Credo che non sfugga a nessuno la delicatezza e l’importanza del passaggio dell’approvazione di una legge elettorale, in conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n.1/2014 che aveva dichiarato incostituzionale alcune parti del cosiddetto Porcellum, ponendo al legislatore, in particolare due questioni ineludibili.
Da un lato l’individuazione di un livello di “disproporzionalita” compatibile con la Costituzione (più semplicemente le soglie minime per l’attribuzione del premio di maggioranza e quelle di sbarramento per l’accesso al Parlamento ovvero quanta rappresentanza può essere sacrificata sull’altare della stabilità delle maggioranze di governo) e dall’altro l’individuabilita dei candidati da parte degli elettori (tema delle liste bloccate “lunghe”, dichiarate giustamente incostituzionali).
Fermo restando l’esigenza condivisibile di ricercare il più vasto schieramento possibile per approvare la nuova legge elettorale, è altrettanto utile e importante che sia raccolto l’invito del Presidente emerito della Corte Costituzionale, Gaetano Azzariti, affinché «si discuta in sede parlamentare e si abbandonino i toni ultimativi».
La classe politica, infatti, non può permettersi di incorrere nuovamente in errore.
Come è noto, l’impianto della legge elettorale (il cosiddetto Italicum) approvata alla Camera (soglia per il premio di maggioranza al 37%, ballottaggio con premio fino al 52% dei seggi, soglia d’ingresso per i partiti fuori coalizione dell’8% e dell’4,5% dentro le coalizioni, 100 collegi con capolista bloccato e i restanti selezionati con le preferenze) è stato successivamente è ampiamente superato da accordi tra i partiti di governo e con Forza Italia.
Rispetto alle nuove soluzioni proposte, certamente l’innalzamento della soglia per il premio di maggioranza al 40% (con assegnazione al vincitore del 55% dei seggi, anziché il 52%), e l’abbassamento della soglia di sbarramento al 3% costituiscono passi in avanti significativi.
La novità riguardante i capilista bloccati in luogo delle tanto deprecate e deprecabili liste bloccate, invece, non rappresenta una soluzione soddisfacente rispetto alle questioni di costituzionalità poste dalla Corte.
Per come è congegnato il sistema, infatti, non è possibile determinare in partenza il numero di eletti indicati dai partiti e sottratti al giudizio degli elettori (i cosiddetti nominati).
Un limite grave che rischia di portare a una nuova censura della Corte, con buona pace degli accordi di maggioranza e del “Patto del Nazareno” 2.0.
La proposta
Ho provato, infatti, a elaborare una simulazione prendendo come base di riferimento gli ultimi sondaggi elettorali. Il risultato è: 375 nominati, pari al 62% circa e 243 eletti con le preferenze nei 100 collegi.
Perché, mentre la lista vincente elegge i 100 capilista e gli altri 240 sono selezionati dai cittadini (con un incidenza accettabile di nominati pari a circa il 29%), sul fronte delle minoranze che si dividono i rimanenti 277 seggi, per riuscire ad eleggere un deputato con le preferenze bisogna ottenere una percentuale di circa il 20%: sotto questo livello sono eletti unicamente i capilista.
Una dipendenza inaccettabile dal volere del capo-partito che dovrebbe indurre a trovare altre soluzioni, pur nella convinzione che sia fisiologica e quindi accettabile in democrazia una quota di eletti che vengono scelti direttamente dai partiti.
In passato sia nei collegi del Senato (fino al 1992), sia con l’impegno unitario a votare il capolista fino ai collegi “sicuri” del Mattarellum, sono stati eletti – senza suscitare scandalo ne’ tantomeno censure di costituzionalità– personalità e leader di partito estranei ai territori d’elezione, ma considerati utili per il lavoro legislativo.
Partendo da questo assunto ho provato a lavorare su di un modello elettorale che, non stravolgendo l’impianto dell’Italicum, rendesse conciliabile questa esigenza, con quella – altrettanto condivisibile – di avvicinare il più possibile l’eletto all’elettore (arma utile contro il dilagante astensionismo).
Proverò schematicamente ad illustrare i tratti fondamentali di questa proposta, scusandomi anticipatamente per qualche inevitabile tecnicismo.
I seggi da assegnare alla Camera sono: 630 (617 + 1 per la Valle d’Aosta e 12 per le circoscrizioni Estero)
Il territorio nazionale è suddiviso in 26 circoscrizioni, a cui sono assegnati (sulla base della popolazione residente all’ultimo censimento):
– n. X seggi da attribuire su liste di circoscrizione plurinominali bloccate per un totale complessivo di 143 seggi;
– n. Y seggi da attribuire suddividendo le circoscrizioni in collegi plurinominali (con liste aventi obbligatoriamente n.3 candidati con presenza di entrambi i generi oppure n. 4 candidati con 2 uomini e 2 donne) per un totale complessivo di 475 seggi(di cui 1 riservato alla Valle d’Aosta).
L’elettore esprime il suo voto unicamente sulla scheda relativa ai collegi plurinominali, votando il simbolo del partito prescelto, con la possibilità di dare una preferenza (oppure due, con indicazione obbligatoria di entrambi i generi).
Il voto automaticamente viene attribuito anche alla lista di circoscrizione collegata.
Per l’assegnazione dei seggi, in prima battuta, si eliminano i voti cosiddetti inefficaci (le liste che non raggiungono la soglia di sbarramento).
Successivamente si assegnano i 143 seggi attribuiti alle liste circoscrizionali con il metodo del quoziente naturale e dei più alti resti (proporzionale puro). Per l’individuazione degli eletti si segue per ogni lista l’ordine di presentazione dei candidati (con alternanza di genere obbligatoria).
Per l’assegnazione dei 475 seggi una volta determinato (sempre con il sistema proporzionale) il numero dei seggi spettante a ogni singola circoscrizione, per ogni lista viene stilata per una graduatoria circoscrizionale dei collegi (sulla base della percentuale ottenuta rispetto al totale dei voti validi).
Una volta definita la graduatoria dei collegi per ogni lista, risulta eletto il candidato che ha ottenuto il maggior numero di preferenze.
Il premio di maggioranza (alla prima coalizione/lista sono assegnati almeno 340 seggi) viene assegnato nell’ambito del numero dei seggi da attribuire ai collegi plurinominali.
Con questa soluzione si supererebbe anche il problema di un ragionevole numero di pluricandidature, perché questa possibilità potrebbe essere limitata alle sole liste circoscrizionali bloccate.
In definitiva con questo modello si otterrebbero diversi benefici:
- un numero fisiologicamente accettabile in una democrazia di cosiddetti “nominati”;
- la ridotta e uniforme dimensione dei collegi (125.000 abitanti circa), unita a liste di candidati corte, consentirebbe la piena riconoscibilità dei candidati;
- un costo delle campagne elettorali alla portata di tutti i competitori;
- la possibilità di una “sana” competizione interna alla lista di collegio (correnti, territori ecc.), con incentivi alla rappresentanza di genere con la doppia preferenza (uomo/donna).
A voler testardamente insistere sui capilista bloccati si rischia seriamente di cozzare ancora una volta contro l’iceberg della Corte Costituzionale.
Federico Fornaro è senatore del Partito Democratico