“È tempo di cominciare a prestare nuovamente attenzione alla Grecia”. Il titolo dell’editoriale di Bloomberg della mattina di martedì 9 dicembre non poteva essere più profetico. Poche ore dopo e la Borsa di Atene segnava -10% e l’attenzione era stata decisamente destata. Anche in molti uffici in cui le vicissitudini del governo di Antonis Samaras erano state derubricate a fatto locale. «Ovviamente tutti abbiamo colpa di aver trascurato la situazione in Grecia – è il commento a Linkiesta di un osservatore attento come Riccardo Barbieri, chief economist presso la banca d’affari Mizuho International, a Londra -. C’erano segnali chiari: i conti del bilancio 2015 su cui non c’era accordo, il mancato buon esito dei colloqui tra il governo greco e la Troika e le nuove resistenze della Grecia. Se i mercati non se ne preoccupano, si pensa che non ci siano problemi, sopravvalutando il livello di informazione degli investitori».
Il detonatore
Il premier Samaras ha bisogno di convincere 25 deputati a sostenere un candidato a presidente della Repubblica
Il detonatore della nuova instabilità è la decisione del primo ministro greco di anticipare di due mesi l’elezione del presidente della Repubblica da parte del Parlamento, con il primo voto che si terrà il 17 dicembre invece che a febbraio. A premerlo e a far scattare l’ondata di vendite ad Atene è stato il primo rifiuto di un piccolo gruppo parlamentare, Sinistra Democratica, a sostenere come nuovo presidente della Repubblica Stavros Dimas, ex commissario Ue. La cosa complica la scommessa di Samaras. La sua coalizione di governo può contare su 155 parlamentari su 300. Per l’elezione del presidente della Repubblica servono 200 voti alla prima votazione, che alla terza si abbassano a 180. Il premier ha quindi bisogno di convincere 25 deputati a sostenere un candidato comune. In Parlamento ci sono due dozzine di parlamentari indipendenti che saranno determinanti.
I sondaggi danno in testa di almeno tre punti percentuali il partito di sinistra Syriza, guidato da Alexis Tsipras
Se passa la scommessa di Samaras, l’esecutivo potrà arrivare a febbraio a gestire la fine del bailout (il programma di aiuti) europeo. Se dovesse fallire, si aprono le porte alle elezioni anticipate. Con i sondaggi che danno in testa per almeno tre punti percentuali il partito di sinistra Syriza, guidato da Alexis Tsipras, si aprirebbe uno scenario caldissimo. Come noto, Tsipras è radicalmente contrario al programma “lacrime e sangue” della Troika e ha promesso che in caso di elezioni dovrà essere tagliato il 50% del debito pubblico, nel frattempo salito a oltre il 170 per cento del Pil. «Credo che razionalmente il Parlamento greco eleggerà entro fine anno, alla terza votazione, il nuovo presidente della Repubblica, con il supporto degli indipendenti – commenta Barbieri -. Dico razionalmente perché se si andasse ad elezioni anticipate, ragionevolmente il voto si polarizzerebbe tra Syriza, il partito di Tsipras, e Nea Dimokratia, il partito di Samaras. Se vincesse Tsipras, sicuramente vorrà ridefinire il debito». Si aprirebbero scenari preoccupanti: «La Grecia – continua Barbieri – il prossimo anno vedrà la scadenza di una serie di obbligazioni. Se non avesse i soldi per rifinanziarsi andrebbe in default contro il settore pubblico».
Barbieri, Mizuho: «Il crollo di Atene può essere dovuto agli hedge funds, che vendono appena c’è qualcosa che non capiscono»
Per quanto seria, aggiunge il capo economista della Mizuho, «la situazione non va neanche drammatizzata. Il crollo della borsa di Atene di oggi può essere dovuto al fatto che gli hedge funds, i maggiori investitori in Grecia in questa fase, vendono immediatamente appena c’è qualcosa che non capiscono». Inoltre, lo stesso Tsipras, se giungesse al potere, «dovrà comunque rinegoziare il debito, come gli altri. Certo lo farà probabilmente più duramente, perché dirà di essere stato eletto per tagliare il debito».
