A partire dal primo gennaio 2015, la Lituania adotterà l’euro come propria moneta nazionale. Sarà il diciannovesimo paese a farlo e il terzo ed ultimo tra i paesi baltici, dopo la Lettonia (dal 1° gennaio 2014) e l’Estonia (dal 2011). 370 milioni di monete e 132 milioni di banconote rimpiazzeranno i vecchi litas in circolazione (tasso di conversione: 1 euro per 3,4528 litas). Ma anche l’europeista più entusiasta non può nascondere che la moneta unica sta ancora attraversando un periodo assai difficile.
La domanda sorge quindi spontanea: perché la Lituania adotta l’euro? Quali vantaggi spera di ottenere una delle economie più in salute d’Europa? E avrebbe potuto evitare di entrare nella moneta unica, nonostante faccia parte dell’Unione Europea da dieci anni? La stessa opinione pubblica lituana non appare così entusiasta della novità, se una delle ultime news sul sito dedicato all’ingresso ha il titolo, tutt’altro che trionfale, «L’adozione dell’euro è vista con favore da più della metà dei cittadini lituani». E meno male, aggiungeremmo.
Fedeli alla litas?
Nel 2003 si tenne in Lituania un referendum per l’adesione all’Unione Europea. Il problema principale fu quello di superare il quorum del 50 per cento degli aventi diritto previsto dalla legge lituana. L’esito era più che scontato: tutti i principali partiti politici erano per il sì e i sondaggi mostravano un aumento costante degli europeisti nell’opinione pubblica dal 1999. Solo 3 parlamentari avevano pubblicamente espresso la loro contrarietà all’UE. I contrari all’UE rientravano in tre gruppi: gli estremisti di destra, i piccoli produttori di latte e la minoranza russofona. Il comitato per il no era così male organizzato che non ricevette neppure fondi pubblici per la campagna elettorale: presentò la domanda troppo in ritardo.
Alla fine, l’affluenza fu del 63 per cento. Il “sì” stravinse con il 91 per cento dei voti e meno del 9 per cento, 150 mila voti in tutto il paese, furono per il no.
Da allora tutto è cambiato, e la crisi dell’euro ha fatto nascere domande che fino a qualche anno fa sembravano superflue: l’adesione all’euro è obbligatoria? In altre parole, la Lituania poteva cambiare idea sulla moneta unica – al netto del fatto che la classe politica lituana si è sempre detta favorevole?
Come ricorda il sito della Commissione Europea, la risposta è che l’adesione all’euro non è facoltativa: «tutti gli stati membri dell’UE devono entrare a far parte dell’area euro una volta che le necessarie condizioni sono soddisfatte», con l’eccezione della Danimarca e del Regno Unito che hanno negoziato una specifica clausola per poterne rimanere fuori a tempo indefinito.
In concreto, le regole non sono così stringenti, se la Svezia sarebbe obbligata dai trattati ma finora se ne è tenuta alla larga – un referendum bocciò l’adesione all’euro nel 2003 – e negli ultimi anni l’adesione è sembrata più lontana che mai. Lo stesso vale per la Polonia, mentre altri paesi – come l’Ungheria e la Repubblica Ceca – restano vaghi sul tema e altri ancora non rispettano i requisiti economici (Croazia, Bulgaria e Romania). Insomma, aderire all’euro è formalmente obbligatorio, ma ci sono molti modi per evitarlo.
Un’economia poco allineata – per fortuna
La Lituania ha 3 milioni di abitanti, sparsi in un territorio grande come Piemonte, Lombardia e Veneto messi assieme. Il suo PIL pro capite, a parità di potere d’acquisto, è più o meno lo stesso di Portogallo e Grecia: circa il 30 per cento più basso di quello italiano, per dare un termine di paragone, ma parecchio più alto di quello bulgaro, il paese più povero dell’UE.
Per una ironia della sorte, la Lituania aveva già fatto domanda per entrare nella moneta unica nel 2007, ma le era stato detto di aspettare, in quanto la sua economia era poco allineata a quella dell’eurozona. Comenota l’ Economist, non senza una punta di britannico humour, «lo è ancora».
