Parigi, i minareti e la xenofobia

Parigi, i minareti e la xenofobia

Francia, anno di grazia 2022. La torre Eiffel svetta ancora con la sua imponente massa di ferraglia grigia sulla fumosa città di Parigi ma chissà ancora per quanto tempo visto che per le strade della Ville Lumière, che sembra essersi tramutata sotto i colpi di violenti scontri in una fantomatica Ville Obscure, c’è aria di guerra civile. La quotidianità è scandita da violenti scontri interetnici, saccheggi, attentati ed omicidi a sfondo razzista. La banlieue esplode ed i servizi segreti e le autorità non possono far altro che constatare la lenta discesa agli inferi di tutto un Paese. François Hollande è al suo secondo mandato ma è oramai un presidente in pieno declino, detestato e avversato da tutta la società e dai partiti (compreso il suo). Con polso febbrile conduce un Paese in pieno caos verso nuove, perigliose, elezioni. L’ascesa del Front National, che predica odio xenofobo e getta olio sul fuoco dello scontro sociale, pare oramai inarrestabile.

Nel marasma politico, culturale e sociale che sembra dominare il Paese transalpino appare un nuovo partito, la Fraternité Musulmane (Fratellanza Musulmana) il cui leader, Mohammed Ben Abes, grazie al suo carisma e alla sua intelligenza politica, sembra sedurre le élites politiche francesi, la borghesia, gli intellettuali ed i media. Pur di arrestare l’ascesa del Front National di Marine “Bleue” Le Pen, una scellerata alleanza tra i principali partiti di governo UMP (sarkozista), UDI (centrista) e PS (socialisti di Hollande) porta alla testa della oramai defunta “République Laïque” il colto e carismatico Mohammed Ben Abes, “la faccia presentabile dell’Islam”, leader del neopartito Fratellanza Musulmana che diventa il nuovo presidente della Repubblica francese. Il primo presidente musulmano della storia di Francia sceglie il centrista François Bayrou come primo ministro.

Gli effetti dell’elezione di Ben Abes sono immediati. Come già elencato nel suo programma politico Ben Abes provvede ad islamizzare l’istruzione pubblica e ad instaurare in Francia la poligamia. Alle donne viene immediatamente interdetto l’accesso a tutte le carriere pubbliche; di colpo centinaia di migliaia di uomini disoccupati vengono assunti ed il tasso di disoccupazione scende come per incanto ai minimi storici. Alle donne viene egualmente vietato di portare gonna o pantaloni in luoghi pubblici ed i presidi di facoltà ed i professori universitari vengono gentilmente invitati a convertirsi all’Islam (per convertirsi ci vogliono poche ore). La Francia, in pieno subbuglio e in preda a insurrezioni popolari, si popola velocemente di donne velate e uomini barbuti, per le strade risuona aspro l’eco dei muezzin dai minareti delle numerose moschee che cominciano a spuntare come funghi in tutti gli angoli della città. Incubo, delirio o profezia politica?

Non ancora pubblicato, il nuovo romanzo di Michel Houellebecq, Soumission, ha già scatenato accese polemiche in patria. Sui social, nei quotidiani, in televisione e nelle riviste, per il piglio dissacrante e implicitamente violento nelle considerazioni a cui fa giungere il lettore, è già un best seller. Ma il problema è che il libro incarna molte paure del francese medio, paure, ignoranze o false certezze al quale il delirante romanzo di Houellebecq offre un apocalittico quanto pericoloso panegirico. Per l’uscita ufficiale, il 7 Gennaio 2015, la casa editrice Flammarion si prepara già con una potenza di fuoco inusitata: 150.000 copie che probabilmente andranno a ruba in fretta (in Italia uscirà il 15 Gennaio da Bompiani). Dissacrante pamphlet anti-islamico di 300 pagine, delirio xenofobo e provocatorio già dal titolo (che richiama la parola “Islam”, ovvero sottomissione a Dio), Sottomissione di Houellebecq ricalca la scia del percorso islamofobo tracciato dall’autore già nel 2001 quando, in un’intervista alla rivista Lire, mentre promuoveva il suo libro Plateforme, disse: «La religiona islamica è la religione più stupida che esista. La lettura del Corano lascia prostrati». E non è un caso che il titolo del suo ultimo romanzo richiami proprio quello del film di Theo Van Gogh, il regista olandese assassinato nel 2004 da un estremista islamico per un film dall’identico titolo.

Soumission è un romanzo delirante, visionario, in cui Houellebecq fustiga la Francia hollandiana per il suo politically correct nell’ambito dei temi più scivolosi riguardanti il dibattito sull’Islam di Francia, un fiume in piena che ribolle delle storture e delle paure più ancestrali del sottobosco della società francese alle quali forse nessuno è riuscito a dare voce se non lui, l’éternel provocateur della letteratura francese. Del resto il personaggio principale, il narratore, François, 44 anni, è un tipico personaggio houellebecquiano: frustrato, solitario e profondamente infelice. Della passività, e dell’accettazione accomodante dell’ordine delle cose, fa il suo credo. Vive in un limbo il cui credo autorizzerebbe chiunque a vendere la democrazia per un piatto di lenticchie. Ed è per questa ragione che in qualità di professore universitario presso la prestigiosa Sorbona di Parigi (che all’occasione è stata tramutata in Sorbona Islamica), si vede costretto a convertirsi all’Islam pur di mantenere il suo posto per poi trovarsi circondato da uno stuolo di studentesse “velate”, alla stregua di un harem accademico, pronte a glorificare il suo ego e quello di un paese intero alla rovina. In realtà la sottomissione di cui parla Houellebecq non è solo alla religione islamica, ma anche alle pulsioni, quelle più sfrenate ed incontenibili che il velo di borghesume di una società profondamente ipocrita nasconde sotto la facciata del perbenismo. E cosi anche i media e l’intellighenzia del paese paiono asserviti al nuovo modello che eclissa i sacri valori della rivoluzione francese per far sprofondare il paese di Voltaire nell’oscurantismo e nella stortura reazionaria. In realtà ad essere realmente reazionario non è il regime teocratico di Ben Abes o il silenzio-assenso dei media al suo servizio ma la penna stessa di Houellebecq che con quest’ultimo romanzo non fa altro che offrire uno sponda letteraria e vagamente culturale alla già deleteria cultura xenofoba e razzista che impera nel Paese d’oltralpe. La sua penna, prostrata al gusto dell’arida provocazione e del sarcasmo nichilista, allontana la comprensione della complessa realtà sociale francese sospingendo la già martoriata intelligenza del povero lettore verso gorghi ancora più profondi, quelli dell’intolleranza.

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