In questo blog si discute, purtroppo tanto, di imprese in crisi. Poco delle grandi imprese che fanno i titoli sui giornali, molto delle Pmi che si dibattono nella stessa melma ma con mezzi del tutto inadeguati, che troppo spesso finiscono in tentativi maldestri di ristrutturazione del debito, coronati da un alto numero di insuccessi (lo dice la statistica). In più di un post mi sono addentrato nella ricerca di possibili soluzioni coinvolgendo in diretta le banche, perché le banche sono state devastate in questi anni dalle sofferenze, molte delle quali scaturite da crisi non viste dalle Pmi per tempo, non affrontate con i giusti metodi e con le persone adeguatamente preparate. La realtà a mio modesto avviso è questa:
1) le Pmi in crisi o in pre-crisi sono moltissime, troppe (basta vedere il livello degli incagli e raddoppiarlo per tener conto degli incagli in formazione)
2) le Pmi sono quasi sempre in crisi a causa di errori commessi da una proprietà che gestisce l’azienda senza la dovuta sensibilità, o velocità o preparazione per gestire la ripartenza;
3) la maggior parte delle Pmi in crisi presentano al sistema bancario piani di ristrutturazione ottimistici (per non dire fantasiosi), senza avere reale capacità interna di eseguirli;
4) la gran parte delle crisi gestite con strumenti messi a disposizione dalla legge fallimentare e la partecipazione (obbligata) delle banche non hanno avuto successo per la cattiva esecuzione dei piani industriali, lasciando ampie zone di perplessità nel sistema bancario sulla loro efficacia e qualche prima condanna di chi ha attestato la veridicità di piani sgangherati.
Con questi quattro punti in testa potete leggere questa proposta-intervento apparsa sul sito di Aidp (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) a firma di Andrea Pietrini e Maurizio Quarta, professionisti del Temporary Management. Io la trovo interessante e abbastanza innovativa perché chiede alle banche di finanziare i manager necessari a raddrizzare le barche, non limitandosi a rifinanziare e ristrutturare il debito, perché il secondo ingrediente non serve senza il primo.
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Condivido tutte le premesse della proposta Pietrini-Quarta, condivido assolutamente la necessità di fare qualche ritocco alla legge fallimentare per evitare che la banca abbia rischi del tutto sproporzionati rispetto alle (buone) finalità, condivido che progetti, business plan concreti e dettagliati debbano essere la regola della ristrutturazione – che invece ha tollerato troppo a lungo il dilettantismo insito in molti piani sottoposti al giudizio delle banche.
Non condivido solo un punto, cioè che “le banche sono generalmente le prime ad identificare e intercettare lo stato di difficoltà di un’azienda”. Dovrebbe essere così, potrebbe essere così ma nella realtà quotidiana, soprattutto delle piccole imprese, le banche scoprono la crisi solo quando gli viene servita su un tavolo dai professionisti che seguono bene o male l’azienda. E perciò intervengono quando la crisi è così avanzata, è così prossima alla procedura concorsuale che neppure un Temporary Manager potrebbe fare miracoli. Ma questo è un altro problema.