La notizia è trapelata qualche giorno fa sul Corriere di Bologna: la Lamborghini potrebbe produrre il suo nuovo (e primo) Suv dal 2018. La novità è che non è scontato che la produzione avvenga a Bratislava, dove il gruppo Volkswagen, di cui Lamborghini fa parte dal 1998, assembla già i Suv dei marchi del gruppo: Cayenne della Porsche, Q dell’Audi e Touareg della Volkswagen. L’assemblaggio potrebbe avvenire nello storico stabilimento di Sant’Agata Bolognese, che ne sarebbe rivoluzionato. Basti pensare che oggi la produzione totale di Lamborghini si ferma a poco più di duemila vetture. Se il progetto andrà in porto, i Suv realizzati sarebbero a regime circa 3mila all’anno.
Voci dal ministero dello Sviluppo economico fanno sapere che in questo caso gli addetti potrebbero raddoppiare: da 1.150 attuali (tra operai e impiegati), si potrebbe quindi arrivare a quota duemila. Sarebbe una manna anche per i fornitori. Oggi Lamborghini usa alcune componenti internazionali (dagli pneumatici Pirelli alle palette per il cambio al volante della Kostal), ma per larga parte si appoggia a fornitori locali. Come la Carrozzeria Imperiale di Mirandola (Modena), che cura la verniciatura della Aventador, oltre ad avere una scuderia sportiva. Un nuovo modello richiederebbe circa duemila parti, con un beneficio tangibile per il territorio. Per questo, ha scritto il Corriere di Bologna, il governo, la Regione Emilia-Romagna con il nuovo presidente Stefano Bonacini e Unindustria Bologna, la rappresentanza locale di Confindustria, stanno esercitando delle pressioni sul gruppo tedesco perché scommetta ancora una volta sulla “motor valley” emiliana. Da Unindustria non confermano l’informazione, in quanto ufficiosa, ma definiscono realistica la ricostruzione giornalistica.
Un prototipo della Lamborghini Urus (Alexander Hassenstein/Getty Images)
Urus, il Suv del destino
Il Suv della Lamborgini non è una novità per chi segue il settore automobilistico. Dopo la prima fase di progettazione, il modello è stato presentato al Salone di Shanghai nel 2012 e ripresentato in altre occasioni, come una presentazione del gruppo VW-Audi dell’11 marzo 2013. Quanto ha scritto la stampa di settore, il gruppo Audi crederebbe poco al progetto, a causa del rallentamento della domanda nei Paesi del Medio Oriente, mentre la Lamborghini insiste sulla sua bontà. La produzione, prevista inizialmente per il 2017, sarebbe slittata al 2018. Un ritardo che potrebbe dare dei problemi, perché nel 2017 usciranno modelli concorrenti, come un Suv della Bentley (marchio che tuttavia è anch’esso del gruppo VW). Dalla Lamborghini arriva a Linkiesta solo un commento laconico: la scuderia bolognese è andata avanti nel progetto industriale e da allora il modello è oggetto di valutazione da parte della casa madre. Nessun commento sul possibile luogo di assemblamento (anche se si conferma che tra gli scenari produttivi c’è anche Bologna) né sul coinvolgimento o meno di fornitori storici. Anche dalla Carrozzeria Imperiale il commento è drastico: «Anche se sapessimo qualcosa non diremmo nulla».
Non resta che chiedere a un osservatore esterno, ma attento conoscitore del mercato e della filiera dell’automotive, come Giacomo Cacciabue, global key account manager di Kostal Italia, multinazionale di meccatronica per automotive con sede principale in Germania e tra i fornitori di Lamborghini.
Una Lamborghini Urus presentata a Pechino nell’aprile 2013 (Lintao Zhang/Getty Images)
«Non ho informazioni specifiche sulla vettura – premette -. Posso fare due considerazioni. La prima è che una delle caratteristiche del gruppo Volkswagen è di mantenere il più possibile le peculiarità dei diversi marchi: i designer e i progettisti di Audi sono diversi da quelli di VW e di Skoda. La seconda è che trattandosi di un marchio importante come Lamborghini, non mi stupirebbe se fosse prodotta in uno stabilimento diverso a quello in cui si produce il Cayenne». La ragione è che è lecito aspettarsi un’auto con caratteristiche profondamente diverse dalle altre auto del gruppo. «I motori sarebbero naturalmente completamente differenti, ma anche la scocca sarebbe particolare: mi immagino che non sia tutta in acciaio ma abbia anche parti in carbonio e alluminio (in effetti il particolare è emerso nelle presentazioni dell’auto, ndr). Solo alcune parti sarebbero comuni con il Cayenne». Il Suv della Porsche ha invece buona parte della scocca in comune con la Touareg ed è prodotta in più di 10mia esemplari all’anno, quindi su altri numeri rispetto a quelli della Lamborghini. «Per le caratteristiche della componentistica, in particolare l’arredo vettura – continua Cacciabue – può avere senso continuare a usare i fornitori storici, per questioni di “family feeling” e di volumi. Anche la produzione a Bologna potrebbe rientrare nella strategia del gruppo».
