Cinesi, marocchini, avversari politici ed esponenti di centrodestra. Tutti in fila ai seggi. Militanti improvvisati a cui è stato promesso un favore, un piccolo riconoscimento economico, magari anche solo cornetto a cappuccino. Girano le voci sulle discusse primarie del Partito democratico in Liguria. Si infittiscono le polemiche per presunti brogli – ancora tutti da dimostrare – dopo che lo sconfitto Sergio Cofferati ha ammesso di non riconoscere l’esito del voto. Adesso l’ex sindacalista chiede solo chiarezza. «Dai seggi – le sue parole – sono arrivate molte segnalazioni di irregolarità, vanno verificate fino in fondo. Le primarie sono uno strumento importante, in ballo c’è l’affidabilità del partito».
E così sulle primarie democrat si leva ancora una volta l’ombra del pasticcio. Peggio, della peggior politica. Quella dei voti comprati, dei tesseramenti fasulli, dei brogli e dei capibastone. Lo sanno bene a Napoli, dove al termine delle primarie del 2011 il partito venne addirittura commissariato. All’epoca si votava per scegliere il candidato sindaco. In gara l’europarlamentare bassoliniano Andrea Cozzolino, Umberto Ranieri e l’ex magistrato Libero Mancuso. Le scene raccontate dai testimoni di allora ricordano da vicino quelle evocate in Liguria. Le solite file di cinesi, i voti comprati, le infiltrazioni degli elettori di centrodestra. Anche quattro anni fa nel Partito democratico si apre un caso. Ranieri sembra prevalere in quasi tutti i collegi, ma stravincendo nei quartieri di Miano e Secondigliano Cozzolino conquista più voti di tutti. «Sul sito del Corriere – spiega in quei giorni Walter Veltroni – ho visto file di cinesi che andavano a votare. O sono cinesi democratici, oppure c’è qualcosa che non va. Se c’è una piccola ombra si vada fino in fondo». Pochi giorni dopo il segretario Bersani lo prende in parola. I candidati sono invitati a fare un passo indietro e il partito viene commissariato. E forse è proprio quella polemica che avvia la vittoria elettorale di Luigi De Magistris, che pochi mesi dopo diventerà sindaco di Napoli.
Lo spartito si ripete pochi mesi più tardi, un po’ più a Sud. A marzo si organizzano in Sicilia le primarie per scegliere il candidato di centrosinistra a sindaco di Palermo. A giocarsi la vittoria sono Fabrizio Ferrandelli e Rita Borsellino. Stavolta il voto non viene annullato, ma le polemiche sono altrettanto sgradevoli. E tutt’altro che inedite. Durante le elezioni si rincorrono le voci per l’inattesa presenza di immigrati ai seggi, alcuni arrivati persino in pullman. Alla fine l’esito delle urne viene confermato, a vincere per un pugno di preferenze è Ferrandelli. Il comitato dei garanti decide di annullare solo il voto nel quartiere Zen. Qui, durante la lunga giornata elettorale, è dovuta intervenire la Digos, allertata della presenza di non meglio precisati rappresentanti di lista che rimborsavano gli elettori all’uscita del seggio.
Primarie locali, ma non solo. Alla fine del 2012 finisce al centro delle polemiche anche il confronto tra Pierluigi Bersani e Matteo Renzi (allora sindaco di Firenze). Nessuno denuncia brogli o irregolarità, ci mancherebbe. Eppure la sfida per scegliere il candidato premier di centrosinistra viene scandita dalle antipatiche diatribe sul regolamento. Un botta e risposta che finisce per avvelenare il clima della competizione elettorale. Le primarie diventano materia da azzeccagarbugli. Si discute sulla platea elettorale, le iscrizioni online, la presenza dei minorenni. Inevitabilmente si torna a parlare delle possibili infiltrazioni dei simpatizzanti di altri partiti. Si arriva al paradosso: chi non ha partecipato al primo turno deve presentare una giustificazione per votare al ballottaggio. Il risultato è imbarazzante: il 2 dicembre centinaia di persone vengono allontanate dai gazebo allestiti in piazza. Per la prima volta nella storia un partito rifiuta i voti dei suoi elettori.
Quella delle primarie dem è una storia recente, ma piena di polemiche. Qualche mese fa il ministro Marianna Madia ha puntato il dito contro le parlamentarie organizzate a fine 2012. Iniziativa virtuosa, sia chiaro. Decisa dall’allora segretario per selezionare deputati e senatori aggirando le liste bloccate del Porcellum. Eppure, in alcune realtà, gestita ancora una volta in maniera poco chiara. «A livello locale, e parlo di Roma, – le parole del ministro lo scorso giugno – facendo le primarie dei parlamentari ho visto, non ho paura a dirlo, delle vere e proprie piccole associazioni a delinquere sul territorio». Nelle scorse settimane qualche giornale ha persino accostato a quelle elezioni l’ombra di Mafia Capitale. Denunce mai dimostrate. Più probabile, semmai, che i protagonisti del “mondo di mezzo” avessero provato a influenzare la scelta del segretario romano del Pd. Lo spiega in una telefonata intercettata Salvatore Buzzi, presidente della cooperativa “29 luglio”. «Stiamo a sostenè tutti e due… avemo dato centoquaranta voti a Giuntella e ottanta a Cosentino». Il riferimento è a Tommaso Giuntella e Lionello Cosentino, che nell’ottobre 2013 sono i principali avversari per la segreteria dem capitolina.
Ma Roma è già finita al centro di un caso. Nell’aprile 2013 anche le primarie per scegliere il sindaco della Capitale passano alla storia tra le polemiche. Alla fine Ignazio Marino stravince il confronto con i suoi avversari e conquista la possibilità di sfidare Gianni Alemanno per il Campidoglio. Quando ancora devono chiudersi le urne, però, in città esplode il caso. Qualcuno denuncia le ormai caratteristiche file di immigrati ai seggi. A Tor Bella Monaca la polizia deve intervenire per evitare che un battibecco sulla massiccia presenza di elettori bengalesi e africani degeneri. A lanciare il sasso su facebook è Cristiana Alicata, membro della direzione regionale del Pd: «Le solite incredibili file di rom che quando ci sono le primarie si scoprono appassionatissimi di politica. Non è razzismo: sono voti comprati. Chi lo nega è complice dello sfruttamento della povertà che fa il clientelismo in politica».
È il destino delle primarie democrat. A volte diventano un caso anche quando fila tutto liscio. Ne sa qualcosa Stefano Bonaccini, recentemente scelto degli elettori dell’Emilia Romagna come candidato alla presidenza della Regione. Lo scorso settembre, in assenza di brogli e infiltrati, a sollevare l’attenzione dei giornali è la scarsa affluenza degli elettori. Scarsissima, a dire il vero. 58mila voti. Meno degli iscritti al Partito democratico, che in tutta la regione sono circa 75mila. Ai seggi si presenta un terzo dei 151mila che due anni prima avevano votato alle parlamentarie. Un decimo di chi aveva votato alle primarie nazionali. Segno che forse lo strumento, così com’è pensato, non funziona. Lo hanno capito in Campania. E non è un caso che in vista delle prossime regionali l’appuntamento sia già stato annullato due volte. Si doveva votare a dicembre, poi a inizio gennaio. Adesso si fa strada una terza ipotesi: il Pd potrebbe convergere su un candidato unitario, l’ex vendoliano Gennaro Migliore. Con tanti saluti alle primarie.