Dal 2011, la crescita del PIL dell’eurozona è intorno allo zero: -0,4% nel 2012, zero spaccato nel 2013. Per il prossimo anno – notizia di pochi giorni fa – la BCE ha appena rivisto al ribasso la stima e prevede un altrettanto poco esaltante +0,8%.
Il PIL lituano, invece, ha registrato un +6,1% nel 2011, un +3,8% nel 2012 e un +3,3% nel 2013. La previsione per il 2015 è di un altro più 3 per cento: sono percentuali che in questi anni si sono viste, nell’Unione Europea, solo nelle repubbliche baltiche vicine, Lettonia ed Estonia. Il rapporto tra debito pubblico e PIL è al 39 per cento (2013), anche in questo caso tra i più bassi dell’UE.
Dal 2007, anno del primo rifiuto, la Lituania ha fatto parecchia strada. Quell’anno il pericolo maggiore era l’inflazione, che infatti sarebbe cresciuta fino al picco del 12,5 per cento nel 2008. Oggi è allo 0,4 per cento, appena sopra lo 0,3 della media dell’eurozona. L’Economist dice che i risultati successivi sono il frutto di misure di austerità applicate qualche anno fa: a partire dal 2009, dopo una crisi domestica del credito che fece schizzare alle stelle la disoccupazione e colpì duramente l’economia, i governi lituani – prima quello conservatore di Kubilius e poi quello socialdemocratico dell’attuale premier Butkevičius – hanno ridotto la spesa pubblica del 10 per cento del PIL e il deficit di bilancio dal 9,3 al 2,6 per cento.
Come la pensano i lituani
In una bizzarra celebrazione dell’ingresso nella moneta unica, alcuni volontari lituani hanno costruito – nell’arco di tre settimane – una piramide formata da circa un milione di vecchie monete, alta oltre un metro e, a detta dei costruttori, “la più alta piramide di monete del mondo”.
Piramidi a parte, i sondaggi sembrano dire che i lituani sono piuttosto cauti davanti alla prospettiva della moneta unica. Un sondaggio Eurobarometer del settembre scorso mostra che i favorevoli all’introduzione dell’euro sono il 47 per cento, contro un 49 per cento di contrari; il 44 per cento pensa che l’euro avrà conseguenze positive o molto positive per il Paese, contro un 48 per cento di pessimisti. Un risicato 51 per cento ha dichiarato che la Lituania è pronta per la moneta unica.
Bisogna dire però che nei due precedenti sondaggi sugli stessi temi (ad aprile 2013 e ad aprile 2014) i favorevoli alla moneta unica erano ancora meno. Le paure dei lituani sembrano concentrarsi principalmente sull’aumento dei prezzi nel prossimo futuro.
Previsioni ottimiste
I favorevoli all’euro, tra cui il presidente della Banca centrale lituana Vitas Vasiliauskas e il ministro delle finanze Rimantas Sadzius, sottolineano i benefici che verranno dalla moneta unica. In primo luogo, il rating del paese salirà agli occhi degli investitori esteri e i conti pubblici potranno sfruttare i tassi di interesse minori (la banca centrale prevede una diminzione media dello 0,8 per cento nel prossimo futuro). A margine: Vasiliauskas sostiene le politiche europee del fiscal compact e si schiererà probabilmente con il fronte pro-austerità in materia finanziaria.
Anche il commercio potrà beneficiare della moneta unica, eliminando i costi del cambio nelle esportazioni verso l’UE, che sono già la maggioranza del totale. La Lituania adotterà la stessa moneta delle vicine repubbliche baltiche, che tendono ad essere viste come un’unica regione da molti investitori. Le previsioni lituane parlano di un aumento del PIL nel lungo periodo dell’1,3 per cento, come conseguenza dell’ingresso nell’euro.
Infine, la politica monetaria europea di fatto c’è già, in Lituania: la litas era agganciata all’euro fin dal 2004 e circa il 70 per cento dei prestiti è già denominato nella moneta comune. «Di fatto – ha detto Vasiliauskas – abbiamo l’euro già ora».
