Alleanze strategiche, equilibri delicati. I rapporti di Mafia Capitale con le altre organizzazioni criminali che operano a Roma sono meticolosi. Esponenti della camorra, del clan dei Casamonica, bande di rapinatori. Il boss Massimo Carminati intrattiene relazioni con tutti. Tanto da suscitare l’attenzione dei Carabinieri del Ros, che approfondiscono il fenomeno nell’informativa trasmessa alla Procura. La spartizione della città avviene con una serie di accordi. Talvolta siglati nei bar più noti dei quartieri borghesi di Roma Nord. Il confronto è sempre alla pari. Durante gli incontri l’ex Nar tratta da boss, senza timori reverenziali. Anzi, come scrivono gli investigatori, sono le stesse organizzazioni criminali presenti sul territorio romano a riconoscere «la forza del sodalizio diretto dal Carminati».
Tra gli interlocutori del “guercio” un posto di rilievo lo occupa il gruppo che fa capo alla famiglia Senese. Con cui Carminati si relaziona – così scrivono sempre i carabinieri – «da pari a pari». Si tratta di una realtà criminale radicata nella Capitale. Il gruppo risale agli anni Settanta, alla guerra di camorra che contrappone la Nuova Famiglia di Carmine Alfieri – vicino a Michele Senese – e la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Gli investigatori ripercorrono la storia del clan e il suo trasferimento nei primi anni Ottanta all’ombra del Colosseo, «ove il sodalizio riteneva potesse meglio continuare la propria opera». A Roma bastano pochi anni perché il gruppo si trasformi in una realtà temuta e rispettata. Intanto diventa pian piano autonomo, confermandosi «un punto di riferimento stabile per molte consorterie campane e laziali operanti nel traffico di stupefacenti e altri settori». Il mercato della droga permette di stringere rapporti con Cosa Nostra e la criminalità barese. Ma non mancano l’usura e il gioco d’azzardo.
I rapporti con Michele Senese e il clan dei Casamonica
Stando alle annotazioni degli investigatori, i rapporti tra Carminati e Michele Senese sembrano stretti. I carabinieri annotano una serie di incontri. In un’intercettazione ambientale, gli investigatori registrano persino la soddisfazione del boss di Mafia Capitale per la scarcerazione di Senese. «So’ contento che è uscito Michelino». Ma i militari assistono anche a un duro confronto tra i due. È il 30 aprile 2013. Carminati e Senese si incontrano in un bar del Fleming, nella zona di Roma Nord dove è più assidua la presenza dell’ex Nar. Dopo una prima fase «molto cordiale», nasce una discussione. Gli investigatori che seguono la scena descrivono i due mentre gesticolano «l’uno in direzione dell’altro in modo minaccioso», tanto che alla fine deve intervenire l’autista di Senese. Ebbene, per il Ros è proprio questa la dimostrazione del ruolo di Carminati. Decidendo di incontrare Senese da solo, l’ex Nar era «ben conscio del potere espresso dalla propria organizzazione». Non una comparsa, insomma. Ma il capo, intenzionato a «relazionarsi con il proprio equivalente».
Non mancano le relazioni con i «mediatori culturali». Sembra una battuta, ma la famiglia Casamonica – definita dai magistrati come «un noto clan attivo nel quadrante sud-est della città e dedito a una vasta gamma di attività delittuose nei settori del narcotraffico, dell’usura, del riciclaggio» – era funzionale a Mafia Capitale per la gestione dei campi rom. Un business molto redditizio per la Cooperativa 29 giugno di Salvatore Buzzi, braccio destro di Carminati. Fungevano appunto da «mediatori culturali», del resto i Casamonica hanno origini rom. E Luciano Casamonica, quello con la maglietta dell’Italia nella famosa foto della cena del 2010 che ha messo in imbarazzo il ministro Giuliano Poletti, era il punto di riferimento nella gestione del campo di Castel Romano. Il più grande della città.
