La vera storia dei mostri tascabili

La vera storia dei mostri tascabili

Quasi tutti ricordano i Pokémon per il cartone animato, per il gioco di carte collezionabili, per i pupazzetti e, soprattutto, per un caso avvenuto nel 1997 in cui un episodio della serie animata causò un attacco di epilessia circa 1000 spettatori, soprattutto bambini, in Giappone.

Il caso diventò famoso dopo che i telegiornali di tutto il mondo rilanciarono la notizia e, per molti genitori, Pokémon, rimase il “cartone animato che causa l’epilessia”. Questo, naturalmente, non fermò i bambini da amare il cartone animato, da comprare le carte e dal giocare coi pupazzetti dei poket monster, i mostri tascabili. E nonostante la Pokémania (così fu chiamata l’ondata di prodotti e di gadget targati Pokémon che invase il mondo all’inizio degli anni Duemila) sia passata da un pezzo, Pokémon oggi è un franchise che vale milioni di dollari. The Pokémon company, l’azienda che gestisce i diritti su marchio e prodotti Pokémon, nel 2013 ha generato valore per 1,5 miliardi di dollari.

Quello che molti non sanno è che Pokémon non è nato come cartone animato ma come un videogioco, un progetto durato sei lunghi anni che ha quasi portato l’azienda che l’ha creato in bancarotta. Dietro al videogioco c’è una persona che ha ostinatamente portato avanti la sua idea fino a trasformarla in un successo mondiale. Il suo nome è Satoshi Tajiri.

Satoshi Tajiri è figlio di un venditore di auto Nissan e di una casalinga. Cresce a Machida, una cittadina della periferia di Tokyo che, negli anni Sessanta, è ancora lontana dalla congestione della capitale giapponese. Una zona piena di natura, con piantagioni di riso, laghi, fiumi e boschi, dove Satoshi scopre la sua prima grande passione: gli insetti. Collezionare insetti era un passatempo comune tra i bambini giapponesi di quegli anni ma per Satoshi gli insetti erano più di un hobby. A scuola lo chiamavano “Mr. Bug” (signor insetto), da grande voleva fare l’entomologo e dedicava tutto il tempo libero che aveva a studiare e a catturare questi piccoli mostri. In un’intervista a Time Magazine Satoshi racconta che gli insetti «mi affascinavano. Si muovevano in modo buffo. Erano strambi. Ogni insetto che trovavo era un mistero per me. E più ne cercavo, più ne trovavo. Se mettevo la mano nel fiume, tiravo su un gambero. Se mettevo un legnetto sopra una buca, trovavo degli insetti. Di solito li portavo a casa. Mentre li raccoglievo, scoprivo che alcuni si cibavano di altri e così smisi di portarli a casa. Ma mi piaceva farmi venire delle nuove idee, come trovare nuovi modi per catturare i maggiolini. In Giappone, moltissimi bambini li catturano mettendo un po’ di miele su un pezzo di corteccia. La mia idea era di mettere una pietra sotto un albero, perché durante il giorno i maggiolini dormono e amano dormire sotto le pietre. Così al mattino andavo a prendere la pietra e li trovavo lì. Queste piccole scoperte mi facevano felice».

Mentre Satoshi cresce, però, le cose intorno a lui cambiano molto rapidamente. La cittadina diventa città. La natura deve farsi da parte e gli insetti con essa. Anche Satoshi cambia e presto la sua prima grande passione, gli insetti, passa in secondo piano a favore della seconda: i videogiochi.

Satoshi era un nerd. Non solo amava giocare ai videogiochi, ma amava anche parlarne, studiarli, analizzarli. È il 1978 e lui salta la scuola e spende tutti i suoi soldi che ha in sala giochi. Nel 1981 fonda persino una rivista (anche se sarebbe più corretto chiamarla fanzine) in cui scrive trucchi e segreti di videogiochi come Donkey Kong, si chiama Game Freak, che in italiano suona più o meno come pazzo per i videogiochi. All’inizio Game Freak è scritta a mano da Satoshi, fotocopiata e venduta per pochissimi yen. Ma siamo all’alba dell’era dei videogame e c’è un mondo di ragazzini che come Satoshi vogliono sapere tutto quello che c’è da sapere suoi loro videogame preferiti. Game Freak arriva a vendere fino a 10mila copie a numero e Satoshi inizia a lavorarci insieme a degli altri amici e a stamparla in modo professionale. Sempre nell’intervista a Time Magazine Satoshi dice: «avevo appena 18 anni e avevo già un’azienda».

