Municipalizzate e Ilva: quando lo Stato torna padrone

Municipalizzate e Ilva: quando lo Stato torna padrone

Il ministro Padoan ha confermato che nel 2015 il governo collocherà sul mercato il 40% di Poste e Ferrovie, e il 49% di Enav. Per evitare sussidi incrociati sarebbe meglio per Poste e Ferrovie prima separare le attività di servizio universale – la rete gestita da Rfi in Fs, le consegne in Poste – da quelle gestite in concorrenza con privati – l’Alta Velocità di Trenitalia, l’attività banco-assicurativa in Poste. Ma in ogni caso è un bene quotarle pur senza cederne all’inizio il controllo. Non solo per i 10 miliardi d’incasso pubblico a cui il governo mira, ma perché la disciplina e il premio ai risultati che vengono dai mercati finanziari rappresenta comunque un passo avanti rispetto all’opacità gestionale della mano pubblica (basti vedere l’efficienza guadagnata da Eni ed Enel quotati, rispetto a quando non lo erano).

Due osservazioni sono però essenziali. La prima su una cosa che manca al suo elenco. La seconda su una cosa che invece si appresta a fare.

Alla lista di dismissioni di Padoan manca un pezzo che la settimana scorsa Renzi e Delrio hanno più volte reiterato: la decisione finalmente di metter mano alle quasi 10mila controllate e partecipate pubbliche di primo livello di Comuni e Regioni. Ad aprile scorso, tutto il lavoro di ricognizione e classificazione svolto da Cottarelli, nonché le sue proposte concrete già scritte per intervenire, sono rimaste nei cassetti.

Sappiamo tutto quel che c’è da sapere. Che solo un terzo di esse sono nei 5 settori tradizionali delle utilities locali – elettricità, gas, acqua, rifiuti, trasporto – e che di loro oltre i due terzi sono sotto una soglia minima di fatturato che le possa rendere efficienti. Sappiamo quante complessivamente sono in perdita e di quanto, e si tratta di miliardi, quante hanno più amministratori che dipendenti, e via continuando.

L’indagine in corso a Roma, dove con Atac e Ama si concentrano due delle municipalizzate storicamente più produttrici di debito e clientelismo, ha spinto palazzo Chigi a dire che ora è il momento giusto per rompere gli indugi. Il governo si muova, allora. Come speriamo che già nella legge di stabilità vengano approvate proposte come quella avanzata da Linda Lanzillotta, che vincola le risorse per il risanamento di Roma Capitale alla cessione, secondo alcuni criteri di garanzia, delle partecipate a cominciare da quelle in perdita. Cottarelli aveva avanzato la proposta che ogni Comune dovesse rideliberare la persistenza del controllo di ogni municipalizzata, argomentando le ragioni per le quali il servizio offerto non potesse essere più convenientemente essere gestito da privati, e che le delibere fossero sottoposte a conferma da parte dell’Antitrust. Resta un’ottima proposta.

Anche perché tra pochi giorni ci troveremo di fronte a un intervento del governo che non è di privatizzazione, ma di rinazionalizzazione: dell’Ilva a Taranto.

Il commissario Gnudi ha detto un’elementare verità: «nessun privato rileverebbe ora l’Ilva, sequestrata dai magistrati». È semplicemente impossibile a chiunque non sia dietro l’egida dello Stato avanzare oggi un piano industriale per quella che era la più grande acciaeria a ciclo continuo d’Europa. Un privato da solo non può proporre alcunché, visto che i pm hanno nel tempo esercitato la facoltà di espropriare il patrimonio sociale, la liquidità dell’azienda, gli input intermedi di produzione, i prodotti finiti da vendere ai clienti, poi anche il patrimonio dei soci privati fuori dal gruppo. E ora si tratta anche di espropriare il restante titolo di nuda proprietà, dei Riva e degli Amenduni.

Il modo in cui Renzi e Padoan interverranno sull’Ilva è essenziale: a seconda di come la misura di rinazionalizzazione verrà assunta, rischia di compromettere la fiducia verso l’Italia invece di consolidarla. Ci sono dunque alcune condizioni da rispettare.

Primo: deve trattarsi di un intervento a tempo, in vista del risanamento ambientale e della restituzione poi del controllo dell’Ilva a privati. Non basterà dirlo a voce, bisogna dirlo in un cronopogramma scritto nello stesso decreto. Ricordarsi bene che Beneduce, il grandissimo manager pubblico che pur da socialista riformista collaborò con Mussolini e s’inventò l’Iri nel 1933 (come aveva fatto con l’Ina, CrediOp, Icipu, Opera Combattenti e altro ancora), disse in lungo e in largo che era solo a tempo, la nazionalizzazione delle industrie compromesse dalla crisi e finite ad affondare le stesse banche che le partecipavano. E che l’Iri, restituitele al mercato, sarebbe stato a quel punto a propria volta liquidato. Invece Beneduce morì ma l’Iri è durato 67 anni, fino al 2002 quando fu messo in liquidazione, giungendo a sfiorare nel frattempo il mezzo milione di dipendenti. Evitiamo di ripetere lo stresso errore.

Secondo: nel ventennio precedente ai primi anni Novanta, proprio nell’acciaio lo Stato si è mostrato un pessimo gestore. La Finsider, che realizzò l’attuale Ilva di Taranto, perse oltre 20mila miliardi di lire nei 15 anni pre-privatizzazione. L’Iri fu costretto alla liquidazione , con l’intesa tra Andreatta e il commissario europeo van Miert, proprio per i debiti contratti nell’acciaio. Evitiamo di credere che lo Stato abbia oggi manager capaci di intepretare il difficile mercato mondiale dell’acciaio, spostatosi tutto verso il Far East asiatico, meglio dei grandi gruppi privati che con l’acciaio si misurano ogni giorno. I Riva non hanno perso a Taranto ma fatto utili per miliardi reinvestiti, è da quando ci sono i commissari pubblici che l’Ilva perde, e abbiamo aumentato l’import di acciaio del 16 per cento.

Terzo: la mano pubblica a tempo deve servire a fare della bonifica delle cokerie e del parco mineraio un banco di prova europeo, visto che in Germania e Polonia esistono impianti con caratteristiche analoghe (ma non espropriati…). Decidere di uscire dal ciclo continuo con altiforni, per produrre acciaio con syngas o preridotto, è una decisione che stride con l’interesse di un paese manifatturiero come il nostro, e che è incompatibile con gli 11 mila dipendenti di Taranto e con le migliaia nell’indotto. Saremmo l’unico Paese al mondo in cui le modalità produttive vengono decise da un pm in sede di indagine preliminare. Ecco perché il governo deve usare molta attenzione. Lo Stato deve riaccompagnare l’Ilva alla produttività e agli utili che esprimeva tenendo la guardia alta, perché appena sarà in tutto e per tutto pubblica si riscateneranno gli appetiti di chi pensa che lo Stato deve tornare a fare anche i panettoni.

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