiste e qualcuno prendesse questa affermazione sul serio come quella di Borges, potrebbe scatenarsi il panico». E poi continua, andando a segno con elegante ironia: «La Francia che ho conosciuto e che ho amato sembra essere stata sostituita da una brutta commedia, rappresentata da attori di secondo piano, come Aquiles Scatamacchia».
La conclusione di questa storia, ovviamente, è ancor più borgesiana e ci riporta in Argentina, nel settembre del 1981, quando l’inviato del quotidiano spagnolo El Pais José Luis Fermosel andò a trovare Jorge Luis Borges — o l’attore urugaiano Aquiles Scatamacchia che continuava a interpretare Jorge Luis Borges, quien sabes? — nella sua casa di calle Maipù, di fronte alla splendida piazza san Martin.
Possiamo immaginarci quel giorno, quella piazza, quella casa e quella domanda: «Che cosa ne pensa Jorge Luis Borges? Lei esiste?» Possiamo immaginarci il piacere di Borges nell’ascoltare quella domanda, che probabilmente soltanto nei sui sogni poteva aver immaginato. In qualsiasi modo sia andata, la riposta di Borges la sappiamo, la scrive Fermosel nel suo articolo su El Pais, pubblicato il 26 settembre 1981:
Non sono così sicuro di esistere, in realtà. Sono tutti gli autori che ho letto, tutta la gente che ho conosciuto, tutte le donne che ho amato. Tutta le città che ho visitato, tutti i miei antenati…
Borges che ammette la propria inesistenza dopo essere stato smascherato. È tutto vero. E ora, immaginatevi una storia più borgesiana di questa, se ci riuscite.