Querele e misteri, così Carminati sfidava i giornalisti

Querele e misteri, così Carminati sfidava i giornalisti

Lo conoscono in molti l’ex Nar, e molti altri lo temono. A Roma il suo nome non è mai passato inosservato, dalla strada ai bar. Quasi nessuno però è riuscito a intervistarlo. Almeno ufficialmente. Il rapporto di Carminati con la stampa è un capitolo tormentato. Cronaca intessuta di querele, diffidenza, colloqui e invisibilità. Il presunto boss di Mafia Capitale è riservato, di lui girano pochissime foto e la villa di Sacrofano è inviolabile. «Massimo i giornalisti li evita», parola di Paolo Pozzessere, ex direttore commerciale di Finmeccanica che conosce il Nero. Profilo basso anche nello stile di vita, la Smart bianca è una sorta di emblema. I contatti con la stampa s’intrecciano alle vicende giudiziarie, come quando Carminati viene accusato dell’omicidio del giornalista Pecorelli. «Io ero considerato uno di quelli che aveva fatto sto reato, ammazzà il giornalista per conto del Presidente (Andreotti n.d.r.), non sai che m’hanno fatto, io c’ho la collezione dei giornali in quegli anni, cioè io, la madre di mio figlio se ne andò…». L’unica dichiarazione rilasciata alla stampa è datata proprio 22 settembre 1999, a margine dell’assoluzione nel processo Pecorelli. «Ho sempre dichiarato la mia innocenza – spiegava Carminati – ma sono sempre stato convinto anche dell’innocenza di tutti gli altri imputati. Ho passato una notte in bianco per la stanchezza di tutti questi anni».

Dagli anni Ottanta a oggi, dai taccuini alle intercettazioni. «Com’è finita poi con quel deficiente de giornalista de quell’articolo?», gli chiede l’imprenditore Cristiano Guarnera. Risponde Carminati: «Ho fatto querela, ma quello lì, gli faccio un bucio di culo, a me me danno i soldi, già ho scritto sulla querela che devono andare lì alla Onlus de…all’orfanotrofio de amico mio… non voglio una lira da questi… però jè voglio levà i soldi per quello». Il giornalista tirato in ballo è Lirio Abbate de L’Espresso, già sotto scorta, colpevole di aver scritto un articolo sui “quattro Re di Roma”, tra cui il presunto boss di Mafia Capitale. «Io te dico la verità – continua Carminati – istintivamente sarei andato lì a daje un sacco de botte, poi ho detto lo sai che c’è, jè faccio una bella querela civile, magari jè levo qualche soldo… i soldini se li prende chi c’ha bisogno». Dopo l’articolo del settimanale, Carminati dice di aver ricevuto anche la telefonata di Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca d’Italia e supplente di Draghi nel Consiglio Direttivo della Bce. «Ci ho fatto le vacanze insieme per tutta la vita, è uno dei miei migliori amici, ogni tanto mi chiama… mi ha chiamato proprio dopo l’articolo, mi ha detto “a Ma’ sei sempre rimasto il solito bandito da strada”. Gli ho detto “sì, tu sei sempre rimasto il solito stronzo che stai lì a leccare il culo alla BCE”».

Incassa e rilancia, il Nero. Accusa il circo mediatico di aver contribuito alla creazione di quel “Romanzo Criminale” fatto di bande e protagonisti del crimine. Si sfoga così in una conversazione intercettata: «Diciamo tutto quello che scrivevano su di me, hai capito, cioè io sono stato killer della P2, killer dei servizi segreti, capito io sono stato tutto ed il contrario di tutto.. io sono stato qualunque cosa, la strage di Bologna, cioè a me mi hanno accollato tutto, tutto quello che mi potevano accollà, me lo hanno accollato, cioè hai capito, io ero l’anello mancante, diciamo fra una realtà politica e una realtà di criminalità organizzata». Dice ancora Carminati: «Tutto quello che si poteva affibbiare a quella che era diventata la cosiddetta Agenzia del Crimine, la Banda della Magliana cioè che era un’agenzia secondo loro disposta a tutto per soldi, per potere, per.. prebende.. capito, quella che gli è servita per far poi carriere politiche, film, libri e quant’altro». Nella stessa conversazione con Guarnera svetta un’altra riflessione: «Quello dei giornalisti è un potere distruttivo. Il frullo mediatico sta diventando talmente veloce che poi alla fine, anche loro, lo pagano anche i giornalisti.. hai capito, ormai nessuno è al riparo da certe cose capito?»

Avvicinare Carminati non è facile. Ne sa qualcosa Gianluca Semprini, volto noto di SkyTg24. «Quando chiesi di intervistarlo, il suo avvocato mi fece casualmente identificare». Era il 2007 e il giornalista stava lavorando con Mario Caprara al libro “Destra estrema e criminale” (Newton Compton Editori), sedici ritratti di ex terroristi incluso quello di Carminati. «Abbiamo cercato di incontrarli, ma quando chiedevamo i contatti di Carminati tutti ci dicevano “lasciate perdere”». Allora i due cronisti si rivolgono al suo avvocato che, pur mettendo le mani avanti («non ve la concede l’intervista») li invita nel suo studio. «Quando arriviamo, il legale stava parlando con due persone di spalle e ci fa accomodare sul divano. Passano pochi minuti e quei due uomini escono, uno era Carminati che ci guarda e se ne va». I giornalisti chiedono conferma all’avvocato, d’altronde erano lì proprio per intervistare l’ex Nar. Semprini si sente rispondere che «sì era lui, ma è un tipo schivo…». Il tutto a conferma di quell’aura misteriosa cresciuta negli anni intorno al personaggio Carminati. «È stata una scena a metà tra film e realtà», sorride oggi Semprini.