I pericoli per l’Eurozona sono però all’orizzone e Alberto Gallo, capo della macro credit research presso la Royal Bank of Scotland (Rbs), li elenca a Linkiesta: «Nel 2015 noi ci aspettiamo un ritorno del rischio politico in Europa. Abbiamo elezioni non solo in Grecia (ora anticipate) ma anche in Portogallo, Spagna, Francia (regionali), Svezia, UK e forse anche in Italia se il nuovo sistema elettorale entrerà in corso». La performance economica Europea, continua Gallo, «finora ha colpito le famiglie e dato consenso ai vari partiti anti-euro/Ue. Questi finora sono rimasti in minoranza, ma l’anno prossimo potrebbero rimontare, poiché le speranze di ripresa si stanno affievolendo: il piano di investimenti Juncker è piccolo e non credibile, e la Bce da sola non riuscirà a riattivare l’economia esclusivamente con iniezioni di liquidità. In Italia vedo segnali positivi, come le recenti riforme elettorali e il Jobs Act. Ma a livello Europeo manca ancora il coordinamento necessario per investimenti e riforme».
La lunga fine del bailout
La ragione dell’anticipo è stettamente legata alle negoziazioni con la Troika e l’Eurogruppo. Con la fine dell’anno sarebbe dovuto terminare il bailout, il salvataggio (sotto forma di finanziamenti per 240 miliardi di euro in due tranche) operato da Bce, Commissione europea e Fondo monetario internazionale. Per essere più precisi, sarebbe dovuta finire la parte europea, mentre il programma del fondo monetario, che prevede altri 12,5 miliardi di dollari di finanziamenti, durerà fino alla primavera del 2016. Dal 2015 la parte europea sarà sostituita da una linea di credito precauzionale, che assisterà la Grecia in caso di improvvise necessità finanziarie.
Dopo l’Eurogruppo dell’8 dicembre, il programma europeo di credito in cambio delle riforme è stato esteso di due mesi
Dopo la riunione dell’Eurogruppo di lunedì 8 dicembre, il programma europeo di credito in cambio delle riforme è stato esteso di due mesi, fino alla fine di febbraio. I ministri delle Finanze dell’eurozona avevano chiesto che durasse altri sei mesi. Si erano anche rifiutati di pagare l’ultima rata del credito (1,8 miliardi di euro), a causa del mancata attuazione delle riforme richieste. Il compromesso raggiunto sui due mesi ha sbloccato la rata e ora l’approvazione passa ai parlamenti degli Stati creditori, Germania in testa (ma in cima c’è anche l’Italia, il terzo tra i Paesi creditori).
“Addio Troika”
La Grecia non vede l’ora di togliersi dal programma della Troika e dalla sua linea di riforme “lacrime e sangue”. A ottobre il ministro delle Finanze, Gikas Hardouvelis, aveva detto che la Grecia era “pronta a stare sulle proprie gambe” e che avrebbe potuto reperire i prestiti dai mercati internazionali dai capitali invece che dai 12 miliardi di prestiti rimanenti dal Fondo monetario internazionali.
A ottobre il ministro delle Finanze, Gikas Hardouvelis, aveva detto che la Grecia era “pronta a stare sulle proprie gambe”
Gli investitori non la pensavano allo stesso modo. La situazione economica greca è infatti ancora molto fragile. Il tasso di interesse sui bond a 10 anni è del 7,86 per cento, e nei giorni successivi all’annuncio di Hardouvelis sono rapidamente schizzati al 9 per cento (quindi con uno spread rispetto ai bund tedeschi di oltre 800 punti base, 300 in più del picco più alto mai raggiunto dall’Italia durante la crisi), un tasso insostenibile per le finanze elleniche sebbene molto più basso del picco del 30% toccato all’apice dell’emergenza, alla fine del 2011. La disoccupazione rimane al 26%, quella giovanile oltre il 50 per cento, con un mercato del lavoro che ha visto anche una drastica riduzione dei salari. Il debito pubblico è a circ ail 170 per cento del Pil. La buona notizia riguarda proprio il prodotto interno lordo, che nel 2014 dovrebbe crescere dello 0,7% e nel 2015 del 2,9 per cento. Va comunque ricordato che il Paese ha perso il 25% del Pil dall’inizio della crisi.
