Portineria MilanoQuirinale, stavolta rischiamo un presidente di serie B

Quirinale, stavolta rischiamo un presidente di serie B

Eserciti di franchi tiratori. Decine e decine di parlamentari pronti a sfogare i propri malesseri nel segreto dell’urna. A decidere l’elezione del prossimo presidente della Repubblica possono essere loro. Nemici del patto del Nazareno, esponenti delle minoranze interne, semplici malpancisti. Silvio Berlusconi e Matteo Renzi lo sanno. Stavolta le intese studiate a tavolino rischiano di venire travolte da questo anonimo – e rigorosamente trasversale – fronte parlamentare. Uno scrutinio dopo l’altro. Il rischio più evidente riguarda proprio il nuovo inquilino del Colle. Bruciati i candidati più autorevoli, a farsi largo tra le fumate nere potrebbe essere un presidente di serie B. Un Capo dello Stato per caso. Protagonista di una scalata al Colle tanto imprevista quanto sorprendente. 

Il tempo stringe, ma questa non è una novità. La corsa al dopo Giorgio Napolitano era iniziata già nel 2013, nei giorni successivi alla sua seconda elezione. L’ex dirigente del Pci aveva accettato di tornare al Colle per un tempo ridotto, condizionato dagli evidenti limiti di età. Adesso, come ulteriore conferma, durante il consueto scambio di auguri con il corpo diplomatico proprio Re Giorgio ha definito «imminenti» le sue dimissioni. Mistero sulle date. A sentire le voci che circolano a Palazzo è probabile che Napolitano abdichi intorno alla fine di gennaio. Magari, si racconta, delineando le tappe del suo addio a reti unificate, durante l’atteso discorso di fine anno.

A quel punto la grande partita per il Quirinale entrerà nel vivo. L’ultimo miglio di un lungo percorso strategico, che i candidati più smaliziati hanno intrapreso già da mesi. Del resto la scalata al Colle è tutta una questione di tattica e buoni sponsor. Tra chi muove pedine per bruciarne altre, chi nasconde i veri aspiranti al ruolo e chi assiste in silenzio alla gara, magari sperando di uscirne vincitore alla fine. Mosse da studiare con attenzione, non prive di rischi. Ne sa qualcosa l’ex premier Romano Prodi, bruciato eccellente durante l’ultima elezione del presidente della Repubblica, un anno e mezzo fa. 

La sconfitta di Prodi oggi è l’incubo di Renzi e Berlusconi. La leggenda dei 101 democrat che dopo aver applaudito il Professore nella riunione di gruppo lo hanno affossato nel segreto dell’urna è passata alla storia. Per i leader di partito è l’esempio evidente di come sia difficile tenere unite le schiere al momento del voto. Un monito inquietante, reso più pericoloso da due evidenze. La prima: deputati e senatori che voteranno il successore di Napolitano sono gli stessi che un anno e mezzo fa resero impossibile la scelta di un candidato (tanto da costringere l’ex Pci a un secondo mandato). Ma soprattutto, mai come adesso, il dissenso interno di Pd e Forza Italia si è fatto insistente.

Matteo Renzi prova esorcizzare i timori. «Quando dovrà fare i conti con la sostituzione del presidente della Repubblica – ha dichiarato oggi il premier da Bruxelles – l’Italia non avrà alcun tipo di problema, perché credo che il Parlamento abbia imparato la lezione dell’aprile del 2013». In realtà anche il presidente del Consiglio teme la prova del voto. Gli esponenti del Pd pronti ad affossare i suoi candidati non mancano. Tra gli scranni di Montecitorio si annidano irriducibili bersaniani e dalemiani. Ma anche critici vicini a Pippo Civati e semplici scontenti. Un gruppo non marginale, che nel caso di un’intesa con Forza Italia (un’appendice al Nazareno in chiave Quirinale) potrebbe saldarsi alla minoranza interna tra le fila berlusconiane. Come i 40-50 parlamentari vicini a Raffaele Fitto, voce ormai apertamente critica del centrodestra.  