Gli inviati di Servizio Pubblico sono riusciti a rintracciare Carminati a bordo della sua Smart a Sacrofano, appena qualche giorno prima dell’arresto di dicembre. Stefano Maria Bianchi e Luca Ferrari ci mettono pochi secondi a capire che è lui. Giusto il tempo di una domanda e il Nero sfreccia via senza concedere risposte. Paolo Mondani invece è il giornalista di Report che ad aprile 2013 ha firmato l’inchiesta “Romanzo Capitale”. Il servizio fece infuriare Gianni Alemanno. L’allora sindaco di Roma querelò la trasmissione della Gabanelli. E la stessa cosa fece Carminati, che nell’informativa dei Ros viene nuovamente intercettato: «Con quello che mi hanno combinato, me.. parlo con i giornalisti? Ma anche quello che se so’ inventati… a fanculo.. ma perché, Report? Ma poi io… Mondani lo conosco, Paolo lo conosco da una vita, gli ho mandato a dì… “a Pa’, ma porca puttana, siete diventati veramente dei gazzettieri, portavoce dei Pubblici Ministeri! Ma ti pare possibile che se fosse vero una cosa del genere, ma che stavo fuori?».

Mondani dice di aver conosciuto il Nero solo in un’occasione, e la rievoca a Piazzapulita. «Ho incontrato Carminati all’inizio del 2012 in un ristorante che poi scopro essere nella sua disponibilità. Lo incontro per chiedergli un’intervista che poi lui non mi darà. Le mie fonti mi dicevano che aveva nelle mani il consiglio comunale. La prima cosa di cui parliamo è la violenza. Lui vuole il tu, conosceva la mia storia politica giovanile. Mi dice: “So che negli anni Settanta stavi dall’altra parte della barricata”. Parlava con grande competenza dei servizi segreti. Allora gli chiedo se ha lavorato per lo Stato, lui mi guarda sorridendo. Sembrava quasi una rivendicazione. Sentiva di essere un uomo di equilibrio, non si sentiva cercato. A un certo punto gli dico che è molto temuto in città, anche fisicamente. E lui dice la cosa più inquietante: “Io sono un uomo temuto perché non ho paura di sparare”».

Giornalisti amici o nemici? Il capitolo mediatico annovera un altro protagonista, citato nelle carte di Mafia Capitale. Il direttore de Il Tempo Gian Marco Chiocci. A inizio 2014 Salvatore Buzzi, tramite Alemanno, arriva al quotidiano Il piazza Colonna per perorare una delle sue cause, quella del Centro di accoglienza per rifugiati di Castelnuovo di Porto. Aggiudicata a una delle coop di Buzzi, la gara d’appalto viene sospesa dal Tar per una sospetta esiguità del prezzo. «Nell’imminenza del pronunciamento giurisdizionale – scrivono gli inquirenti – veniva documentato un interessamento che vedeva protagonisti Buzzi e Carminati, volto a promuovere una campagna mediatica favorevole, facendo leva (almeno in parte) su informazioni acquisite in ambienti istituzionali e idonee a ingenerare dubbi sull’imparzialità dell’autorità giudiziaria adita». Il 12 marzo 2014 esce un primo articolo, poi Buzzi raccoglie informazioni su un presunto conflitto d’interessi del giudice. Circostanza di cui Il Tempo si occupa con un altro pezzo pubblicato il 19 marzo. 

Il direttore Gian Marco Chiocci si difende: «Ci siamo fatti spiegare la storia di un centro per i rifugiati e visti i documenti abbiamo pubblicato il tutto contattando anche la controparte». Nell’ordinanza di custodia cautelare emerge poi un incontro tra Carminati e Chiocci, sempre nel marzo 2014. «Quando il Nero ce lo siamo trovati davanti – scrive Chiocci in un editoriale – abbiamo provato anche a strappargli un’intervista, come da anni tentano di fare decine di giornalisti. L’interessato, però, non ne ha voluto sapere». E oggi il direttore si ritrova indagato per favoreggiamento nell’ambito di Mafia Capitale. L’ipotesi è quella di una “soffiata”: nell’ottobre scorso avrebbe fornito a Buzzi notizie in merito all’indagine in corso su Carminati. «Sono tranquillo, so bene di non aver detto nulla a Buzzi delle indagini a carico di Carminati – ribatte Chiocci dalle colonne de Il Tempo – non solo perché ne ignoravo l’esistenza ma soprattutto perché se ne fossi stato informato avrei dovuto necessariamente sapere delle indagini anche su Buzzi stesso, col quale talvolta discutevo di rom e immigrati. Che senso avrebbe avuto informare Buzzi dei guai dei Carminati e non dei suoi?».

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