Agli atti resta un fruttuoso appalto per l’allargamento del campo. Come si legge nell’informativa dei Ros: «Il sodalizio diretto da Massimo Carminati aveva acquisito un appalto per l’ampliamento e la gestione del Campo Nomadi di Castel Romano attraverso la cooperativa ATI 29 Giugno presieduta da Buzzi. Il territorio in esame, come descritto in precedenza, rientrava in quello in cui era maggiore la permeabilità all’influenza del clan Casamonica, senza contare la natura della popolazione (nomade) con cui il sodalizio si sarebbe dovuto relazionare». A questo serviva il clan Casamonica: «Per tali motivazioni, l’organizzazione facente capo al Carminati si avvaleva del supporto fornito dal clan presente in quel contesto, in modo da tenere sotto controllo le problematiche che sarebbero potute sorgere nel rapporto con i nomadi». Un’intercettazione riguardo alla gestione del campo è indicativa: «Guarda, Luciano è venuto a lavora’ lì… – spiega Carminati al telefono – parla con lui e non me rompe le scatole a me. Io con te non ce voglio proprio parla’..».
Ma Luciano Casamonica è anche qualcos’altro. Carminati ci discute persino quando un avvocato, Alessandro Cacciotti, gli chiede di intervenire perché i Casamonica stanno minacciando un altro legale. Cacciotti è spaventato. Il clan vuole dei documenti, l’avvocato si sente in pericolo e cerca di capire dal Re di Roma come fare. La risposta è molto sbrigativa e spiega la difficoltà nell’interloquire con questa famiglia di origine sinti. Alla fine l’incontro tra l’avvocato e la famiglia ci sarà. Ne parlano lo stesso Carminati e Cacciotti in un’intercettazione. I Casamonica arrivano allo studio legale «con pellicce» e tutti «profumati». Otterranno quello che vogliono: i documenti che chiedevano.
Dal Curto di Montespaccato alla Banda di Ponte Milvio
Ma non ci sono solo i Casamonica da gestire. Carminati è un vecchio amico di Ernesto Diotallevi, storico boss della Banda della Magliana. Ma è anche un punto di riferimento per la criminalità romana. Un «Richelieu» del crimine, capace di sistemare pure i problemi con “’o Curto di Montespaccato”, sorta di Totò Riina a Roma. Il Nero controlla tutto. Il “mondo di sopra”, e quello “di sotto”. Anche grazie a lui gli equilibri criminali della città funzionano. Al Curto si rivolge un imprenditore che ha accumulato un debito di 180mila euro con la famiglia Lacopo (nella batteria di Carminati) e ha ricevuto minacce. Chiede protezione. Quando ’o Curto capisce che c’è di mezzo Carminati risponde secco: «Daje i soldi».
E poi ci sono anche altre realtà criminali con cui Mafia Capitale intrattiene rapporti. Relazioni agevolate dal passato di Carminati e dal suo «trascorso come appartenente a bande di rapinatori». Nell’informativa, i carabinieri sottolineano gli incontri con due pregiudicati, Daniele Carlomosti e Tomislav Pavlovic. «Soggetti legati a gruppi criminali – così scrivono – dediti alla commissione di rapine e alla detenzione di armi». A svelare la necessità di un’intesa con il gruppo è lo stesso Carminati, intercettato il 17 aprile 2013 mentre parla con il braccio destro Riccardo Brugia. «Quelli so’ brutti forti compà – spiega il boss di Mafia Capitale – Sono andato da questi prima che prendono la pistola e sparano». E gli incontri avvengono effettivamente, come annotano gli investigatori. Quasi tutti in alcuni noti bar dei Parioli (compreso l’Hungaria di Piazza Ungheria).
Senza contare i rapporti con la criminalità organizzata che opera nella zona di Ponte Milvio. Stavolta la trattativa è quasi obbligatoria. Il quartiere di riferimento del gruppo è lo stesso dove «il sodalizio mantiene una maggiore influenza», confermano i carabinieri. La zona è quella frequentata da Carminati: Roma Nord, tra Corso Francia e Vigna Stelluti. Stando all’informativa degli investigatori, stavolta gli interlocutori sono «una batteria particolarmente agguerrita e pericolosa guidata da Fabrizio Piscitelli», conosciuto come Diabolik. «Unitamente ad altri soggetti di nazionalità albanese». Nulla di nuovo. Gli esponenti del gruppo di Ponte Milvio, si legge nell’informativa, sarebbero al servizio dei “napoletani” che fanno capo a Michele Senese. Già in rapporti con Carminati.