La motivazione della fretta della Grecia di uscire dal programma della Troika riguarda la severità delle misure richieste al Paese, già stremato da anni di misure di austerity. Un recente servizio de Linkiesta, a firma di Silvia Favasuli, racconta le difficoltà quotidiane dei giovani del Paese, tra salari dimezzati ed emigrazione di massa. In questo contesto, la Troika ha accompagnato lo sblocco degli ultimi finanziamenti con una serie di ben 19 misure di austerità da approvare entro la fine dell’anno. Tra queste, come ha ricordato Il Sole 24 Ore, ci sono l’innalzamento dell’Iva, una norma che renda più semplice il pignoramento della prima casa da parte delle banche, una legge che faciliti i licenziamenti collettivi nelle grandi imprese, nuovi tagli di personale nel settore pubblico, una riforma delle pensioni che renda effettiva l’età di 65 anni per il pensionamento (oggi solo un quinto dei greci va in pensione a quell’età), una riforma complessiva del sistema fiscale.
Tutti temi molto caldi dal punto di vista sociale, che Samaras vuole poter affrontare, negoziando in una posizione di stabilità di governo, entro febbraio. Da qui nasce la decisione di anticipare il voto per il presidente della Repubblica. In caso di sconfitta, inoltre, eviterebbe di presentarsi al voto indebolito dalla firma degli accordi con la Troika e da due mesi di logoramento da parte di Syriza.
Le misure imposte da Bce, Commissione e Fmi fanno dire all’economista Paolo Manasse, docente di Economia politica all’Università di Bologna, interpellato da Linkiesta, che «quello a cui abbiamo assistito è un vecchio difetto da parte della Troika: il micro-management, una serie di cose da fare con dettaglio minuziosissimo, come la famosa lettera della Bce all’Italia sull’articolo 18. Come si è visto nel caso della Grecia, crea molti problemi politici e ha un’efficacia discutibile».
Un allarme per Draghi
La situazione in Grecia avrà degli effetti sull’Eurozona e sull’Italia? Potrebbe averli, spiega Riccardo Barbieri. L’instabilità di Atene «mi preoccupa anche in rapporto al Quantitative Easing della Bce. È vero che non dovrebbe essere in connessione con la Grecia, ma i critici direbbero che non sarebbe opportuno, con un default in Grecia, comprare altri titoli di Stato di Italia o di altri Paesi». Per questo «Draghi dovrà muoversi velocemente. Se situazione in Grecia non si risolve entro fine anno potrà avere degli strascichi. Non si creerebbe una situazione favorevole a politiche monetarie come il Quantitative Easing, se in mezzo al processo decisivo dovesse avvenire una complicazione in Grecia».
Barbieri: «l’instabilità di Atene preoccupa anche in rapporto al Quantitative Easing della Bce»
Per il presidente della Bce, e in generale per le istituzioni europee, un’eventuale crisi greca sarebbe anche un banco di prova che ne determinerebbe la futura credibilità internazionale. A spiegarlo è Paolo Manasse: «È molto difficile prevedere cosa succederà – spiega -. Ci sono analogie e differenze con il grande crac degli anni scorsi. La prima differenza è che oggi ci sono meccanismi che funzionano a livello europeo, come il fondo Esm (Meccanismo europeo di stabilità, o fondo “salva-Stati”, ndr). In più c’è la disponibilità di Draghi a usare gli Omt (Outright monetary transactions, acquisto diretto di titoli di Stato, ndr)». L’Europa si è data meccanismi di risposta alla crisi, «ma bisogna verificarli – aggiunge Manasse -. Come reagirebbero in situazioni di stress? In più bisognerà vedere se Draghi avrà la facoltà di agire o se la Germania porrà dei limiti. La cosa preoccupante è che abbiamo visto come problemi in Paesi piccoli come la Grecia scatenino dei deliri, delle crisi molto grandi».
Se un solo voto a maggioranza qualificata in Grecia mettesse a rischio il programma europeo di crescita, le domande sulla credibilità dell’Eurozona sarebbero angosciose. E lo sarebbero di più dalle nostre parti, dove il nuovo declassamento di Standard & Poors, per quanto assorbito dai mercati, non lascia dormire sonni tranquilli.