Se qualcuno si stesse chiedendo cosa spinga decine di migliaia di giovani a lasciare l’Italia ogni anno, un dato è più che sufficiente: dalla metà del 2008 all’agosto 2014, il numero degli occupati tra i 15 e i 24 anni è sceso di quasi un terzo, il 32,9 per cento. Più di 480mila persone, che sono quasi la metà dell’1,1 milioni di occupati che l’Italia ha perso nello stesso periodo.
A ricordarlo è l’ultima indagine trimestrale Excelsior, realizzata da Unioncamere in accordo con il ministero del Lavoro. Buona parte di questa riduzione è dovuta all’aumentare dell’età: i giovani del 2008 sono cresciuti, quelli che hanno provato a entrare dopo hanno trovato tutte le porte chiuse. Né la situazione sta migliorando. L’indagine chiede alle aziende in che misura intendano riservare le assunzioni per chi ha meno di 29 anni. Se ancora nel 2012 la media era del 32,2%, la percentuale è continuata a scendere di trimestre in trimestre, fino al 26,2% del quarto trimestre 2014.
Cosa questo significhi lo dicono altri dati più noti sui giovani fino a 24 anni: nei primi 8 mesi del 2014 se ne sono ritirati dal mercato del lavoro oltre 17mila, gli occupati sono diminuiti di oltre 51mila unità, i disoccupati sono aumentati di 34mila unità e il tasso di disoccupazione, arrivato al 44,2%, ha toccato un nuovo record storico.
Fonte: indagine Excelsior. Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui
Come si vede dal grafico qui sopra, nel quarto trimestre il maggior numero di assunzioni di giovani riguarderà commessi e altro personale degli esercizi commerciali, che nel trimestre scorso erano in terza posizione dopo cuochi e camerieri (primi), e commessi della grande distribuzione (secondi), entrambi in discesa di una posizione.
Le professioni emergenti sono però quelle degli addetti alla gestione di magazzini (che avanzano di 15 posizioni, dalla 24esima alla nona), dei conduttori di mezzi di trasporto (+13) degli operai metalmeccanici (+8), e di quelli del tessile, abbigliamento e calzature (+8).
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Arretrano invece di ben 20 posizioni docenti, insegnanti e ricercatori, e di 11 posizioni il personale non qualificato nel commercio e nei servizi, e gli addetti alle professioni specifiche nei servizi di sicurezza, vigilanza e custodia.
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Donne, aumenta il divario con gli uomini
È critica anche la situazione delle donne lavoratrici, per le quali è tornato ad allargarsi il divario con gli uomini. Contrariamente alle tendenze degli anni passati, spiega il rapporto, nei primi 8 mesi del 2014 uomini e donne hanno avuto andamenti opposti: i primi aumentano la propria presenza sul mercato del lavoro di 4mila unità e di oltre 73mila unità il numero degli occupati; di conseguenza i disoccupati diminuiscono di 69mila unità. Calano invece di 11mila unità le donne presenti sul mercato del lavoro e di quasi 38mila unità le donne occupate, determinando un aumento di 27mila persone disoccupate. Ne risulta, tra l’altro, un divario fra il tasso di disoccupazione maschile e quello femminile (11,2 e 13,7%) di 2,5 punti, quando ad agosto dello scorso anno era stato di appena 1,2 punti.
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Nel quarto trimestre 2014 le imprese assegnano alle assunzioni di personale femminile una quota preferenziale appena del 12,7%, la più bassa che sia mai stata indicata, anche tenendo conto che questa quota tocca i valori più alti nei trimestri centrali dell’anno grazie alle assunzioni stagionali nelle attività connesse al settore turistico. Che non si tratti di un valore casuale è confermato dal fatto che anche nella media degli ultimi quattro trimestri, quindi dell’intero 2014, la stessa quota è solo del 16%, quasi 3 punti percentuali in meno rispetto al 18,9% della media del 2013.
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Immigrati (qualificati) in controtendenza
Al contrario, nel 4° trimestre dell’anno le imprese dell’industria e dei servizi prevedono di effettuare 17.650 assunzioni circa di personale immigrato, oltre il 15% in più rispetto al trimestre precedente e quasi il 24% in più rispetto ai mesi finali del 2013. I comparti che fanno da traino a questi andamenti sono quello delle costruzioni e quello del commercio e turismo. Saranno soprattutto le assunzioni stagionali (con un aumento congiunturale del 33,7% e un aumento tendenziale superiore al 52%) a incrementare le assunzioni complessive di personale immigrato che sul totale delle assunzioni stagionali raggiungeranno una quota del 21,8%, mentre saranno solo il 9% delle assunzioni non stagionali. Di questo favorevole andamento, aggiunge il rapporto, non beneficiano però né i giovani immigrati fino a 29 anni, ne’ le persone senza esperienza.
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Lavoro sempre più precario
Il lungo rapporto Excelsior mostra dei dati preoccupanti, come la sproporzione tra uscite dal lavoro previste nel quarto trimestre (295mila) e nuove entrate (173mila).
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Ci sono però dei segnali incoraggianti. «La situazione complessiva del mercato del lavoro – si legge – sembra manifestare una certa stabilizzazione e finanche qualche timido segnale di ripresa». Nei primi otto mesi dell’anno la partecipazione al mercato del lavoro della popolazione in età lavorativa è rimasto quasi costantemente stabile e fra dicembre 2013 e agosto 2014 il numero di persone presenti sul mercato del lavoro è diminuito di sole 7mila unità. Nello stesso tempo sono aumentati di quasi 36mila unità gli occupati e la combinazione di questi due andamenti ha consentito un calo di oltre 42mila persone in cerca di lavoro. Queste diminuiscono di 28mila unità anche rispetto ad agosto 2013 ed è la prima variazione tendenzia-le al ribasso dopo 37 mesi costantemente al rialzo.
All’aumento tendenziale (cioè rispetto al quarto trimestre del 2013) di quasi 9.150 entrate totali contribuiscono in massima parte le assunzioni stagionali (quasi 7.500 in più) e in secondo luogo, i contratti di collaborazione e con lavoratori a partita Iva, in aumento di 4.400 unità, delle quali oltre 3.500 riguardanti i contratti di collaborazione. Dopo due trimestri in ripresa tornano invece a ridursi i contratti di assunzione “non stagionale” (di quasi 900 unità) e quelli di somministrazione (interinali), per circa 1.850 unità. «In un contesto di perdurante incertezza sulle prospettive economiche e forse anche in attesa delle annunciate riforme normative del mercato del lavoro- – commenta lo studio – , le imprese sembrano quindi indirizzare in misura maggiore la domanda verso le forme contrattuali meno vincolanti, soprattutto quelle che non modificano gli organici aziendali».