Secondo il manager della Kostal, dalla casa di Bologna è lecito aspettarsi «qualcosa di esagerato, un “dragster” più simile a una Lamborghini, per cavalli, rumore e velocità, rispetto a un Cayenne, che è guidabile da una signora in tacchi a spillo». È, insomma, come se la Ferrari facesse un Suv. Sarebbe molto diverso dallo sport utility vehicle della Maserati che sarà prodotto da Fca a Grugliasco (Torino) o da altri modelli di marchi di fascia alta ma non esagerata, come la Jaguar.
Quello che è scongiurato è che il nuovo Urus ricalchi l’esperienza del modello LM002, il primo esperimento di fuoristrada della Lamborghini, prodotto tra il 1986 e il 1993. Ispirato a un veicolo militare (non troppo diverso dall’Hummer dell’esercito americano), era destinato agli sceicchi mediorientali (pare che ne avesse uno il figlio di Saddam Hussein, Uday), e fu inserito dal Time nella classifica dei modelli meno riusciti della storia dell’automobilismo.
Una Lamborghini LM002
La partita Italia-Germania
Per quanto locale, la partita del Suv Urus ha molto da dire sul piano nazionale. In primo luogo, che per la prima volta una produzione di un modello non Fiat e non di extra-nicchia potrebbe essere prodotto in Italia. Il legame a doppio filo tra la Fiat e i governi, con la prima che assicurava la produzione in Italia in cambio del veto all’ingresso di produttori stranieri (come è invece avvenuto in Spagna) è alle spalle e ha avuto il suggello nel cambio di sede legale e fiscale della nuova società Fca. Finora però nessuna produzione vera è arrivata (né ha l’aria di esserla quella che si profila a Termini Imerese), dopo il treno perso della Toyota (andata poi in Francia) e della Hyunday (finita nell’Europa dell’Est) tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. La moral suasion del governo e industriali sta a indicare una volontà di puntare sul manifatturiero anche in un settore complesso, come quello dell’automotive, dove, ridotta la produzione di massa, rimangono i marchi premium della stessa Fca, il lusso di Ferrari e Lamborghini e il comparto dei componentisti, attraversato da una crisi e un profondo mutamento di pelle. Il fatto che si favorisca la produzione di un Suv, nel momento in cui su quel segmento sta puntando anche Fca tramite Maserati, segnala anche una presa di autonomia da Torino e Detroit.
La partita è delicata anche perché, se la produzione al contrario andasse a Bratislava, in Slovacchia, il contraccolpo di immagine sarebbe notevole perché il messaggio che passerebbe è che il Made in Italy di fascia altissima si può produrre anche fuori dall’Italia. Finora sia alla Lamborghini sia alla Ducati (altro gioiello acquistato dal gruppo con sede a Ingolstadt) la produzione, o quanto meno l’assemblaggio, sono rimasti nazionali.
Il Suv Lambo è anche un segnale dei rapporti tra Germania e Italia. Sebbene su fronti opposti in Europa sulle politiche di bilancio, i due Paesi sono sempre più interconnessi e alleati. Con una posizione di forza della Germania innegabile, dato che lo shopping delle imprese italiane da parte delle società teutoniche continua a ritmi serrati. Ma la partita non è a senso unico. Basti pensare all’acquisto recentissimo di cinque aziende tedesche della meccanica e in particolare del packaging (Benhil, Erca, Hassia, Hamba and Gasti) da parte di Ima, Industria Macchine Automatiche, di Ozzano dell’Emilia (Bologna).
La meccanica del nostro Paese, soprattutto nel packaging e nelle macchine utensili, sta facendo passi da gigante, come raccontato da un recente studio di Symbola, Fondazione Edison e Unioncamere. Tanto che Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, raccomanda di non concentrarsi troppo sulle automobili: «Il settore automotive – dice a Linkiesta – è legato a piattaforme produttive molto complesse. Nell’Est sono estremamente funzionali, per questo in Polonia ci sono le produzioni di Fiat, Vw e di altri. La tipologia è abbastanza unica nel suo genere. Sono decisioni aziendali che dipendono dalle dotazioni attuali, da equilibri tra costi, investimenti e ricavi attesi. Né in caso positivo né in caso negativo dalla vicenda Lamborghini ricaverei giudizi sull’industria meccanica».