Colle, adesso Renzi può contare sui dissidenti grillini

Colle, adesso Renzi può contare sui dissidenti grillini

In tutto sono trentacinque. Deputati, senatori, transfughi della prima e dell’ultima ora. Il fronte parlamentare degli ex grillini è vasto e articolato. Cifre alla mano, nella partita per il Quirinale potrebbe essere persino decisivo. Un conto teorico, sia chiaro. Come raccontano i diretti interessati, nel grande gruppo degli ex Cinque Stelle convivono «storie e sensibilità molto diverse tra loro». I più disponibili ad aprire un dialogo con la maggioranza sarebbero solo una parte. Eppure quella dei fuoriusciti grillini è una realtà che Matteo Renzi non può ignorare. Sullo scacchiere delle trattative equivale per numero ai critici di Forza Italia guidati da Raffaele Fitto e ai grandi elettori della Lega Nord. 

Le cifre. Dall’inizio della legislatura i parlamentari persi per strada dal movimento di Grillo non sono pochi. Diciotto deputati e diciassette senatori. Nel 2013 i gruppi pentastellati potevano contare 163 eletti. Quando giovedì il Parlamento in seduta comune inizierà a votare per il successore di Giorgio Napolitano, i grandi elettori grillini saranno 129 (ai 128 parlamentari si è aggiunto un delegato eletto nel consiglio regionale del Lazio). 

Le ultime defezioni risalgono a questa mattina, quando nove deputati hanno formalizzato la scissione. Molti di loro sono dissidenti storici, critici alla luce del sole: Walter Rizzetto, Aris Prodani, Tancredi Turco. Per chi segue le vicende politiche dei Cinque Stelle il passaggio al gruppo misto non è certo una sorpresa. Con loro hanno dato l’addio al gruppo Samuele Segoni, Eleonora Bechis, Marco Baldassarre, Sebastiano Barbanti, Gessica Rostellato e Mara Mucci. Alla Camera mancano ancora i numeri per formare un nuovo gruppo parlamentare. E così i transfughi pentastellati formeranno una componente nel Misto, “Alternativa Libera”. Pronti a collaborare con loro, si racconta a Palazzo, ci sarebbero almeno altri quattro fuoriusciti. Massimo Artini e Paola Pinna, ad esempio. Sono i due deputati recentemente espulsi in seguito alle polemiche per le rendicontazioni degli stipendi. E con loro anche Alessio Tacconi e Tommaso Currò.

Intanto le ultime uscite riaprono le polemiche all’interno del movimento. I nove dissidenti accusano i vertici di aver smarrito lo spirito originario dei Cinque stelle. «Aspiravamo alla bellezza – spiegano in conferenza stampa alla Camera – Non alla rabbia e alla violenza verbale». La decisione di lasciare il M5s è giustificata dalla gestione oligarchica del gruppo. È stata una scelta «difficile e sofferta», ammettono. Ma necessaria. I dissidenti prendono le distanze dalle recenti espulsioni e dall’operato del direttorio, dalla gestione verticistica del gruppo e dalla volontà di dare vita a un’opposizione distruttiva, fine a se stessa. Nessuna questione economica, assicurano. I nove in uscita continueranno a decurtarsi lo stipendio di parlamentare come pattuito a inizio legislatura. 

Ma probabilmente non basterà neppure questo a fermare le accuse. Mentre sui social network esplode la rabbia di tanti militanti, in Parlamento le ultime defezioni vengono accompagnate da retroscena più o meno antipatici. Tra i cinque Stelle si denunciano apertamente le “truppe cammellate” al servizio della maggioranza. Carla Ruocco, membro del direttorio, accusa gli «ex colleghi venduti a Renzi». E di «campagna acquisti» in vista del voto sul Quirinale parla anche Luigi Di Maio, esponente di spicco del movimento. Ma a insinuare il sospetto non sono solo i Cinque Stelle. Nella minoranza dem qualcuno azzarda persino il paragone con i “Responsabili”. Il discusso gruppo parlamentare guidato da Domenico Scilipoti corso in aiuto del governo Berlusconi durante l’ultima legislatura. 

Nel frattempo al Nazareno qualcuno ha iniziato a fare i conti. Ai deputati in uscita dal Movimento Cinque Stelle si aggiungono i loro colleghi del Senato. A Palazzo Madama i grillini fuoriusciti avrebbero anche i numeri per formare un gruppo ad hoc. Solo le differenze politiche e caratteriali, raccontano, non avrebbero ancora permesso di trovare una sintesi. Eppure da pochi giorni qualcosa si è mosso. La scorsa settimana gli ex M5s hanno dato vita a un coordinamento per gestire in maniera condivisa i due principali dossier politici del momento: la legge elettorale e l’elezione del Quirinale. Una regia unica di cui fanno parte dodici senatori, guidati dal vicepresidente della commissione Sanità Maurizio Romani. A questi si dovrebbe presto aggiungere il senatore Francesco Molinari, che all’indomani del voto sul Colle dovrebbe formalizzare la sua uscita dal gruppo M5s.

In vista del voto di giovedì, Matteo Renzi potrebbe aprire un dialogo con almeno 20-25 ex grillini (è lo stesso numero dei senatori dem che non hanno votato l’Italicum). Nel Palazzo assicurano che nessuno di loro andrà a consegnarsi al presidente del Consiglio. Le diffidenze nei confronti del Patto del Nazareno resistono anche tra i fuoriusciti. Eppure, ecco la novità, gli ex Cinque stelle sono pronti a un confronto. Nella scelta del nuovo inquilino del Quirinale vogliono giocare la loro partita. Stasera alle nove una piccola delegazione incontrerà i vertici del Pd per fare il punto sul Colle, come hanno fatto per tutta la giornata i rappresentanti delle altre forze politiche (M5S escluso). Nessun inciucio, giurano. L’obiettivo è individuare una figura adatta per sostituire Giorgio Napolitano. 

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