Il progresso dell’uomo riposa su combinazioni casuali imprevedibili. Ad esempio, come sostengono in molti, non ci sarebbe stato l’Illuminismo inglese se non ci fossero stati i caffè, dove gli intellettuali e gli esponenti della sfera pubblica si ritrovavano per parlare e discutere sul da farsi. E, com’è ovvio, non ci sarebbero stati i caffè se non ci fosse stato il caffè. Il tè non faceva quell’effetto: si consumava in casa, apparteneva a un rituale diverso. I caffè erano un’altra cosa, anche se il caffè, in sé, non piaceva a nessuno: non c’era la schiuma, non c’era la panna, nemmeno lo zucchero. Era “annacquato, amaro, brutto da vedere e pessimo da bere”.
È interessante allora vedere come i proprietari dei caffè cercassero di vendere comunque la bevanda, sottolineandone alcune virtù. Questo è almeno quanto ha fatto il proprietario di uno dei primi coffee-shop londinesi nel 1652, che ha provato a mettere in fila i benefici del caffè.
Era cattivo, sì, ma anche ottimo per la salute, diceva. Era un farmaco contro le malattie, combatteva “lo scorbuto, la gotta, idropisia, i calcoli” aumentava “l’udito” e impediva “gli aborti spontanei”.
Tra queste, per fortuna, c’era anche qualche proprietà reale: “curava la letargia”.