C’è il ritorno dei parlamentari nominati dalle segreterie di partito, su cui si inasprisce il confronto tra Matteo Renzi e la minoranza Pd. E c’è la poco apprezzata pratica delle candidature plurime, che consente ai leader di partito di presentarsi in più collegi, evitando il rischio di inattese bocciature. Sono diversi i nodi della legge elettorale in discussione al Senato. Norme e dettagli ancora al centro di accese polemiche. In Parlamento si discute sul premio di maggioranza individuato dall’Italicum. Da attribuire alla prima lista, come stabilisce l’ultima versione della riforma. Oppure alle coalizioni di partiti alleati, come chiede Forza Italia. Senza dimenticare le soglie di sbarramento. Secondo alcuni esperti l’asticella da superare per conquistare qualche seggio a Montecitorio è troppo bassa. Il rischio è quello di frammentare eccessivamente l’opposizione, con conseguenti ed evidenti benefici per il prossimo esecutivo.
1) I capilista bloccati. Se quasi tutti concordano nel garantire ai partiti il diritto di nominare una quota dei propri parlamentari, fa discutere la scelta di introdurre cento capilista bloccati. Uno in ogni collegio. A cui si accompagna, per l’elettore, la possibilità di scegliere altri due candidati con una doppia preferenza di genere. Per il premier Matteo Renzi «alla fine due terzi dei parlamentari saranno eletti con le preferenze, un terzo con il sistema dei collegi. Si vota in modo riconoscibile e chiaro». Ma non tutti sono d’accordo. Secondo diversi esponenti della minoranza Pd, con l’Italicum finiranno per essere nominati circa il 60 per cento degli eletti. Non solo. Con buona pace di chi andrà a votare, sarà quasi unicamente il primo partito a eleggere parlamentari con le preferenze. «È vero che tornano le preferenze – spiega il senatore dem Federico Fornaro – ma soltanto nella lista vincente ci saranno eletti oltre al capolista nominato dal partito, mentre per tutte le liste perdenti le indicazioni dei cittadini per il candidato – salvo rare eccezioni – saranno totalmente inutili, perché l’unico che ha chance di elezione è appunto il capolista». Insomma, escluso il partito che vincerà le elezioni, le altre forze politiche potranno scegliere direttamente quasi tutti i propri eletti. Un esempio? I senatori del Pd Miguel Gotor e Fornaro hanno calcolato che con il 20 per cento di voti, il Movimento Cinque Stelle riuscirebbe a eleggere con le preferenze, assieme ai cento capilista bloccati, solo due deputati. Ecco allora che alcuni parlamentari dem, guidati da Fornaro, hanno presentato un emendamento per risolvere la questione. La soluzione? Riconoscere una quota di nominati – il 25 per cento – in un listino bloccato circoscrizionale. E lasciare il 75 per cento dei seggi ai candidati eletti in collegi plurinominali delle dimensioni simili a quelle del Mattarellum (125mila abitanti contro gli attuali 600mila).
2) Dieci pluricandidature. A farne le spese saranno soprattutto gli elettori dei partiti minori. La riforma prevede che i candidati possano presentarsi in più circoscrizioni, fino a un massimo di dieci “apparizioni” contemporanee. Decidendo solo in seguito dove essere eletti. È un privilegio che solitamente viene concesso ai segretari di partito e ai politici più in vista. Di fatto, un richiamo al voto per tanti elettori convinti di scegliere in prima persona il proprio leader. Ma anche un paracadute non indifferente. Candidandosi in più collegi, i leader riescono a garantirsi un seggio sicuro. Un’elezione di riserva, nell’eventualità di qualche insuccesso.
3) Soglie di sbarramento. Nella sua prima versione, l’Italicum prevedeva due diverse soglie di sbarramento. Per entrare in Parlamento, alle liste era chiesto di superare l’8 per cento, se candidate da sole. E in alternativa il 4,5 per cento, se alleate. Nell’ultima stesura, la riforma è cambiata. Adesso il disegno di legge prevede un’unica asticella: il 3 per cento per tutti. Chi lo supera, entra a Montecitorio. Chi si ferma prima, resta fuori. La questione ha sollevato diverse polemiche. Non ultima la critica del politologo Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera di pochi giorni fa. Una soglia di sbarramento così bassa, secondo alcuni, avrebbe come prima conseguenza la scomparsa dell’opposizione. Panebianco ipotizza lo scenario di un’opposizione «divisa e frammentata fra un gran numero di partiti piccoli e medi». E ancora «un’opposizione vociante e impotente senza nessuna possibilità di costituire una minaccia elettorale seria per l’esecutivo in carica». Eppure è giusto ricordare che le soglie di sbarramento dell’Italicum sono più alte di quelle previste dal Porcellum. Il vecchio sistema elettorale permetteva di entrare a Montecitorio ai partiti coalizzati che superavano il 2 per cento (ripescando persino i migliori perdenti).
4) Premio di maggioranza. È questo il grande tema di scontro tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Nella riforma che sarà votata in Senato, il governo ha deciso di attribuire il premio di maggioranza alla prima lista. In poche parole, a conquistare fino a 340 seggi su 630 disponibili sarà il partito più votato. Già al primo turno, se raggiunge il 40 per cento. Le conseguenze sono evidenti: chi vince avrà la possibilità di controllare la Camera e governare senza bisogno di aiuti. «Basta col ricatto dei partitini: il partito più forte governa da solo, sempre che ne sia capace», ha spiegato Renzi. Forza Italia non è d’accordo. I berlusconiani vorrebbero attribuire il premio alla miglior coalizione, come accadeva con il Porcellum. Agevolando la possibilità di alleanze tra i partiti della stessa area politica.
5) Clausola di salvaguardia. La nuova legge elettorale entrerà in vigore tra più di un anno. Per timore di un voto anticipato, nelle ultime settimane diversi esponenti politici hanno chiesto al governo di vincolare l’Italicum all’approvazione della riforma costituzionale che modifica il bicameralismo. Accogliendo in parte le richieste, l’esecutivo ha chiarito il punto. La legge elettorale dovrà essere approvata senza ulteriori ritardi, un passaggio necessario per riempire il vuoto normativo lasciato dalla sentenza della Corte costituzionale che ha cancellato il Porcellum. Eppure, per rassicurare tutti sulla volontà di proseguire la legislatura, il ministro Maria Elena Boschi ne ha posticipato il varo. Auspicando una rapida approvazione dell’Italicum, «ma prevedendo la sua efficacia in una data successiva all’entrata in vigore della riforma costituzionale e quindi ragionevolmente al 2016».