Da Game Freak, la rivista, nasce Game Freak, la casa di sviluppo di videogiochi. Nel 1989 Game Freak pubblica il suo primo videogioco, Mendel Palace, ma solo è quando Satoshi vede per la prima volta il link cable di Nintendo che le cose si fanno interessanti. Il link cable è un cavo che permette di collegare due Game Boy (le console portatili di Nintendo) per permettere a due giocatori di giocare insieme, tipicamente l’uno contro l’altro, a un videogioco. Satoshi racconta però che vede quel cavo come qualcosa di diverso: si immagina delle creature, degli insetti o dei mostri, che passano dentro il cavo, da un Game Boy all’altro. Si immagina che i bambini non solo possano far combattere queste creature tra di loro ma anche scambiarle. Satoshi mette insieme un progetto di videogame da presentare a Nintendo: si chiama Capsule Monsters e dentro c’è già quasi tutto l’universo dei Pokémon.

Dopo vari tentativi falliti, grazie all’aiuto dell’amico e mentore Shigeru Miyamoto (l’uomo dietro a Zelda), Satoshi nel 1990 riesce finalmente a convincere Nintendo a dare il via libera per il suo videogioco. Ma Game Freaks rimane una casa di produzione indipendente e ci vogliono sei anni di sviluppo per trasformare quella prima idea nel videogioco che ha dato il via all’universo dei Pokémon. Sei anni in cui Game Freaks rischia più volte di chiudere, con molti dipendenti che se ne vanno verso altri lavori e Satoshi che lavora praticamente gratis pur di finire il suo gioco, che nel frattempo cambia nome per motivi di copyright, diventando prima CapuMon e poi, finalmente, Pokémon.

Quando il gioco esce, il 27 febbraio 1996, il Game Boy di Nintendo per cui Pokémon era considerata una piattaforma morta e pochissimi giornali danno attenzione al videogioco di Satoshi. Ma il ragazzo ci aveva visto giusto: il gioco viene pubblicato in due versioni (Pokémon Red e Pokémon Green) per incentivare lo scambio di Pokémon tra giocatori e, anche grazie a una voce di corridoio messa in giro da Nintendo stessa riguardo un misterioso Pokémon segreto (Game Freaks, la rivista, aveva insegnato a Satoshi una cosa o due riguardo ai videogiochi con dei segreti), il gioco diventa presto uno dei titoli più venduti in Giappone. E poi nel mondo.

Pokémon, oggi, è un franchise da milioni di dollari e di copie ma è anche un’espressione molto intima di Satoshi. Il protagonista del cartone animato e delle prime due versioni di Pokémon in occidente si chiama Ash. Ma in Giappone si chiama Satoshi, esattamente come il suo creatore. E i Pokémon altro non sono che un condensato della sua infanzia, in versione videogioco: i Pokémon sono gli insetti che amava trovare e portare a casa, il mondo di gioco è la sua piccola cittadina e il senso di scoperta è lo stesso che provava Satoshi nel trovare ogni giorno nuovi insetti, nuovi boschi, nuove strade. «I ragazzi oggi giocano in casa e molti hanno dimenticato com’era catturare gli insetti. E anche io l’avevo dimenticato. Quando ho iniziato a fare videogiochi, però, dentro di me qualcosa è scattato e ho deciso di fare un gioco a partire da quell’idea. Tutto quello che ho fatto da bambino è lì dentro — ecco cosa è Pokémon».

Le illustrazioni nell’articolo sono disegni preparatori per la prima versione di Pokémon, presentata a Nintendo nel 1990. Sono tutte tratte da un libro, pubblicato solo in Giappone, intitolato Satoshi Tajiri: A Man Who Created Pokémon.

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