Mentre le segreterie di partito fanno il conto delle possibili defezioni, la riffa dei candidati prosegue. Come le personalità che a forza di retroscena rischiano di bruciarsi. È il caso di Romano Prodi, invitato da Renzi a Palazzo Chigi solo pochi giorni fa. Oppure Giuliano Amato, l’ex premier che Silvio Berlusconi ha recentemente incensato, scoprendo così le carte. C’è Luciano Violante, storico dirigente della sinistra italiana con simpatie nel centrodestra. Già presidente della Camera e fresco impallinato sulla strada della Corte Costituzionale. Le sue chance di salire al Colle sono al lumicino. Un calvario. In pratica i notabili di prima e seconda Repubblica continuano a cadere come birilli. Nel frattempo iniziano a farsi largo le seconde linee. I panchinari di successo. 

Sono le soluzioni inattese. Buone per sbloccare la situazione, in caso di stallo durante le votazioni per il presidente. Nell’eventualità di un’impasse a Palazzo, a spuntarla potrebbe essere uno di loro. Un presidente “per caso”. Del gruppo fanno parte un buon numero di ex esponenti della margherita: nei corridoi di Palazzo circolano i nomi del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e dell’ex sindaco di Roma Francesco Rutelli. Oggi qualcuno ha persino candidato l’ex popolare Pierluigi Castagnetti. Fino a poco tempo fa girava con insistenza il nome di Franco Bassanini. E se a spuntarla fosse invece la moglie Linda Lanzillotta? Senatrice di Scelta Civica, già ministro. Perfetta, per chi stavolta vorrebbe un presidente donna. Suggestive, ma forse non troppo concrete, le ipotesi di due presidenti sardi: Arturo Parisi e Beppe Pisanu. Sicuramente romantica l’idea di portare al Colle il direttore d’orchestra Riccardo Muti. Si diceva che a proporgli la nomina era stato proprio Matteo Renzi, in ogni caso il diretto interessato ha respinto l’offerta.

Ormai è entrata nella mitologia del Quirinale la candidatura di Massimo D’Alema. Un po’ come quella di Walter Veltroni. Tra gli ex Ds ha più possibilità di essere eletto Piero Fassino. Sindaco di Torino, esponente del territorio e quindi più adatto a ricevere un sostegno trasversale. La lista è lunga. I presidenti di seconda fascia sono tanti, e ognuno coltiva qualche speranza. C’è Pier Ferdinando Casini, da tempo in predicato di scalare il Colle. Presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama, curiosamente oggi era al fianco di Napolitano quando il presidente ha confermato l’«imminenza» delle sue dimissioni. Su Casini potrebbe convergere un partito importante: quello di chi sogna un presidente cattolico. 

Molti puntano sull’elezione del ministro Piercarlo Padoan, tra i favoriti. E se invece alla fine la spuntasse un altro esponente del governo? Uno meno accreditato, come il titolare della Cultura Dario Franceschini. Oppure quasi impalpabile, come la responsabile della Difesa Roberta Pinotti. Sono i riservisti della Repubblica. Nomi buoni da tirare fuori al momento del bisogno. Un po’ a sorpresa, magari senza crederci troppo. L’ex presidente della Consulta Sabino Cassese è inserito di diritto nella lista, così come il numero uno del Senato Pietro Grasso. C’è il giurista Stefano Rodotà, che la volta scorsa poteva contare sul sostegno di grillini appena entrati a Palazzo. Senza dimenticare i due ex presidenti di Palazzo Madama Marcello Pera e Franco Marini. Il primo vicino al centrodestra, il secondo al centrosinistra. L’abruzzese, in particolare, è una delle vittime illustri dell’ultima elezione. Un altro impallinato dai franchi tiratori del Pd. E se fosse la volta buona per dimenticare quella brutta storia?

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