«Una tragedia greca»
Ma i pessimisti, anche fuori dalla Lituania, sottolineano alcuni punti deboli e mettono in guardia da una «tragedia greca». L’economia lituana è molto orientata all’esportazione, anche se la produttività del paese è estremamente bassa rispetto alla media dell’eurozona (quella per ora lavorata è circa la metà di quella greca e un quarto di quella tedesca,secondo Eurostat): l’ Economist descrive il worst case scenario, basato su una graduale perdita della competitività del Paese.
Il mercato del lavoro lituano, infatti, è particolare: la Lituania è da molto tempo un paese ad alta emigrazione e la popolazione è calata addirittura di un quinto negli ultimi 25 anni. Chi rimane è spesso un adulto con scarsissima formazione e i pochi lavoratori qualificati sono pagati molto. Nei prossimi anni, ci si aspetta che i salari – già cresciuti del 5 per cento in termini reali nel 2014 – aumentino ancora, più di quanto aumenterà la produttività.
E l’aumento dei salari potrebbe portare a un incremento dei prezzi, con una inflazione sopra la media europea: i beni e servizi lituani potranno quindi diventare più costosi e il paese perdere pericolosamente competitività. È quanto successo a Grecia e Portogallo negli anni precedenti la crisi: la scommessa per il governo lituano è investire sulla formazione e prendere le misure perché la storia non si ripeta.
L’ingombrante vicino
E poi c’è la questione di vicini ingombranti, di energia e di esportazioni – che forse è la questione principale e il vero motivo dietro un’adesione che rischia di essere l’ultima per molti anni a venire. Il governatore della banca centrale lituana Vasiliauskas ha dichiarato, uscendo dalle questioni monetarie ed entrando nel campo delle tautologie geografiche: «L’euro è uno strumento per una nostra maggiore integrazione: più vicini siamo all’Occidente, più lontani siamo dall’oriente».
La Lituania fu il primo paese a dichiararsi indipendente dall’Unione Sovietica, l’11 marzo 1990, e negli ultimi anni i rapporti con il vicino russo sono stati pessimi. La piccola percentuale di russofoni in territorio lituano – circa il 6 per cento, meno delle altre repubbliche baltiche – permette a Putin di parlare di «protezione» di una minoranza, mentre le mosse di avvicinamento all’Europa che proseguono da anni non fanno che gettare fumo negli occhi dell’aggressivo nazionalismo russo.
A novembre la Lituania ha annunciato sostegno militare all’Ucraina e ha definito la Russia «un paese terrorista». La Russia ha risposto rallentando enormemente i tempi di passaggio al confine tra la Lituania e l’enclave di Kaliningrad – dove ha sede la flotta russa del Baltico – e lanciando nel territorio esercitazioni militari a sorpresa, con 9.000 soldati e 55 navi, riporta Reuters.
A dimostrazioni di forza militari si alternano boicottaggi commerciali e guerre di informazione. In un tipico incidente avvenuto a fine 2013, per esempio, la Russia sospese le importazioni di prodotti caseari dalla Lituania «senza fornire motivazioni» e per tre settimane il primo ministro russo Medvedev non rispose alle domande telefoniche sulla questione, come raccontò la presidente lituana Dalia Grybauskaitė. Nello stesso periodo, i media russi avevano messo in giro la voce che la stessa Grybauskaitė fosse stata un’agente del KGB durante i suoi anni all’università sovietica di Leningrado.
Nel frattempo, la Lituania cerca maggior autonomia energetica dal vicino, spostando le sue importazioni di gas naturale dalla Russia ad altri paesi come la Norvegia, e spera che avvicinandosi all’Europa riuscirà ad avere più tutele da parte dell’UE – e della NATO, di cui fa parte da dieci anni – verso eventuali prove di forza russe. Ma la Russia è ancora la destinazione del 20 per cento circa delle esportazioni lituane (mentre il 60 per cento va in paesi UE) e le guerre commerciali rischiano di protrarsi, in una forma o nell’altra, molto a lungo.